Gli strumenti finanziari partecipativi, un'alternativa per le s.p.a, per le s.r.l. “innovative” e per le società quotate

Benedetto Lonato
Giacomo Tommasi
29 Aprile 2020

L'obiettivo di questo scritto è di offrire una breve panoramica in merito alla disciplina e alla prassi ad oggi invalsa in merito agli strumenti finanziari partecipativi, senza pretesa di esaustività considerata la vastità dell'argomento, e di evidenziarne le principali similitudini e differenze rispetto ad altri strumenti di investimento alternativi utilizzati in differenti sistemi giuridici e spesso presi come modello dagli operatori economici.
Introduzione

Spesso gli strumenti attraverso i quali finanziare la società di capitali sono stati categorizzati a seconda della qualificazione sostanziale del relativo apporto. In particolare, si usa distinguere, tra gli operatori ed in dottrina, tra c.d. strumenti di “equity” e “equity like”, strumenti di “semi-equity” o “quasi equity” e strumenti di puro debito.

In questi ultimi anni, gli operatori si sono a lungo dedicati all'elaborazione di strumenti, tipici e atipici, atti a finanziare le società di capitali ma che, nel contempo, avessero diverse e molteplici “gradazioni”, diversi “mix”, per così dire, tra la componente “equity”, capitale di rischio e quella di debito, a seconda delle esigenze del caso.

Tralasciando per un momento gli strumenti di “equity” o “equity like” - tra cui rientrano evidentemente le sottoscrizioni di aumenti di capitale - si osserva come tra i c.d. strumenti di “semi-equity” si annoverino normalmente i prestiti obbligazionari convertibili, riservati dal codice civile alla disciplina delle Società per Azioni e di cui, nella pratica, sono stati generati diversi surrogati in chiave di Società a responsabilità limitata, con però seri limiti da considerare. Sovente, infatti, si perviene, specie nel mondo dell'investimento “innovativo” nostrano, a soluzioni contrattuali non sempre inopinabili.

Nella categoria del debito, vengono, invece, ricondotti tutti quegli strumenti che comportano un vero e proprio indebitamento della società, come, ad esempio, i titoli di debito di cui all'art 2483 c.c., per le Società a responsabilità limitata, oppure le obbligazioni di cui agli artt. 2410 e ss. c.c.

All'interno di questo quadro, per gli operatori più attenti alla ricerca di soluzioni di investimento ibride sufficientemente tutelanti in punto di diritto, l'attenzione si è focalizzata non tanto su soluzioni contrattuali inter partes, quanto, invece, sui c.d. strumenti finanziari partecipativi, introdotti nell'ambito della Riforma del Diritto Societario attuata dal Legislatore mediante il D.lgs. 6/2003, ed ora espressamente previsti e disciplinati ai sensi dell'art. 2346, ultimo comma, c.c.

L'obiettivo di questo scritto vorrebbe essere quello di offrire una breve panoramica in merito alla disciplina e alla prassi ad oggi invalsa in merito agli strumenti finanziari partecipativi, senza pretesa di esaustività considerata la vastità dell'argomento, e di evidenziarne le principali similitudini e differenze rispetto ad altri strumenti di investimento alternativi utilizzati in differenti sistemi giuridici e spesso presi come modello dagli operatori economici. Ci riferiamo, in particolare, a format ampiamente diffusi nel “venture capital” statunitense ed in particolare ai c.d. S.A.F.E. (Simple Agreements for Future Equity) e alle Convertible Notes, come meglio descritte nel prosieguo.

Strumenti finanziari partecipativi - La normativa di riferimento e la disciplina attuale

Strumenti finanziari partecipativi nelle Società per Azioni

Gli strumenti finanziari partecipativi rappresentano uno degli istituti giuridici più innovativi introdotti, come sopra detto, a seguito della Riforma del Diritto Societario del 2003 e, al contempo, lo strumento di investimento che maggior spazio lascia alla strutturazione di diverse soluzioni tecniche, quantomeno con riguardo alle Società per Azioni.

Il Legislatore, infatti, nel momento in cui ha deciso di regolamentare la disciplina degli strumenti finanziari partecipativi lo ha fatto attraverso un dettato normativo piuttosto succinto, limitandosi,di fatto,a delineare la cornice, e lasciando agli interpreti il compito di definire modalità e contenuti sostanziali degli stessi.

