Corte di giustizia: subentro di due appaltatori nel precedente appalto e acquisizione del personale
04 Maggio 2020
Massima
La conservazione del contratto di lavoro, senza modificazioni, in caso di cambio di appalto si applica anche in caso di suddivisione del servizio oggetto dell'appalto da un'unica società cedente a più società cessionarie; i diritti e gli obblighi risultanti dal contratto di lavoro sono trasferiti a ciascuno dei cessionari, in proporzione alle mansioni svolte dal lavoratore presso il cedente, a condizione che la scissione del contratto del lavoro che ne risulta sia possibile o non comporti un deterioramento delle condizioni di lavoro né pregiudichi il mantenimento dei diritti del lavoratore garantito dalla direttiva 2001/23/CE. Il caso
La sig.ra Govaerts era dipendente, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, della ISS Facility Services società incaricata della pulizia e della manutenzione di diversi edifici della cala di Gent (Belgio) suddivisi in tre lotti; a seguito di gara d'appalto, relativa a tutti i lotti summenzionati per il periodo settembre 2013 - agosto 2016, i lotti 1 e 3 sono stati aggiudicati all'Atalian, mentre il lotto 2 e stato aggiudicato alla Cleaning Masters NV. La ISS ha dunque comunicato alla sig.ra Govaerts che. a seguito del trasferimento dell'impresa e del suo impiego nei cantieri corrispondenti ai lotti 1 e 3, la medesima sarebbe entrata alle dipendenze dell'Atalian dal 1' settembre 2013, data a partire dalla quale non avrebbe più fatto parte del personale della ISS. L'Atalian ha comunicato alla ISS che non considerava che si fosse configurato alcun trasferimento d'impresa e che pertanto nessun rapporto contrattuale la vincolava alla sig.ra Govaerts.
Il Tribunale a cui si è rivolta la lavoratrice ha escluso la ricorrenza di un'ipotesi di trasferimento d'azienda (in quanto la lavoratrice non partecipava, nei cantieri della città di Gent, ai lavori di pulizia oggetto del trasferimento) ed ha ritenuto che il licenziamento della sig.ra Govaerts fosse irregolare, con conseguente condanna della ISS al versamento di un'indennità di licenziamento.
Il giudice di secondo grado, di diverso avviso del primo, ha rilevato che i compiti della sig.ra Govaerts riguardano esclusivamente i cantieri della città di Gent, e che dunque la stessa facesse parte dell'impresa trasferita, con conseguente passaggio dei diritti e degli obblighi gravanti sul cedente in forza dei contratti di lavoro esistenti al momento del trasferimento (settembre 2013) alle due società cessionarie, Atalian e Cleaning Masters. La Corte di appello ha, dunque, deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia dell'U.E. la questione pregiudiziale concernente le modalità di passaggio della dipendente ad una e/o all'altra società subentrante nell'appalto. La questione
La questione in esame è la seguente: in caso di perdita di un appalto da parte di una società e di subentro di due società nell'ambito dei diversi servizi in cui era composto l'appalto stesso, qual è la sorte dei dipendenti addetti a tali servizi? La soluzione giuridica
Preliminarmente, la Corte di giustizia rileva che l'ipotesi di scissione dell'azienda (presso cui il lavoratore prestava servizio) con conseguente passaggio a due società cessionarie non impedisce l'applicazione della direttiva. E' pur vero che l'ipotesi di un trasferimento che coinvolga più cessionari non è espressamente contemplata dall'art. 3, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2001/23 ma lo scopo che permea tutta la direttiva, ossia quello di garantire, nei limiti del possibile, la continuazione dei contratti o dei rapporti di lavoro, senza modificazioni, dal cedente al cessionario, consente agevolmente di includere anche queste ipotesi nell'ambito delle garanzie offerte al lavoratore. Inoltre, la circostanza che l'azienda passi a uno o più cessionari non muta la situazione del cedente. Insomma, la direttiva non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni lavorative ma deve, comunque, salvaguardare, in tutti i casi di trasferimento di impresa, gli interessi dei lavoratori, cercando di assicurare un giusto equilibrio tra gli interessi di questi ultimi, da un lato, e quelli del cessionario, dall'altro.
