Il «diritto/dovere» di visita del figlio minore da parte del genitore non collocatario è coercibile in forma indiretta?
29 Aprile 2020
Massima
In tema di rapporti con la prole, il diritto dovere di visita del figlio minore spettante al genitore non collocatario, non è suscettibile di coercizione neppure nelle forme indirette previste dall'art. 614-bis c.p.c., trattandosi di un «potere-funzione» che, non essendo sussumibile negli obblighi la cui violazione integra una grave inadempienza ex art. 709-ter c.p.c., è destinato a rimanere libero nel suo esercizio, quale esito di autonome scelte che rispondono anche all'interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata. (Nella specie la S.C. ha cassato il provvedimento del giudice di merito, che aveva condannato il genitore non collocatario al pagamento di una somma in favore dell'altro genitore, per ogni inadempimento all'obbligo di visitare il figlio minore). Il caso
AAA ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l'annullamento del provvedimento con cui una Corte di merito aveva respinto il reclamo da lui proposto avverso decisione del giudice di prima istanza di condanna alla prestazione di una somma di denaro per l'inadempimento dell'obbligo di incontrare il figlio minore, del quale non era collocatario, secondo i tempi e le modalità fissate in precedente giudizio in cui era stata accolta la domanda di accertamento della sua paternità naturale proposta dalla madre del minore, e con cui, inoltre, era stato stabilito, ora per allora, che in occasione di ogni futuro inadempimento del suddetto obbligo, egli dovesse versare alla controparte la somma di € 100,00. La questione
La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di Cassazione è stata quella di stabilire se il «diritto-dovere» di visita del figlio minore spettante al genitore non collocatario sia suscettibile, nella sua declinazione passiva («dovere»), di coercibilità in via indiretta nelle forme previste dall'art. 614-bis c.p.c. Le soluzioni giuridiche
i) Il ricorrente aveva esposto doglianza avverso il provvedimento sanzionatorio pronunciato nei suoi confronti deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 614-bisc.p.c. in combinato con l'art. 709-terc.p.c., sul rilievo che le statuizioni di coercizione indiretta previste dalla prima di tali due norme dovevano ritenersi inapplicabili agli obblighi di visita, competendo al riguardo al genitore non collocatario un diritto potestativo, rimesso, cioè, alla sua disponibilità e, conseguentemente, non coercibile né assoggettabile a provvedimenti sanzionatori ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c.
ii) La S.C. ha accolto la tesi del ricorrente, affermando che il «diritto-dovere» di visita da parte del genitore non collocatario del figlio minorenne è insuscettibile di coercizione in via indiretta, trattandosi di un «potere-funzione» non sussumibile negli obblighi la cui violazione integra una grave inadempienza ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c.
iii) L'iter argomentativo è stato il seguente: Preliminarmente la S.C. ha chiarito che, in ragione della specialità delle regole che disciplinano il diritto di famiglia, alle vicende delle relazioni che si intessono nell'ambito familiare, ispirate all'attuazione del preminente interesse del minore nel quale trovano fondamento e limite, non è applicabile la disciplina del diritto delle obbligazioni, ove gli obblighi non adempiuti sua sponte dal debitore possono avere esecuzione con i mezzi (esecuzione forzata) appositamente predisposti. La S.C. ha, ulteriormente, precisato che negli ambiti familiari, nei rapporti tra genitori e figli, compete ai primi l'esercizio di comune accordo della responsabilità genitoriale (art. 316 c.c.), ai fini dell'attuazione del diritto dei figli minori di essere mantenuti, istruiti, educati ed assistiti moralmente nel rispetto delle loro inclinazioni naturali ed aspirazioni, «per contenuti che, richiamando quelli di un munus pubblico, sono espressivi della realizzazione degli interessi dei minori stessi», e che, in tale contesto, «si declina il "diritto-dovere" di visita del genitore presso il quale il figlio minore non sia stato collocato che … è esercitabile dal genitore titolare che voglia o debba svolgere il proprio ruolo concorrendo con l'altro ai compiti di assistenza, cura ed educazione della prole». La S.C. ha, quindi, reso ragione della qualificazione delle condotte di visita e di frequentazione da parte del genitore non collocatario del minore come «diritto-dovere» affermando che trattasi di un «diritto» giacché tutelabile (in ragione del diritto del minore alla bi-genitorialità) rispetto alle condotte pregiudizievoli poste in atto dall'altro genitore, obbligato ad astenersi da qualsiasi condotta che ne ostacoli o impedisca l'esercizio; che trattasi, ad un tempo, di un «dovere», che, peraltro, fondandosi «sulla autonoma e spontanea osservanza da parte dell'interessato», essendo cioè «espressione della capacità di autodeterminazione del soggetto», è rimesso, nel suo esercizio, «alla libera e consapevole scelta di colui che ne sia onerato, per una discrezionalità che, pur non assoluta e rivolta alla tutela dell'interesse indicato dalla legge, entro siffatto limite deve trovare ragione e termine ultimo di esercizio». La S.C. ha aggiunto che in tale contesto si inserisce il diritto dei figli alla bigenitorialità, garantito, in sede di separazione fra i genitori, mediante l'affidamento condiviso, con le opportune prescrizioni circa i tempi e le modalità di presenza dei figli presso il genitore non collocatario stabiliti in accordo fra le parti o dal giudice (art. 337-ter c.c.), in guisa da assicurare la presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi i genitori (Cass. civ., sez. VI, 23 settembre 2015, n. 18817; Cass. civ., sez. I, ord., 8 aprile 2019, n. 976); venendo, in tal modo assicurata la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare, di cui all'art. 8 della C.E.D.U. (Corte EDU, sez. I, 9 febbraio 2017, n. 76171 - caso Solarino c. Italia).