All'interno del codice civile, gli articoli che trattano degli strumenti finanziari partecipativi sono (i) l'art. 2346, comma 6, (ii) l'art. 2349, comma 2 e (iii) l'art. 2351, comma 5. Vediamo ora,brevemente, il contenuto degli stessi.

L'art. 2346, comma 6, descrive la possibilità, per le Società per Azioni, di emettere, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi, anche di opera o di servizi, strumenti finanziari partecipativi forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso,tuttavia, il diritto di voto nell'assemblea generale degli azionisti. Inoltre, viene precisato come debba essere lo statuto a disciplinarne le modalità e le condizioni di emissione, i diritti che gli stessi conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, ove ammessa, la legge di circolazione.

L'art. 2349, comma 2, prevede, invece, la possibilità per l'assemblea straordinaria di deliberare l'assegnazione ai prestatori di lavoro dipendenti della società, o di società controllate, di strumenti finanziari partecipativi forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso anche in questo caso il diritto di voto nell'assemblea generale degli azionisti.

Infine, l'art. 2351, comma 5, sancisce che gli strumenti finanziari partecipativi possano essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e che possa essere riservata ai titolari degli stessi, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del Consiglio di Amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Rispetto al diritto di voto, in conformità con quanto disposto all'art. 2346, parte dei commentatori, e di fatto il Consiglio Notarile di Milano (si veda sull'argomento la Massima n. 162 del Consiglio Notarile di Milano), ritengono come sia preferibile prevedere la partecipazione al voto in forma “indiretta” potendo i titolari di strumenti finanziari partecipativi esprimere il proprio voto esclusivamente in seno all'assemblea speciale.

Ciò che emerge, a prima vista, dalla lettera dei summenzionati articoli è la natura stessa degli strumenti finanziari partecipativi, ovvero quella di strumenti “plasmabili”. Pochissimo, infatti, viene detto in merito alle caratteristiche dei diritti patrimoniali e/o amministrativi di cui gli stessi possono essere dotati. Esistono, tuttavia, alcuni problemi che, al di là dell'impegno dottrinale in merito alla loro soluzione, richiedono particolare cautela nella pratica, come vedremo in seguito.

Ad esempio, i titolari di strumenti finanziari partecipativi, a prescindere dalle disquisizioni in merito al dettato normativo di cui alle disposizioni dell'art. 2351 c.c, non acquistano la qualità di soci e, per questo motivo, è quanto meno opinabile che possano esprimere il proprio voto nell'ambito dell'assemblea generale degli azionisti. A differenza, invece, delle obbligazioni, gli strumenti finanziari partecipativi possono essere caratterizzati da diritti patrimoniali tipici di uno strumento “equity”, quali, ad esempio,la partecipazione alla distribuzione degli utili e/o delle riserve ovvero il diritto al riparto del residuo attivo di liquidazione, ragione per la quale spesso i titolari di strumenti finanziari partecipativi si vedono attribuire anche diritti amministrativi che, generalmente, non spettano agli obbligazionisti.

Ad ogni modo, affinché una società possa emettere strumenti finanziari partecipativi, è necessaria la presenza in statuto di clausole che disciplinino, come visto, “le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione”. È da considerare equivalente, da questo punto di vista, la presenza di tali clausole direttamente nell'articolato statutario oppure in un “regolamento” allegato allo statuto, che ne costituisca parte integrante, come, peraltro, sovente avviene nella prassi.

Residua, infine, il tema del diritto di recesso di cui all'art. 2437, lett. g) c.c. (“… omissismodificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione”), rispetto a quei soci che non dovessero concorrere alle deliberazioni inerenti all'approvazione del regolamento statutario degli strumenti finanziari partecipativi. Non si può escludere in linea teorica, tout court, tale diritto considerato il dettato normativo. L'indagine sulla sussistenza o meno di tale diritto di recesso va condotta, caso per caso, valutando i diritti effettivamente assegnati nel caso di specie ai titolari degli strumenti finanziari partecipativi.

L'intervento del Consiglio Notarile di Milano in materia di strumenti finanziari partecipativi

Considerato lo scarno dettato normativo in materia e l'ampia autonomia statutaria concessa dal Legislatore ai fini della creazione degli strumenti finanziari partecipativi, non lascia sorpresi l'attenzione che il Consiglio Notarile di Milano ha dedicato a tali strumenti nel tentativo di offrire criteri interpretativi univoci che permettessero una loro definitiva diffusione nella prassi.

