Al danneggiato spetta una somma superiore al danno subito solo nell'ipotesi di sfruttamento di beni o risorse di sua proprietà

30 Aprile 2020

Il profitto dell'autore dell'illecito rileva, nella determinazione del rimedio quando è realizzando sfruttando indebitamente un diritto altrui di natura proprietaria o che consente al titolare il godimento o lo sfruttamento del bene indebitamente sottratto (lo sfruttamento) dal terzo per suo personale profitto. In sostanza, l'arricchimento conta ai fini risarcitori se è frutto di una particolare condotta: quella di sfruttamento indebito di beni o risorse altrui.

Il fatto. Una società editrice veniva condannata in diversi giudizi al risarcimento dei danni da diffamazione, prima in favore del diretto danneggiato e, successivamente, in favore degli eredi di quest'ultimo. Nel terzo dei giudizi intentati dal diffamato la predetta società veniva, altresì, condannata alla pubblicazione, a sue spese, della sentenza di condanna su diversi quotidiani nazionali. Tuttavia, non avendo ottemperato a quest'ordine, gli eredi del diffamato agivano in giudizio per il risarcimento del danno. Il Tribunale adito quantificava il danno nella misura corrispondente all'arricchimento del danneggiante, ossia al costo da quest'ultimo risparmiato omettendo la pubblicazione. Di conseguenza, il risarcimento spettante al diffamato veniva stimanto in misura superiore ai centomila euro. La Corte di Appello investita del gravame invece, riteneva che l'ammontare del danno dovesse ridursi in ragione dell'inerzia dei danneggiati che, pur potendo provvedere, a loro spese, alla pubblicazione ex art. 120 c.p.c., non lo avevano fatto, così contribuendo al danno subito ai sensi dell'art. 1227 c.c.. Successivamente, la Corte di Cassazione smentiva con sentenza questa tesi annullando con rinvio e pronunciando il principio secondo cui l'inerzia del danneggiato che non provvede da sè alla pubblicazione della sentenza, non costituisce concorso colposo valutabile ai fini del risarcimento. La Corte di Appello investita del rinvio riteneva, però, che il danno non potesse stimarsi come aveva ritenuto il giudice di prime cure, ossia tenendo conto dell'arricchimento del danneggiante, vale a dire del costo risparmiato da costui per l'omessa pubblicazione, ma dovesse valutarsi in base all'art. 2043 c.c. e, quindi, andasse in tale ottica stimato equitativamente, non essendovi parametri oggettivi cui ancorarlo. Riconosceva pertanto, ai danneggiati una somma inferiore rispetto a quella liquidata a suo tempo dal giudice di merito.

Risarcimento. Gli eredi del danneggiato proponevano ricorso per Cassazione avverso la pronuncia resa dalla Corte distrettuale. Nella specie, gli Ermellini hanno ritenuto infondato il primo dei due motivi proposti dai ricorrenti per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2041 e 1226 c.c. e sulla scorta del quale costoro assumevano che il Collegio di merito avesse errato nel ritenere che il danno da risarcire coincidesse con il pregiudizio subito dai danneggiati senza tener conto dell'arricchimento avvenuto in favore del danneggiante mediante il fatto illecito. Con stretto riguardo alla fattispecie portata all'attenzione del Collegio di legittimità, quest'ultimo osserva invece, che la Corte di merito aveva correttamente ravvisato nella condotta della società editrice l'elemento soggettivo proprio di un illecito civile, ossia la volontà di non volere adempiere all'ordine di pubblicare la sentenza di condanna. Quanto poi alla questione dell'ammontare del risarcimento nel caso di arricchimento mediante fatto ingiusto i giudici precisano che dal sistema è ricavabile una regola generale secondo cui il profitto dell'autore dell'illecito rileva nella determinazione del risarcimento solo quando è realizzato sfruttando indebitamente un diritto altrui di natura proprietaria o che consente al titolare il godimento o lo sfruttamento del bene indebitamente sottratto.

Concludendo.Pertanto, concludono i Giudici di legittimità, l'arricchimento conta ai fini risarcitori solo se è frutto della condotta di sfruttamento indebito di beni o risorse altrui. In questi casi, infatti, può farsi anche applicazione analogica degli artt. 1148 c.c. e 125, comma 3, codice della proprietà industriale. Fuori da tali casi è applicabile direttamente o analogicamente l'art. 2032 c.c. quando l'operato abusivo sia ratificato dal danneggiato che dunque fa proprio l'utile netto. In ogni altra ipotesi l'ordinamento non consente al danneggiato di lucrare una somma superiore al danno subito.

(FONTE: dirittoegiustizia.it)

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