Per tali ragioni, non può escludere dall'ambito di applicazione della direttiva queste ipotesi per il semplice fatto che essa implica il trasferimento ad uno dei cessionari di un contratto di lavoro avente ad oggetto un modesto numero di ore di lavoro.
Modalità di passaggio dei diritti e degli obblighi dal cedente ai cessionari Deve ritenersi esclusa la soluzione di trasferire l'intero contratto di lavoro unicamente al cessionario che è subentrato nella parte di azienda ove il lavoratore esercitava le sue mansioni in via principale, perché in tal modo si interpreterebbe l'art. 3, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2001/23 prescindendo dagli interessi del cessionario, posto che a quest'ultimo verrebbero trasferiti i diritti e gli obblighi derivanti da un contratto di lavoro a tempo pieno (e non a tempo parziale).
Concentrandosi, dunque, sulla soluzione di trasferire a ciascuno dei cessionari i diritti e gli obblighi risultanti dal contratto di lavoro concluso con il cedente in proporzione alle mansioni esercitate dal lavoratore, spetta al giudice del rinvio determinare le modalità di un'eventuale ripartizione del contratto di lavoro, posto che l'art. 2, paragrafo 2, della direttiva 2001/23 non pregiudica il diritto nazionale circa la definizione del contratto o del rapporto di lavoro. Il giudice del rinvio, al fine di ripartire il contratto tra i più cessionari, può prendere in considerazione il valore economico dei rami di azienda trasferiti a ciascun cessionario (e ai quali il lavoratore era assegnato) oppure valutare il tempo che effettivamente il lavoratore dedicava a ciascun ramo.
Questa soluzione consente, in linea di principio, di garantire un giusto equilibrio tra la tutela degli interessi del lavoratore e dei cessionari, in quanto il lavoratore vede mantenuti i diritti derivanti dal suo contratto di lavoro, mentre ai cessionari non sono imposti obblighi superiori a quelli che comporta, nei loro confronti, il trasferimento d'impresa di cui trattasi.
Peraltro, la direttiva non può essere invocata per deteriorare le condizioni di lavoro del lavoratore colpito da un trasferimento d'impresa: dunque, ove la scissione del contratto di lavoro si riveli impossibile o comporti un deterioramento delle condizioni di lavoro e dei diritti del lavoratore, tale contratto può essere risolto dal lavoratore e tale cessazione del rapporto va considerata, ai sensi dell'art. 4, paragrafo 2, della direttiva 2001/23, come avvenuta per effetto del o dei cessionari.