Segnaliamo, a tal proposito, le massime n. 163, n. 164, n. 165, n. 166, n. 167 e n. 168 del Consiglio Notarile di Milano, le quali aiutano l'interprete rispetto a qualsiasi indagine inerente agli strumenti finanziari partecipativi.

In particolare, il Consiglio Notarile ha chiarito come, a suo parere, la decisione relativa all'istituzione di una o più categorie di strumenti finanziari partecipativi e l'approvazione delle relative clausole statutarie debbano rientrare nella competenza inderogabile dell'assemblea straordinaria, mentre l'effettiva emissione degli stessi, costituendo attività esecutiva, rientra nella competenza dell'organo amministrativo. Tuttavia, l'assemblea straordinaria può delegare all'organo amministrativo anche la decisione di emissione degli strumenti finanziari partecipativi qualora, tra le modalità e le condizioni di emissione, la stessa abbia determinato la tipologia degli apporti e il grado massimo di possibile diluizione dei diritti spettanti alle azioni. Nel caso di strumenti finanziari partecipativi convertibili in azioni, la decisione relativa all'emissione degli stessi può anch'essa costituire oggetto di delega, ferma restando la necessità che l'adozione della relativa disciplina statutaria sia comunque deliberata dall'assemblea straordinaria.

Gli strumenti finanziari partecipativi possono poi prevedere o meno, a carico della società, l'obbligo di rimborso dell'apporto o del suo valore in favore del titolare degli stessi. Nel caso di presenza dell'obbligo di rimborso, l'operazione ha causa sostanzialmente riconducibile al finanziamento, secondo uno schema che non si differenzia - da questo punto di vista - dall'emissione obbligazionaria.

Agli strumenti finanziari partecipativi, secondo il Consiglio, possono, inoltre, essere attribuiti uno o più dei diritti patrimoniali di natura partecipativa generalmente spettanti alle azioni (come visto, la partecipazione alla distribuzione degli utili e/o delle riserve ovvero il diritto al riparto del residuo attivo di liquidazione etc.) e/o altri diritti patrimoniali di diversa natura (interessi fissi o variabili, etc.).

Con riferimento poi alle caratteristiche dell'apporto, oltre a quanto espressamente previsto dalla norma in tema di opere e servizi di soci o terzi, il Consiglio dettaglia chiarendo come di regola gli strumenti finanziari partecipativi siano emessi a seguito di un apporto a favore della società, che può consistere in qualsiasi prestazione avente contenuto economico e che non richiede la valutazione ad opera di un esperto ai sensi dell'art. 2343 c.c. o in base a uno dei parametri di cui all'art. 2343-ter c.c. L'apporto può precedere, essere contestuale o seguire l'emissione degli strumenti finanziari partecipativi, e può avvenire con tutte le modalità consentite dalla legge, ivi inclusa la compensazione (legale e volontaria) di crediti vantati verso la società emittente. Rispetto a tali particolari apporti, a nostra opinione di particolare interesse nella prassi, il Consiglio specifica ulteriormente come non sia richiesta una specifica autorizzazione nella deliberazione di emissione né tanto meno di una espressa previsione statutaria in tal senso.

Il Consiglio Notarile di Milano offre poi, con la massima n. 166, chiarimenti determinanti in merito alla potenziale conversione di strumenti finanziari partecipativi in azioni di nuova emissione.

La disciplina statutaria degli strumenti finanziari partecipativi può prevedere la loro conversione in azioni di nuova emissione della medesima società, a condizione che: (a) gli strumenti finanziari partecipativi convertibili in azioni siano offerti in opzione ai sensi dell'art. 2441, comma 1, c.c., a meno che ricorra una delle cause di esclusione previste dalla legge; (b) l'apporto a fronte del quale vengono emessi gli strumenti finanziari partecipativi, ove diverso dal denaro, deve aver ad oggetto beni o diritti rientranti nell'area dei beni conferibili ai sensi dell'art. 2342 c.c. e deve essere oggetto di valutazione ai sensi degli articoli 2343 o 2343-ter c.c.; (c) contestualmente all'emissione degli strumenti finanziari partecipativi convertibili, la società deve deliberare un aumento di capitale a servizio della conversione che non può essere superiore al debito verso i titolari di strumenti finanziari partecipativi, ove essi abbiano diritto a rimborso, oppure, ove così non sia, alla riserva da iscrivere in bilancio a fronte dell'emissione degli strumenti finanziari partecipativi; (d) la conversione, qualora gli strumenti finanziari partecipativi non abbiano diritto a rimborso, comporta l'utilizzo della riserva creatasi a fronte dell'emissione degli stessi o di altra riserva a ciò resa disponibile dalla società e deve ritenersi subordinata alla sussistenza delle medesime; (e) qualora le azioni della società siano prive dell'indicazione del valore nominale, è data la possibilità che la società deliberi l'emissione delle azioni a servizio della conversione senza un corrispondente aumento del capitale sociale.

