La responsabilità degli amministratori di società partecipate tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione contabile
05 Maggio 2020
Massima
L'azione sociale di responsabilità per i danni arrecati ad una società per azioni, in cui si è trasformata una preesistente azienda speciale comunale, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario in tutti i casi in cui siano dedotti in giudizio dei danni al patrimonio della stessa in sé e per sé considerato e non del socio pubblico, a fortiori quando manchino i presupposti per la configurabilità di una società in house e, in particolare, nell'ipotesi in cui siano dedotti fatti anche anteriori alla trasformazione, ma quali presupposti o antefatti di condotte successive.
Il caso
La AT.F. S.p.A. (già in liquidazione dal 31 luglio 2000 e poi in concordato preventivo dal 19 ottobre 2001) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Frosinone, i sig.ri L.G., T.L. e P.R., quali amministratori dapprima dell'azienda speciale A.S.T.I.F., dal 1996 al 1998, e poi della A.T.F. S.p.A., esperendo nei loro confronti l'azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. I convenuti eccepivano, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice adito e, prima di chiedere il rigetto delle domande per la loro infondatezza, chiedevano ed ottenevano di chiamare in causa altri soggetti a vario titolo intervenuti, nel corso degli anni, nella gestione della società. Questi ultimi si costituivano in giudizio eccependo, a loro volta, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nonché l'infondatezza delle pretese. Il tribunale adito, con sentenza del 10 dicembre 2008, declinava la propria giurisdizione, affermando quella della Corte dei conti e compensando le spese di lite. La AT.F. S.p.A. proponeva appello avverso suddetta sentenza, gravame che veniva successivamente accolto dalla Corte di appello di Roma, la quale, premessa in fatto la circostanza dell'avvenuta trasformazione dell'azienda speciale (costituita nel 1990) in società per azioni a socio unico, rilevava l'esclusione della giurisdizione contabile per le società che non potevano definirsi in house per mancanza di anche uno solo dei requisiti elaborati dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. U. 10/03/2014, n. 5491), dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario con rimessione degli atti al tribunale. Avverso la sentenza di secondo grado, G.D. propone ricorso per cassazione, contestando la giurisdizione del giudice ordinario, in forza di un unitario motivo, rubricato «art. 360 c.p.c., n. 1 - erronea declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario, per essere, invece, la giurisdizione della Corte dei conti». In primis, il ricorrente si duole dell'omesso rilievo della riferibilità di una consistente parte dei fatti a base della domanda alla gestione dell'azienda speciale in tempo anteriore alla sua trasformazione in società per azioni e, in secondo luogo, sostiene e valorizza l'illimitata responsabilità del socio pubblico per le obbligazioni sociali, asserendo che ogni iniziativa anche successiva alla trasformazione avrebbe finito comunque per riverberare i propri effetti sulle finanze dell'ente. Quanto al secondo profilo, G.D. analizza l'assetto societario della controricorrente successivo alla trasformazione, evidenziando trattarsi di società a capitale interamente pubblico di gestione di beni collettivi (un noto compendio termale) e, comunque, di attività riconducibili a funzioni pubbliche dell'ente territoriale. Inoltre, sottolinea, con ampie argomentazioni, che il danno si sarebbe riverberato sul capitale pubblico, concludendo per la sussistenza della giurisdizione del giudice contabile. Di converso, la controricorrente, dopo aver ripercorso analiticamente i fatti posti a base della domanda per evidenziarne la loro posteriorità rispetto alla trasformazione da azienda speciale in società per azioni, evidenzia come la stessa Corte dei conti abbia declinato la giurisdizione in analoga domanda di danni contro altro amministratore nel periodo 2003-2010, richiamando altresì la giurisprudenza più recente delle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 27 ottobre 2016, n. 21692; Cass. civ., Sez. Un., 22 dicembre 2016, n. 26643) in tema di giurisdizione del giudice ordinario nelle ipotesi in cui i danni dedotti siano arrecati al patrimonio della società in quanto tale, senza considerare l'identità del socio, che potrebbe sopportarne le definitive conseguenze.