Il dispositivo La Corte di giustizia conclude, pertanto, affermando che: in presenza di un trasferimento d'impresa che coinvolge più cessionari, l'art. 3, paragrafo i, della direttiva 2001/23 deve essere interpretato nel senso che i diritti e gli obblighi risultanti da un contratto di lavoro sono trasferiti a ciascuno dei cessionari, in proporzione alle funzioni svolte dal lavoratore interessato, a condizione che la scissione del contratto di lavoro che ne risulta sia possibile o non comporti un deterioramento delle condizioni di lavoro né pregiudichi il mantenimento dei diritti dei lavoratori garantito da tale direttiva, ciò che spetta al giudice del rinvio verificare. Nell'ipotesi in cui una tale scissione si rivelasse impossibile da realizzare o arrecasse pregiudizio ai diritti di detto lavoratore, l'eventuale risoluzione del rapporto di lavora che ne conseguirebbe sarebbe considerata, ai sensi dell'art. 4 di detta direttiva, come dovuta al fatto del cessionario o dei cessionari, quand'anche tale risoluzione fosse intervenuta su iniziativa del lavoratore. Osservazioni
Preliminarmente va notato che la CGUE ritiene pacificamente applicabile la disciplina della direttiva 2001/23 (ossia, nell'ambito del diritto interno, l'art. 2112 c.c.) al subentro in appalto, In detta materia, con riguardo al diritto italiano, deve sottolinearsi che l'art. 29, comma 3, d.lgs. n. 276 del 2003 disponeva che: «L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda ». La disposizione è stata sostituita dall'art. 30 della legge comunitaria (l. 7 luglio 2016, n. 122) del seguente tenore: «3.L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda». Risulta, pertanto, che nel c.d. “cambio appalto” è esclusa l'applicazione della disciplina dettata dall'art. 2112 c.c. in tema di trasferimento di azienda, o di parte d'azienda, solamente qualora il nuovo appaltatore sia dotato di una propria struttura organizzativa ed operativa e siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità d'impresa. L'intervento legislativo trae origine da una procedura di infrazione avviata, nei confronti dell'Italia, dalla Commissione Europea (caso EU Pilot 7622/15/EMPL) che riteneva contraria alla direttiva 2001/23/CE la disciplina sul “cambio appalto” contenuta nell'art. 29, comma 3, d.lgs. n. 276 del 2003 in quanto restringeva in modo illegittimo l'ambito di applicazione delle regole sul trasferimento d'azienda contenute nell'articolo 2112 c.c. La norma (entrata in vigore il 23 luglio 2016) tenta di rispondere alla procedura comunitaria pur facendo salvo il principio per cui la successione di appalti e il trasferimento di azienda costituiscono due fattispecie distinte e, come tali, meritevoli di regole differenti. Non possono, quindi, allo stato attuale, beneficiare dell'esenzione (e quindi ricadranno nell'ambito di applicazione delle norme dell'articolo 2112 c.c. sul trasferimento di azienda) tutte le ipotesi di successione di appaltatori nelle quali l'impresa subentrante non è dotata di una struttura imprenditoriale che sia effettiva e reale, da un lato, e che si distingua in maniera non solo formale ma anche sostanziale con l'impresa uscente, dall'altro.
Sempre con riguardo al contratto di appalto, in questo caso funzionalmente collegato ad una cessione di ramo di azienda, va rammentato che l'art. 32 d.lgs. n.276 del 2003 all'ultimo comma, modificato dall'art. 9 d.lgs. 6 ottobre 2004, n. 251, ha introdotto all'art. 2112, comma 6, c.c. il criterio di solidarietà che prevede che: « Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un c contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all'articolo 29, comma 2,del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 ».
La Corte di cassazione, in un certo senso anticipando la novella legislativa del 2016 (esaminando fattispecie collocate temporalmente prima del 2016) ha interpretato il vecchio testo del'art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 nel senso che la mera assunzione, da parte del subentrante nell'appalto, non integra di per sè trasferimento d'azienda ove non si accompagni alla cessione dell'azienda o di un suo ramo autonomo", per cui "se in un determinato appalto di servizi un imprenditore subentra ad un altro e nel contempo ne acquisisce il personale e i beni strumentali organizzati (cioè l'azienda), la fattispecie non può che essere disciplinata dall'art. 2112 c.c. (pena un'ingiustificata aporia nell'ordinamento)"; tanto rende la disposizione citata "coerente con l'art. 2112 c.c.... e non contraddice la giurisprudenza in materia della CGUE, che reputa non contrastante con la normativa eurounitaria, ma non necessitata, l'estensione della tutela prevista per i trasferimenti d'azienda anche ai casi di successione d'un imprenditore ad un altro nell'appalto d'un servizio" (Cass. n. 24972 del 2016; successive conformi: Cass. n. 8922 del 2019; Cass. n. 21615 del 2019; Cass. n. 27913 del 2019, Cass. n. 2315 del 2020). |