L'apertura in favore delle s.r.l. “innovative” e i conseguenti limiti applicativi

Gli strumenti finanziari partecipativi, nella loro veste di strumento alternativo per reperire risorse, sono stati inizialmente previsti esclusivamente con riferimento alle s.p.a.

Tuttavia, il c.d. Decreto Crescita 2.0 (D.L. 179/2012 conv. in L. 221/2012), che ha introdotto nel nostro ordinamento la figura societaria della “start up innovativa”, ha riservato a questa nuova figura societaria numerose e consistenti novità in materia societaria rispetto alla disciplina ordinaria, tra cui la possibilità per queste società, anche laddove costituite in forma di Società a responsabilità limitata, di emettere strumenti finanziari partecipativi.

Qualche anno più tardi, il c.d. Decreto Investment Compact (D.L. 3/2015, conv. in L. 33/2015) ha introdotto nell'ordinamento anche la figura delle “PMI innovative”, estendendo loro, che siano costituite in forma di Società per Azioni o di Società a responsabilità limitata, le disposizioni di diritto societario elaborate in favore delle start up innovative, ivi inclusa, dunque, la possibilità di emettere strumenti finanziari partecipativi.

Infine, prima la legge di bilancio 2017 e, da ultima, la manovra correttiva 2017 (D.L. 50/2017, conv. in L. 96/2017) hanno attribuito a tutte le PMI (si veda a tal proposito la definizione di PMI contenuta nella “Raccomandazione n. 2003/361/Ce” della Commissione Europea del 6 maggio 2003 relativa alla “definizione delle microimprese, piccole e medie imprese”), anche laddove non innovative e costituite in forma di Società a responsabilità limitata, la possibilità di usufruire delle deroghe al diritto societario previste,sino a quel momento, per start up e PMI innovative ad eccezione, tuttavia, della possibilità di emettere strumenti finanziari partecipativi, che dunque, ad oggi, resta ancora una facoltà preclusa alle Società a responsabilità limitata “non innovative”, le quali si trovano costrette a ricorrere ad altri strumenti per finanziare la propria attività e sostenere la propria crescita, come ad esempio i titoli di debito, con tutte le difficoltà e limitazioni che questi comportano.

L'estensione alle start up e PMI innovative, costituite in forma di Società a responsabilità limitata, della possibilità di emettere strumenti finanziari partecipativi si scontra, tuttavia, con alcune questioni a nostro parere ancora irrisolte.

In particolare, le limitazioni alle quali le Società a responsabilità limitata paiono essere ancora soggette non permettono di immaginare tutte le soluzioni che, invece, possono essere prese in considerazione,nella strutturazione dei propri strumenti finanziari partecipativi, dalle Società per Azioni. Ad esempio, importanti difficoltà si incontrano quando gli strumenti finanziari partecipativi immaginati tendono a ricalcare obblighi e diritti tipici dell'istituto del prestito obbligazionario convertibile, prevedendo sia la possibilità di convertire gli apporti in capitale della Società che un espresso obbligo di restituzione dello stesso apporto versato.

Gli strumenti finanziari partecipativi e alcuni strumenti del venture capital statunitense

Al fine di agevolare la raccolta di capitale, si assiste negli ultimi anni al tentativo di assimilare ed inglobare nella realtà nostrana,anche attraverso gli strumenti finanziari partecipativi,la sostanza di soluzioni alternative di investimento, rinvenienti in particolare dalla prassi statunitense del venture capital.

Vedremo ora brevemente le caratteristiche principali di alcuni di questi strumenti, a cui spesso alcuni operatori economici tendono a riferirsi, almeno idealmente, durate il processo di strutturazione di strumenti finanziari partecipativi.

S.A.F.E.

I c.d. S.A.F.E. (Simple Agreement for Future Equity), sono format contrattuali sviluppati in primis da “Y Combinator”, un importante incubatore di start up statunitense, che consistono sostanzialmente in contratti che attribuiscono all'investitore il diritto futuro a divenire titolari di quote di partecipazione di tipo privilegiato nella società.