iv) Dopo avere ribadito che al «dovere» di visita si deve disconoscere la natura di vero e proprio obbligo, coercibile ad iniziativa dell'altro genitore o dello stesso figlio minore, giacché ciò urterebbe con la sua stessa finalità, di strumento di realizzazione dell'interesse superiore del minore, inteso come crescita ispirata a canoni di equilibrio ed adeguatezza, la S.C. ha concluso affermando l'inapplicabilità dei disposti dell'art. 614-bisc.p.c., inteso quale «fonte di un provvedimento di coercizione indiretta assimilabile alle astreintes», nei confronti del genitore che rifiuta di frequentare il proprio figlio, la cui disciplina presuppone l'inosservanza di un provvedimento di condanna mentre il dovere di visita costituisce un'esplicazione della relazione tra genitore e figlio, che può trovare regolamentazione nei suoi tempi e modi, ma non può mai costituire l'oggetto di una condanna ad un facere anche se infungibile. La S.C. ha ritenuto inapplicabile nella fattispecie anche l'art. 709-terc.p.c., considerato che esso configura un rimedio ex post, sanzionando condotte in ipotesi in cui il danno si è già verificato e non riguarda coercizioni preventive ed indirette di un dovere in caso di future inosservanze, essendo i poteri di intervento del giudice previsti dalla norma circoscritti al presente e, quanto alle conseguenze future di un possibile successivo protrarsi del comportamento sanzionato, limitati al potere di ammonimento. La S.C. ha, infine, annotato che l'inadempienza del «dovere» in esame, pur data la non coercibilità della relativa condotta, non può andare esente da censura, qualora ne derivi lesione al diritto del figlio alla bigenitorialità, potendosi applicare – ad istanza di parte o, nei congrui casi, del PM - rimedi, differenti da quelli appena sopra ricordati, nella forma della trasformazione dell'affidamento condiviso del minore in affidamento esclusivo all'altro genitore oppure nella forma di provvedimenti ablativi o sospensivi della responsabilità genitoriale; salve, concorrendone i presupposti, responsabilità penali per il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.). Osservazioni
i) La materia è complessa e in questa sede ci si deve limitare a compiere soltanto alcune notazioni.
ii) La condotta di visita e frequentazione del minore da parte del genitore non collocatario è stata qualificata dall'ordinanza in commento come un «diritto-dovere» o, più esattamente, come un «potere-funzione» e la relativa incombenza è stata ritenuta mirata a realizzare il rapporto genitore-figlio, peraltro con attribuzione al genitore della facoltà (rectius: diritto potestativo) di darvi osservanza o stretta osservanza; con la conseguenza della sua non coercibilità. Quale oggetto della suddetta incombenza vengono in rilievo, ove omologate, le clausole convenute tra le parti oppure i prescritti dati dal giudice ex art. 337-ter c.c., in ordine ai tempi ed alle modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, nonché alla misura ed al modo in cui ciascuno di essi deve dare contributo alla cura, all'istruzione ed all'educazione (e al mantenimento) della prole.