La questione
La questione in esame è la seguente: qualora una società partecipata, in un tempo in cui non riveste più la qualità di ente pubblico ovvero di società in house, voglia agire in giudizio avverso i propri amministratori, deducendo fatti anteriori alla trasformazione, presso quale giudice dovrà esperire la relativa azione di responsabilità? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte, preliminarmente, dopo aver ritenuto consolidato l'approdo ermeneutico relativo alla reciproca autonomia, nonché all'ammissibilità del concorso, delle azioni di responsabilità contabile e ordinaria (cfr. Cass. civ., Sez. Un., ord., 19 febbraio 2019, n. 4883), anche quando trovino causa nei medesimi fatti materiali, ha precisato che, mentre la prima è diretta alla tutela dell'interesse pubblico generale, al buon andamento della Pubblica Amministrazione ed al corretto impiego delle risorse, con funzione prevalentemente sanzionatoria, la seconda, preordinata al pieno ristoro del danno, ha funzione riparatoria e si prefigge quale scopo precipuo la protezione dell'interesse particolare della parte attrice. Le eventuali interferenze tra i due giudizi non integrano una questione di giurisdizione, bensì di proponibilità dell'azione di responsabilità innanzi al giudice contabile (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 17 aprile 2014, n. 8927; Cass. civ., Sez. Un., 18 dicembre 2014, n. 26659; Cass. civ.,, ord., 23 agosto 2018, n. 21021), sempre che non sia contestata dinanzi a quest'ultimo la configurabilità, in astratto, di un danno erariale, in relazione ai presupposti normativamente previsti per il sorgere della responsabilità amministrativo-contabile contestata dal P.G. della Corte dei conti «nel qual caso si configura una questione di giurisdizione risolvibile dalle Sezioni Unite, essendo posta in discussione la “potestas iudicandi” del giudice contabile»(così Cass. civ., civ., Sez. Un., 19 febbraio 2019, n. 4883). Tanto premesso, i giudici di legittimità rilevano che, nel caso in esame, la A.T.F. S.p.A. agisce in giudizio, senza rivestire la qualifica di ente pubblico ovvero di società in house, per il danno arrecato dagli amministratori al patrimonio sociale in quanto tale; sicché non può configurarsi una responsabilità per danno erariale, a nulla rilevando che i fatti dedotti nei precedenti gradi di giudizio risultino datati in un tempo anteriore alla trasformazione dell'azienda speciale in S.p.A. Suddetti fatti costituiscono soltanto dei meri presupposti o antefatti di condotte successive e, pertanto, risultano inidonei a consentire il radicamento, in specie, della giurisdizione contabile. La Suprema Corte ribadisce, altresì, la natura eccezionale della giurisdizione contabile in tema di danni a società partecipate da enti pubblici (cfr. Cass. civ., 20 marzo 2018, n. 6929; Cass. civ., 18 luglio 2018, n. 19108; Cass. civ., 13 settembre 2018, n. 22409; Cass. civ., Sez. Un. 5 febbraio 2019, n. 3330), precisando la possibilità di ravvisarla unicamente in relazione alle seguenti ipotesi:
Alla luce di quanto sopraesposto, dunque, atteso che, in specie, non sussistono le condizioni di cui sopra, le Sezioni Unite rigettano il ricorso, affermando il seguente principio di diritto: «l'azione di responsabilità per i danni arrecati ad una società per azioni in cui si è trasformata una preesistente azienda speciale comunale spetta alla giurisdizione del giudice ordinario in tutti i casi in cui siano dedotti i pregiudizi al patrimonio della società in sé e per sé considerato e non dell'ente pubblico che pure possa o debba risponderne, a maggior ragione quando manchino tutti i presupposti per la configurabilità di una società in house e, in particolare, il divieto o l'impossibilità di estensione della compagine sociale a soggetti privati, oppure quando siano dedotti fatti anche anteriori alla trasformazione ma quali presupposti o antefatti delle condotte successive». Osservazioni