Tali strumenti hanno trovato applicazione soprattutto nelle c.d. fasi di “seed financing” o “seed funding”, ovvero le fasi iniziali della vita delle startup quando ad investire sono soprattutto i c.d. family and friends, business angels, incubatori e fondi di venture capital. Si tratta di investimenti caratterizzati da un alto rischio, una scommessa sul futuro di una determina società, sebbene si trovi ancora in una fase iniziale ed incerta. Da qui la difficoltà a concordare una valorizzazione attuale.

Generalmente, questa categoria di investitori mira ad ottenere una partecipazione azionaria in cambio dell'investimento effettuato, ma non sempre risulta opportuno né per gli investitori né per i founders procedere con un tradizionale round di investimento in equity, sia per la difficoltà di giungere, come detto, ad un accordo condiviso relativamente alla c.d. valorizzazione pre-money della società, per l'assenza di parametri economici valutabili, sia per evitare che i tempi necessari al completamento del round provochino un ritardo all'avvio del progetto e, di conseguenza, un danno, anche fatale, alla società stessa.

Per le ragioni sopra esposte, si è rapidamente diffuso nel mercato statunitense il ricorso ai S.A.F.E., accordi che racchiudono in sé un regolamento contrattuale di tipo semi-equity, in quanto certamente non paragonabili a semplici strumenti di debito, vista la mancanza di interessi sull'importo investito e dell'obbligo di restituzione del medesimo, ma nemmeno propriamente di equity, dal momento che, rinviando l'ingresso dell'investitore nella compagine societaria ad un momento futuro, ne rinviano anche il diritto, spettante allo stesso, alla titolarità di una partecipazione e quindi a dividendi e voto in assemblea.

Nella maggior parte dei casi, dunque, il S.A.F.E. costituisce un “bridge”, un round di investimento a sé stante avente lo scopo di fornire liquidità immediata alla società così da permetterle di dare avvio alle prime attività del piano di sviluppo del business e di meglio strutturare le fondamenta del progetto, con l'obiettivo di raggiungere in seguito un “Series A Funding”, ovvero ad un round di investimento successivo più consistente e capace di attrarre anche società di venture capital più tradizionali e investitori di maggior spessore.

Il vantaggio per l'investitore S.A.F.E. sta nel fatto che, in caso di successivo “Series A Funding”, lui potrà convertire in equity della società l'importo investito, alle stesse condizioni dell'investitore che porta il “Series A Funding”, ovvero a condizioni generalmente più convenienti per l'investitore rispetto a quelle della fase di “seed financing”.

Nella prassi trattasi di regolamenti contrattuali brevi, piuttosto semplici e standardizzati, all'interno dei quali le parti regolano l'insieme delle modalità e condizioni di funzionamento dello strumento, come ad esempio il prezzo di conversione dell'importo investito - che il più delle volte non dovrà superare una determinata soglia (c.d. “cap”) - e al quale verrà applicato uno sconto tipicamente compreso nel range del 15/20%.

Nei S.A.F.E. il destino dell'importo investito dipende generalmente dal verificarsi di particolari eventi futuri, denominati, a seconda del genere di evento, “Liquidity Event” (generalmente un cambio di controllo nella società o un IPO), “Equity Financing” (generalmente futuri round di investimento e aumenti di capitale con l'ingresso di ulteriori investitori), “Distribution Event” (generalmente distribuzione dei dividendi e delle riserve ai soci della società), “Dissolution Event” (generalmente lo scioglimento della società dovuto alla perdita integrale del capitale e del patrimonio netto) etc.

Non tutti gli eventi sopra descritti, tuttavia, danno luogo alla medesima conseguenza nei confronti dell'investitore, infatti, se, ad esempio, al verificarsi di eventi di un “Equity Financing”o di un “Liquidity Event” l'investitore titolare del S.A.F.E. potrà convertire l'importo investito mediante l'assegnazione di azioni o quote della società dotate di diritti privilegiati (cd. “Safe Preferred Stocks”), consistenti in azioni prive del diritto di voto ma prioritarie, in relazione alla distribuzione dei dividendi, rispetto alle azioni ordinarie (cd. “Common Stocks”), al contrario, al verificarsi di un “Dissolution Event” si assisterebbe ad un rimborso privilegiato in favore dell'investitore dell'investimento dallo stesso effettuato.