iii) A fondamento della disposizione appena sopra citata, è posto il principio secondo cui il figlio minore, anche in presenza di una situazione di disgregazione del nucleo familiare, ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, il che è realizzabile mediante l'affidamento condiviso, che costituisce, infatti, la regola ordinaria, derogabile soltanto qualora la situazione venga reputata contraria all'interesse del minore (art. 337-quater c.c.). Si tratta di una delle ormai molteplici applicazioni del principio, da ritenere definitivamente consolidato, secondo cui l'interesse del minore (in tutti i suoi aspetti; nella specie, ad una crescita sana ed equilibrata) è da ritenere «preminente». Proprio in ragione di tale specificazione (le cui fonti primarie si rinvengono negli artt. 3, 9 e 18 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, e nell'art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europa — Strasburgo 12 dicembre 2007) l'interesse del minore non può essere posto in comparazione con altri valori e, comunque, non può essere sottordinato agli stessi. Vero è che, secondo il pensiero espresso dalla S.C., il «potere-dovere» di visita del genitore deve essere sempre letto come mirato a realizzare l'interesse superiore dal minore, ma non è dubitabile che ciò non possa certamente avvenire privando il minore del rapporto o del rapporto nei termini concordati o prescritti, salvo che ciò sia consigliato (nell'interesse del minore) da situazioni del tutto peculiari, che, comunque, non risultano riferite nella fattispecie neppure in via di ipotesi. Le considerazioni testè svolte rendono opinabile la posizione assunta dalla S.C. Il «dovere» di visita non è qualificabile come «potere-funzione», espressione di un diritto potestativo a fronte del quale la posizione del minore si porrebbe come «irrilevante», ma semplicemente, ed unicamente, come «dovere», come vero e proprio «obbligo», da correlare, nonché ai provvedimenti adottati ex art. 337-ter, comma 2, c.c. ai disposti degli artt. 147 e 316 c.c., proprio al fine di realizzare l'interesse superiore (più esattamente: «preminente)» del minore. Con salvezza dei casi in cui il genitore non sia in grado di tenere la relativa condotta, per ragioni esulanti dalla sua volontà oppure se – in casi che debbono ritenersi assai infrequenti -, adempiendovi, potrebbe recare pregiudizio al minore; dovendosi, in tali ipotesi, approntare i necessari rimedi.
iv) Si pone, a tal punto,il problema se fra gli strumenti per garantire l'osservanza dei suddetti prescritti possano essere collocate misure coercitive indirette. Mediante l'art. 614-bis c.p.c. (il riferimento è al testo della norma attualmente vigente, a seguito delle modifiche apportate dal d.l. n. 83/2015, convertito con modificazioni nella legge n. 132/2015) è stata introdotta nel nostro ordinamento processuale la previsione di una misura coercitiva, finalizzata ad incentivare l'adempimento spontaneo degli obblighi di fare e di non fare, infungibili e fungibili, mediante la prospettazione di una sanzione civile di carattere pecuniario (astreinte o penalità di mora) in caso di protrazione dell'inadempimento. Trattasi di una misura di carattere generale, dunque compatibile anche con i rapporti familiari. Stando alla norma che la prevede, la misura in esame può accedere unicamente a «provvedimento di condanna» all'adempimento di obblighi determinati di fare o di non fare. È controverso se negli ambiti di tali provvedimenti possano essere posti quelli relativi alla prole che il Tribunale deve adottare (anche nelle forme dell'omologa dell'eventuale accordo intercorso tra i genitori) ai sensi dell'art. 337-ter c.c., in relazione sia al regime di affidamento sia, più specificamente, alla regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale ed alla determinazione dei tempi e delle modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore. Secondo un orientamento, che dà valenza poziore al tenore letterale della suddetta locuzione, i provvedimenti di nostro interesse non comportano statuizioni di condanna, conseguendone l'inapplicabilità delle misure di coercizione indiretta (v., in tal senso, l'ordinanza della S.C. in commento, nonché Trib. Mantova, sez. I, decreto 12 luglio 2018, in Redaz. Giuffrè 2018). Secondo un altro orientamento, l'espressione «provvedimento di condanna» è, invece, interpretabile in senso lato, vale a dire come qualsiasi provvedimento che abbia un contenuto condannatorio: l'ambito della tutela di condanna si può, dunque, ampliare fino ad includere tutti gli obblighi civili (inclusi quelli afferenti alla responsabilità genitoriale), salve le eccezioni espressamente dettate dalla norma (v., in tal senso, App. L'Aquila, decreto 9 ottobre 2018, inedito, e, in dottrina, le opere di Ficcarelli, Monteleone e di Vincre citate nella Guida all'approfondimento). Pur essendo auspicabile l'intervento chiarificatore o innovatore del legislatore, è opinione di chi scrive che tale secondo orientamento sia da preferire giacché, oltre che provvisto di validi argomenti a suo sostegno, consente di dare effettiva tutela all'interesse («preminente») del minore.
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