Il riparto di giurisdizionein tema di controversie aventi ad oggetto la responsabilità dei membri della governance di società partecipate, precisato dalla sentenza in esame in relazione ad una peculiare ipotesi di trasformazione di un'azienda speciale comunale in società per azioni, rappresenta il compiuto risultato del percorso interpretativo intrapreso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte già a partire dalla nota decisione n. 26806 del 19 dicembre 2009, all'interno della quale si affermava la giurisdizione del giudice ordinario in riferimento all'azione di responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica per i danni arrecati a quest'ultima per effetto delle loro condotte illecite. In tal caso, a parere della Suprema Corte, non erano configurabili, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società, «né un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti». Di converso, la giurisdizione contabile ricorreva ogniqualvolta il rappresentante dell'ente pubblico partecipante, o comunque il titolare del potere di decidere per esso, colpevolmente, trascurava di esercitare i propri diritti di socio, pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero nelle ipotesi quest'ultimo poneva in essere «comportamenti tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio». Invero, in relazione alle ipotesi rientranti nella giurisdizione contabile, si ribadiva la concorrente giurisdizione del giudice ordinario, attesa la compatibilità tra l'azione erariale e l'azione di cui all'art. 2395 c.c. Suddetto orientamento, confermato dalle successive pronunce di legittimità sul tema in oggetto (ex multis Cass. civ.,Sez. Un., n.14655/2011; Cass. civ.,n. 20941/2011; Cass. civ.,n. 3692/2012; Cass. civ., n. 8352/2013), veniva recepito dal d.lgs. n. 175/2016 (c.d. T.U.S.P.), il quale all'art. 12, distingue la giurisdizione ordinaria da quella contabile in relazione alla responsabilità dei componenti degli organi delle società partecipate e delle società in house, traslando, in particolare, il problema del riparto di giurisdizione sulla configurazione di quest'ultima tipologia di società. Sul punto, occorre precisare che, ai fini della identificazione di una cd. società in house, caratterizzata dall'assenza di un vero e proprio rapporto di alterità soggettiva tra la stessa e il socio pubblico (cfr. Cass. civ., Sez. Un., n. 26283/2013), devono sussistere tre requisiti strutturali: la partecipazione totalitaria da parte di enti pubblici ed il conseguente divieto di cessione delle partecipazioni a privati; lo svolgimento di attività prevalentemente in favore dei soci pubblici; il controllo analogo (v. art. 1, comma 1, lett. c, T.U.S.P.). In particolare, in relazione a quest'ultimo requisito, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l'azionista pubblico deve esercitare un'influenza dominante sulla società, tale da rendere il legame partecipativo assimilabile ad una relazione interorganica, la quale, tuttavia, «non incide affatto sulla distinzione sul piano giuridico-formale, tra P.A. ed ente privato societario, che è pur sempre centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall'ente partecipante» (Cass. civ., sez. I, 22 febbraio 2019, n. 5346). A tal proposito, è necessario verificare che il socio pubblico, titolare della partecipazione, detenga un potere di comando direttamente esercitabile sulla gestione della società, con modalità ed intensità non riconducibili ai diritti e alle facoltà che normalmente spettano al socio e «sino al punto che agli organi della società non resta affidata nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale, in una situazione di vera e propria subordinazione gerarchica rispetto all'ente pubblico, espressamente secondo un assetto di poteri che va ben al di là del fenomeno della eterodirezione di cui all'art 2497 c.c.» (Trib. Milano, 6 agosto 2018, n. 8606). I detti presupposti devono sussistere nel momento in cui si realizza la condotta dannosa (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 21 giugno 2019, n. 16741); di talché la giurisdizione contabile potrà radicarsi anche in un momento successivo all'eventuale trasformazione di un'azienda