Infine, i S.A.F.E., in quanto strumenti di semi-equity, non prevedono né la maturazione di alcun interesse sull'importo investito, né la capitalizzazione degli interessi stessi, oltre a non prevedere, nemmeno, nella maggior parte dei casi, una precisa data di scadenza del documento, sebbene le parti possano concordare la previsione di una cd. “Conversion Option Date”, al raggiungimento della quale, qualora nessun evento disciplinato dal S.A.F.E. si fosse verificato, avrebbe comunque luogo la conversione in azioni o quote, anche ordinarie.

In questo senso parrebbe possibile mutuare nel regolamento degli strumenti finanziari partecipativi clausole tipiche nella prassi americana dei S.A.F.E., come ad esempio le clausole di “accelerazione” viste in precedenza (“Equity Financing” e “Liquidity Event”), che consentono all'investitore di convertire l'investimento anticipatamente rispetto alla data di conversione.

Non altrettanto si potrebbe dire per le clausole del S.A.F.E. che regolano il rimborso privilegiato dell'investimento al verificarsi dei “Dissolution Events", come ad esempio lo scioglimento della società dovuto alla perdita integrale del capitale e del patrimonio netto, evento quest'ultimo che, infatti, nel diritto italiano, comporterebbe l'erosione anche della riserva destinata agli SFP e quindi, di fatto, la perdita stessa dell'investimento e la conseguente impossibilità di rimborso privilegiato in favore del titolare di SFP. In questo senso, infatti,la più recente giurisprudenza (si veda l'ordinanza emessa dal Tribunale di Napoli il 25 febbraio 2016) ha ammesso la disponibilità della riserva formata con l'emissione degli strumenti finanziari partecipativi giacché di natura statutaria e, di conseguenza, erodibile dalle perdite di periodo prima delle riserve legali e del capitale.

In sostanza sia l'incertezza, come visto in precedenza, rispetto alla possibilità da parte di Società a responsabilità limitata di emettere strumenti finanziari partecipativi dotati contemporaneamente del diritto/obbligo al rimborso e del diritto alla conversione in equity, sia il dibattito accesosi in dottrina e giurisprudenza relativamente alla disponibilità o meno della riserva formatasi con l'emissione degli strumenti finanziari partecipativi, la quale, laddove riconosciuta, potrebbe comportare un rischio di perdita dell'investimento e del mancato rimborso all'investitore, costituiscono profili problematici da considerarsi attentamente nel momento in cui si intenda prendere ad esempio un modello S.A.F.E. nell'impostazione di un round di investimento inerente a una società italiana, specie se costituita in forma di Società a responsabilità limitata.

Convertible Note

La Convertible Note è uno strumento contrattuale anch'esso piuttosto flessibile, sebbene più complesso del S.A.F.E.,spesso usatonella prassi statunitense principalmente per l'investimento in startup e società ad alto potenziale di crescita futura, che parrebbe rappresentare, mutatis mutandis nel nostro ordinamento, un ibrido fra le obbligazioni convertibili in azioni e il mutuo tradizionale, avente l'impostazione propria della raccolta di fondi a debito.

Consiste, dunque, in uno strumento finanziario di breve termine che, al pari del S.A.F.E., si converte in quote di capitale della società finanziata al verificarsi di un evento di liquidità, in genere durante un successivo round di finanziamento,o al raggiungimento di una particolare milestone. È anch'esso uno strumento principalmente utilizzato da soggetti che vogliono investire in una nuova iniziativa di business ma che desiderano rimandare la valutazione dell'azienda al momento in cui il business è più concreto e con un equity story misurabile e “presentabile” ad altri investitori che intervengono in business più strutturati.

Nello specifico, l'investitore procede a effettuare un finanziamento alla società, sulla base di un contratto che stabilisce i vari step, i termini e le condizioni che regolano il rapporto con la stessa. Trattasi sostanzialmente di una sorta di titolo obbligazionario che la società sottoscrive con terzi finanziatori riconoscendo loro, come sopra anticipato, sia il diritto alla conversione del titolo in quote o azioni della società, in relazione alla quale, alla pari di quanto avviene per i S.A.F.E., è piuttosto usuale prevedere un “cap” uno sconto sul prezzo stesso di conversione, sia il diritto alla restituzione del capitale finanziato, ragione per la quale l'investimento realizzato mediante Convertible Note viene contabilizzato fra i debiti della società verso terzi. A differenza del S.A.F.E., inoltre, la Convertible Note, stante la sua natura, spesso prevede la maturazione di interessi rispetto all'apporto investito e la capitalizzazione degli stessi.

Gli investitori sono a tutti gli effetti dei creditori che, qualora lo richiedano, hanno diritto alla remunerazione del denaro prestato, alla sua restituzione e in caso di fallimento dell'iniziativa dovranno essere soddisfatti tramite la liquidazione degli asset societari.

Con le Convertible Notes, trattandosi di strumenti di breve termine,viene individuata dalle parti una data di scadenza dello strumento (cd. “Maturity Date”), allo scadere della quale, nel caso in cui non si fosse sino a quel momento realizzato alcun evento previsto dal contratto ai fini della conversione, generalmente viene concessa all'investitore la facoltà di decidere, alternativamente, (i) se procedere comunque alla conversione, (ii) se optare per la restituzione dell'apporto congiuntamente agli interessi maturati, oppure (iii) se rinegoziare una nuova data di scadenza futura in maniera tale da permettere alla società di raggiungere gli obiettivi prefissati.

Le Convertible Notes, considerate le caratteristiche ora descritte, sembrano decisamente più assimilabili alle obbligazioni convertibili piuttosto che agli strumenti finanziari partecipativi.

La possibilità di emettere obbligazioni, peraltro, sebbene inizialmente prevista, nel nostro ordinamento, solo in favore delle Società per Azioni ai sensi degli artt. 2410 e ss., è oggi prevista anche in favore delle società a responsabilità limitata ma con importanti limitazioni. L'art. 2483 del codice civile prevede, infatti, che le società a responsabilità limitata possano emettere titoli di debito a condizione, però, che gli stessi siano sottoscritti da “investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali” (Sicav, Banche, società di investimento mobiliare etc.).

Ragionando, quindi, sulla possibilità di strutturare strumenti simili o quantomeno paragonabili alle Convertible Notes, mentre per le Società per Azioni il percorso pare essere più agevole, per quanto riguarda le Società a responsabilità limitata, al contrario, emergono due profili problematici:

(i) da un lato, vanno considerati, per il caso in cui si costruisca di fatto uno strumento di debito, i limiti imposti dall'art. 2483 c.c., in forza dei quali la sottoscrizione dei titoli di debito emessi da una s.r.l. sarebbe limitata a “investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali”;

(ii) dall'altro, resta il tema dell'emissione da parte della Società a responsabilità limitata di strumenti di fatto paragonabili a prestiti obbligazionari convertibili. Infatti, se per le s.p.a. tale possibilità è stata espressamente prevista e regolata dall'art. 2420-bis c.c., altrettanto non si può dire per le s.r.l., siano esse“innovative”o meno. Controversa è, infatti, la possibilità di attribuire al sottoscrittore di titoli di debito emessi da una s.r.l. (i.e. uno degli investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali), un diritto alla loro conversione in quote della Società a responsabilità limitata emittente, caso nel quale evidentemente la deliberazione di emissione dovrebbe fare il paio con una deliberazione di aumento del capitale sociale della società emittente a servizio della futura conversione.

Alcune classiche disposizioni contenute nei Regolamenti di strumenti finanziari partecipativi; la prassi per le società con strumenti finanziari “quotati”; strumenti di equity e non di debito

Abbiamo analizzato, infine,le caratteristiche di alcuni strumenti finanziari partecipativi emessi da società di capitali italiane che hanno strumenti finanziari negoziati sul sistema multilaterale di negoziazione AIM Italia o sul mercato MTA, entrambi gestiti da Borsa Italiana (d'ora in avanti denominate “Quotate”).

Ad oggi sono poche le Quotate che hanno emesso strumenti finanziari partecipativi successivamente all'avvio delle negoziazioni dei propri strumenti finanziari. Il Regolamento di questi strumenti, come generalmente avviene, disciplina le modalità, i termini e le condizioni di emissione, le caratteristiche, il regime di circolazione, nonché i diritti patrimoniali e amministrativi assegnati agli stessi. Abbiamo ritenuto utile una loro breve disamina per dare un'idea “pratica” di come nella prassi prendono forma questo tipo di strumenti.

Come visto supra, normalmente gli strumenti finanziari partecipativi sono sottoscritti e contestualmente liberati mediante apporto in denaro di una somma pari al valore nominale degli stessi, apporti poi contabilizzati con un'apposita riserva strumenti finanziari partecipativi. In diversi casi tali strumenti sono sottoscritti da terzi istituzionali a mezzo compensazione di crediti pregressi.