speciale in società a partecipazione pubblica (art. 2, comma 1, lett. n, T.U.S.P.). La giurisdizione della Corte dei Conti rappresenta un'eccezione rispetto alla scelta legislativa del paradigma privatistico (così Cass. civ.,n. 22712/2019), che ricorre unicamente nelle ipotesi di danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house ovvero di danno erariale alle società partecipate “nei limiti della partecipazione pubblica” (art. 12, comma 1, T.U.S.P.). Difatti, in specie, la giurisdizione contabile non sussiste soltanto in relazione ai danni arrecati dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house, bensì anche nelle ipotesi di danno diretto al patrimonio del socio pubblico (cfr. Corte dei Conti Veneto, sez. reg. giurisd. n.36/2019), nonché di danno arrecato dal rappresentante dell'ente pubblico che abbia esercitato o omesso di esercitare il suo potere in modo tale da pregiudicare il valore della partecipazione (art. 12, comma 2, T.U.S.P.). Nel primo caso, l'azione di danno dev'essere esperita per far valere la responsabilità degli amministratori, nonché dei componenti dell'organo di controllo, della società partecipata dall'ente pubblico, che sia stato danneggiato dal loro illegittimo operato non di riflesso, quale conseguenza indiretta del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, bensì direttamente (Cass. civ., Sez. Un. n. 27733/2013, v. anche Cons. di Stato n. 438/2016). Un esempio sul punto può essere rintracciato nel caso del danno all'immagine della pubblica amministrazione (cfr. Cass. civ., n. 26806/2013). La seconda ipotesi sopraindicata, invece, si verifica ogniqualvolta l'azione del procuratore contabile non è proposta nei confronti dell'amministratore della società partecipata per il danno arrecato al patrimonio sociale, ma contro il rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, che abbia trascurato con dolo o colpa grave di esercitare i propri diritti di socio, pregiudicando così il valore della partecipazione (cfr. Cass. civ., Sez. Un. n. 30978/2017). Il danno erariale, a norma dell'art. 12, comma 2, T.U.S.P., consiste nel “danno patrimoniale e non patrimoniale subito dagli enti partecipanti”; sicché è evidente che il legislatore del 2016 ha inteso adottare una nozione ampia dello stesso, poiché, ai fini della sua configurazione, la disposizione non sembrerebbe richiedere né una condotta specifica, né una speciale relazione tra l'autore del danno e l'ente pubblico, essendo sufficiente la sussistenza del pregiudizio agli enti partecipanti. Nel giudizio contabile, il Procuratore generale della Corte dei conti agisce non quale sostituto dell'amministrazione danneggiata, ma quale pubblico ministero portatore dell'interesse generale (ex multis, Corte cost., n. 104/1989), nell'esercizio di una funzione obiettiva e neutrale, rivolta alla repressione dei danni erariali scaturenti da illeciti amministrativi. La proposizione di predetta azione, avente carattere necessario, non potrebbe mai essere condizionata, né in senso positivo né in senso negativo, dalle singole amministrazioni danneggiate, le quali, tuttavia, possono esperire dinanzi al giudice ordinario i rimedi civilistici accordati dall'ordinamento alle società di capitali, facendo valere in giudizio il proprio interesse particolare e concreto (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 18 dicembre 2014, n. 26659), non essendo neppure ipotizzabile che detti soggetti non possano agire in sede giurisdizionale a tutela dei propri diritti e interessi (artt. 3 e 24 Cost.). Le società a partecipazione pubblica, di regola, godono, dal punto di vista sostanziale e non meramente formale, di autonomia giuridica e patrimoniale rispetto al socio pubblico, che, in assenza di un danno diretto al patrimonio di quest'ultimo, impedisce il radicamento della giurisdizione contabile, consentendo, in base al combinato disposto degli artt. 1, comma 3, e 12, comma 1, T.U.S.P., l'esperimento degli ordinari rimedi risarcitori. Come precisato dalla sentenza in commento, l'ordinario regime di responsabilità, sancito dagli