Nello specifico, è emerso come, in nessuno dei casi analizzati, gli strumenti finanziari partecipativi, fatti salvi i diritti patrimoniali disciplinati dal Regolamento e che vedremo in seguito, incorporassero il diritto per il titolare alla restituzione e/o rimborso dell'apporto effettuato, salvo in caso di scioglimento della società, nel qual caso gli strumenti finanziari partecipativi potranno concorrere alla ripartizione dell'attivo. In diversi casi sono previsti, invece, diritti di opzione per il caso di emissione di nuovi strumenti finanziari partecipativi.

I diritti patrimoniali più comunemente assegnati riguardano la partecipazione alla distribuzione di utili e di riserve da utili, oltreché, per l'appunto, la partecipazione al riparto del residuo attivo in caso di liquidazione. Con riferimento invece ai diritti amministrativi, normalmente gli strumenti finanziari partecipativi non prevedono in nessun caso il diritto di voto e la partecipazione da parte dei titolari degli stessi all'assemblea generale dei soci. Sono invece previsti ampi diritti di informativa.

È generalmente prevista,inoltre,l'istituzione dell'assemblea speciale dei titolari di strumenti finanziari partecipativi il cui parere favorevole è determinante per permettere all'assemblea dei soci di deliberare su determinate materie, tipicamente riferibili ai relativi diritti patrimoniali, come ad esempio fusione, scissione, messa in liquidazione, riduzione e aumento di capitale, emissione obbligazioni etc. È, altresì, sovente prevista la nomina di un rappresentante comune.

Con riferimento ai diritti fondamentali che acquisiscono i titolari di strumenti finanziari partecipativi legati alla legittima attesa di guadagno dall'investimento, troviamo due principali soluzioni operative:

  1. possono essere previsti meccanismi attraverso i quali i titolari di strumenti finanziari partecipativi, secondo rapporti da stabilirsi, hanno il diritto di convertire gli strumenti finanziari partecipativi, in un dato periodo di conversione, in azioni ordinarie della Quotata;
  2. alternativamente, quando non è previsto il diritto di conversione,gli strumenti finanziari partecipativi attribuiscono ai titolari il diritto di percepire, con priorità rispetto alle azioni rappresentative del capitale sociale della società,una percentuale, in alcuni casi la totalità o la quasi totalità,sulle distribuzioni effettuate dalla Quotata, dove per distribuzioni si intende qualsiasi distribuzione effettuata dalla società a titolo di utili di esercizio, distribuzioni di riserve di utili distribuibili etc., sino al raggiungimento di una determinata soglia di incasso. Una volta raggiunto tale “cap” di incasso, ai titolari di strumenti finanziari partecipativi, a seconda dei casi, può residuare il diritto di partecipare alla distribuzione, in percentuali normalizzate oppure può estinguersi qualsiasi diritto alla distribuzione.

Si ammette, infine, normalmente la trasferibilità degli strumenti finanziari partecipativi e viene espressamente specificata la natura di investimento di rischio propria dei presenti strumenti finanziari partecipativi, essendo questi emessi senza obbligo di rimborso e conferendo ai titolari esclusivamente i diritti patrimoniale espressamente previsti nel Regolamento, con esclusione di qualsiasi diritto amministrativo (fatti salvi i diritti connessi all'assemblea speciale).

Ad ogni modo, gli strumenti finanziari partecipativi presi in esame non sono poi stati oggetto di quotazione e, quindi, negoziati su mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione. Sono rimasti strumenti non quotati, normalmente riservati alla sottoscrizione da parte di un ristretto numero di creditori preesistenti della società (in quest'ottica potrebbero per esempio essere utilizzati al termine naturale di un bond) oppure da investitori istituzionali.

Pare, infatti, che la tendenza sia principalmente quella di convertire in strumento finanziario partecipativo del debito pregresso, come ad esempio quello derivante da precedenti bond o accordi finanziari con istituti di credito, nell'intento ultimo di migliorare la posizione debitoria della società.

In questo senso va letta la scelta da parte di tali società di escludere l'obbligo di rimborso, elemento questo che permette di ragionare in merito alla strutturazione di strumenti simili anche per società “innovative” costituite in forma di Società a responsabilità limitata.

Ci chiediamo, dunque, in conclusione, se quest'ultima considerazione non possa eventualmente fungere anche da spunto per superare situazioni di difficoltà come quella nella quale versano oggi molte società di capitali nel nostro Paese e nella quale, verosimilmente, verseranno per i mesi a venire.

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