artt. 2392 ss. c.c., diverge dalla responsabilità amministrativa, in particolare, in quanto non finalizzato al perseguimento del corretto impiego delle risorse pubbliche, bensì al pieno ristoro del danno patito. Sul punto, occorre distinguere la responsabilità degli amministratori in relazione ad un danno cagionato al patrimonio della società “in sé e per sé considerato” (artt. 2393 e 2476, comma 1, c.c.), da quello diretto al patrimonio del singolo socio pubblico (artt. 2395 e 2476, comma 7, c.c.). Nel primo caso il socio pubblico può agire nei confronti degli amministratori che hanno operato scelte gestorie contrarie ai doveri imposti dalla legge e dall'atto costitutivo (ex multis Cass. civ, sez. I, 22 giugno 2017, n. 15470), non giustificabili alla luce della c.d. business judgement rule (cfr. Cass. civ.,, 2 febbraio 2015, n. 1783), promuovendo, nel rispetto delle condizioni di cui agli artt. 2392 e 2393 c.c., la relativa azione di responsabilità, volta alla reintegrazione del solo patrimonio sociale. La società, inoltre, deve necessariamente essere chiamata in giudizio e provvedere a rimborsare ai soci attori le spese di giudizio sopportate che non sono state poste a carico degli amministratori soccombenti (es. compensazione delle spese di lite), ovvero che non sia possibile recuperare a seguito della loro escussione (art. 2393-bis, comma 5, c.c.). In assenza di un danno diretto al patrimonio del socio pubblico, dunque, eccettuati i casi di giurisdizione contabile per i danni arrecati al patrimonio di società in house, all'interno dei quali viene meno l'effettivo rapporto di alterità soggettiva tra l'ente pubblico e la società, l'azione sociale di responsabilità rappresenta l'unico rimedio azionabile ad opera dell'ente. Di converso, nei casi di danno diretto al patrimonio del socio pubblico, si è già rilevato il radicamento della giurisdizione contabile. Tuttavia, stante la compatibilità dell'azione erariale con l'azione di responsabilità di cui agli artt. 2395 e 2476, comma 7, c.c. deve ritenersi ammissibile la proposizione del rimedio civilistico ut supra, diretto alla reintegrazione del patrimonio del socio pubblico direttamente danneggiato. A tal proposito, la Suprema Corte sottolinea l'insussistenza della violazione del principio del ne bis in idem, stante la tendenziale diversità di oggetto e di funzione dei due giudizi (Cass. civ., Sez. Un., 13 settembre 2018, n. 22406). Ciò posto, atteso che le sopraindicate azioni di responsabilità (civilistiche) necessitano di essere incardinate presso il giudice ordinario, occorre precisare che l'art. 3d.lgs. n. 168/2003, così come modificato dall'art. 2, comma 1, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, prevede la competenza delle istituite sezioni specializzate in materia di impresa per le tutte azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l'incarico e nei confronti dei terzi danneggiati. Pertanto, i giudizi di responsabilità ut supra dovranno essere incardinati dal socio pubblico presso il cd. tribunale delle imprese territorialmente competente (art. 1 d.lgs. n. 168/2003).
In conclusione, con la pronuncia in esame le Sezioni Unite, dopo aver ribadito la natura eccezionale della giurisdizione contabile in tema di danni a società partecipate da enti pubblici, hanno affermato la necessità che i requisiti strutturali delle società in house sussistano, ai fini della configurazione del danno erariale, nel momento in cui si realizza la condotta dannosa ad opera degli amministratori, a nulla rilevando la successiva perdita degli stessi. La giurisdizione contabile, infatti, può ricorrere anche in un momento successivo all'eventuale trasformazione di un'azienda speciale in società di capitali a partecipazione pubblica, purché i fatti antecedenti alla trasformazione non costituiscano meri presupposti o antefatti di condotte gestorie successive, fermo restando quanto disposto in tema di prescrizione del danno erariale (cfr. Corte Conti, Lazio, sez. reg. giurisd., 31 maggio 2017, n. 130).
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