La domanda di ammissione al passivo del fallimento del datore di lavoro interrompe i termini di prescrizione per l'accesso al fondo di garanzia
11 Maggio 2020
Massima
La precisazione del credito nell'ambito del concordato preventivo e l'ammissione del credito al passivo della procedura fallimentare sono atti idonei a interrompere il termine di prescrizione quinquennale al fine di poter presentare la domanda di accesso al fondo di garanzia Inps per l'ottenimento del pagamento del TFR non corrisposto dal datore di lavoro fallito.
L'accollo (cumulativo) ex lege del fondo di garanzia con il datore di lavoro che non corrisponde il TFR non muta, rendendola previdenziale, l'originaria natura del credito, che rimane quindi assoggettato, in tutte le sue vicende fallimentari, e fino all'estinzione, alla disciplina dettata per i crediti di capitale. Il caso
Un ex dirigente di una società dichiarata fallita aveva presentato ricorso contro l'Inps che aveva respinto la sua domanda di accesso al fondo di garanzia eccependo la maturazione quinquennale della prescrizione del credito del TFR.
Il ricorrente sosteneva che la prescrizione quinquennale non era maturata poiché, a seguito dell'interruzione del rapporto avvenuta il 31 dicembre 2013, con raccomandata del 5 marzo 2015 aveva messo in mora la società ex datrice di lavoro.
Successivamente, sempre nel 2015, la società ex datrice di lavoro aveva presentato una domanda di concordato ed il ricorrente, a mezzo pec, aveva provveduto, in data 29 maggio 2015, a precisare il proprio credito.
A seguito del fallimento della società, il ricorrente si era regolarmente insinuato nel passivo ed, il 18 aprile 2018, era stato ammesso al passivo per arretrati retributivi, competenze e TFR.
Successivamente alla dichiarazione di esecutività dello stato passivo, in data 17 luglio 2018, il ricorrente aveva presentato domanda al fondo di garanzia Inps.
L'Inps, in data 12 novembre 2018, aveva rifiutato la richiesta di pagamento adducendo l'intervenuta prescrizione.
Avverso tale decisione, in data 12 gennaio 2019, il ricorrente aveva presentato ricorso al comitato Provinciale Inps che non aveva riscontrato.
Esauriti i ricorsi amministrativi il ricorrente aveva adito il Tribunale sostenendo la legittimità della richiesta nei confronti del fondo di vedersi riconoscere il versamento del TFR. Le questioni
Quali sono gli atti interruttivi della prescrizione in relazione alla domanda di accesso al fondo di garanzia Inps?
Gli atti interruttivi proposti nei confronti del datore di lavoro hanno effetto anche nei confronti dell'Inps che gestisce il fondo di garanzia?
Sussiste una responsabilità solidale tra datore di lavoro inadempiente ed il fondo di garanzia a favore del lavoratore in merito al mancato pagamento delle ultime tre retribuzioni e del TFR? Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale accoglie la richiesta di pagamento del TFR al fondo di garanzia Inps evidenziando come gli atti posti in essere dal ricorrente (messa in mora del datore di lavoro, insinuazione al passivo nel concordato e successiva insinuazione al passivo nel fallimento) siano tutti atti idonei ad interrompere la prescrizione.
In aggiunta rileva che ai sensi dell'art. 94 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, la domanda di insinuazione al passivo produce gli stessi effetti della domanda giudiziale. Con questa affermazione il giudicante rileva che sino alla fine del procedimento fallimentare per il creditore che si è insinuato al passivo la prescrizione deve considerarsi sospesa.
Dalla motivazione della sentenza emerge che il Giudice aderisce all'orientamento giurisprudenziale che qualifica come retributiva la natura dell'obbligazione posta a carico del fondo di garanzia. Osservazioni
La sentenza in commento permette di esaminare varie problematiche inerenti all'accesso al fondo di garanzia Inps.
La prima questione da affrontare consiste nel verificare quale sia la natura dell'obbligazione posta a carico del fondo. Più precisamente se il fondo si sostituisca nell'adempimento della medesima obbligazione posta a carico del debitore oppure se costituisca un'autonoma obbligazione previdenziale assicurativa, motivo per cui la domanda al fondo costituisce un distinto diritto rispetto all'obbligazione a carico del datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni ed il TFR al lavoratore.
La questione evidenziata, come le altre delle quali si avrà modo di argomentare infra, scaturiscono, a parere di chi scrive, dall'assenza di una normativa organica e precisa che disciplini quest'istituto.
La norma di riferimento è l'art. 2 della l. n. 297 del 29 maggio 1982 che ha istituito il fondo di garanzia limitatamente per il pagamento del TFR. Successivamente l'art. 2 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, in attuazione alla direttiva 80/987/CEE in materia di tutela di lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, ha esteso il fondo di garanzia anche alle ultime tre mensilità.
Mentre l'articolo 2 della l. n. 297 del 29 maggio 1982 in relazione al pagamento del TFR nulla disciplina in merito al termine prescrizionale, il successivo art. 2 comma 5 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80 stabilisce un termine di 12 mesi senza specificare il dies a quo.
L'assenza di indicazioni in merito al termine prescrizionale per richiedere il pagamento del TFR al fondo di garanzia ha fatto presupporre che si dovesse applicare perlomeno quello quinquennale stabilito dall'art. 2948 c.c. comma 5.
Il problema si pone sul termine breve stabilito per poter ottenere il pagamento delle ultime tre mensilità e quali atti possano interrompere la prescrizione.
La questione di quali atti possano interrompere la prescrizione ha comportato necessariamente a monte di dover affrontare la natura del fondo di garanzia.
Inizialmente la giurisprudenza si era assestata sulla natura retributiva e sussidiaria del fondo di garanzia rispetto agli obblighi a carico del datore di lavoro di corrispondere le ultime tre mensilità ed il TFR.
La tesi della natura retributiva dell'intervento del fondo di garanzia era stata accolta dalla Sezioni Unite della Cassazione (Cass., sez. un., 3 ottobre 2002, n. 14220).
Quest'impostazione si basava su un'analisi letterale dell'art. 2, l. n. 297 del 1982. Esso stabilisce che il Fondo "si sostituisce" al datore di lavoro nel pagamento della somma dovuta (e non che "garantisce" tale pagamento). Sulla base del tenore letterale della norma, le Sezioni Unite avevano ritenuto che il Legislatore avesse costituito un accollo cumulativo ex lege e non una forma assicurativa previdenziale. Il Fondo subentra nella stessa posizione del datore di lavoro ed è tenuto a pagare il medesimo debito (retributivo) di quest'ultimo, comprensivo della somma capitale e, a norma del secondo comma, "dei relativi crediti accessori".
Sulla base del ragionamento che il fondo subentra nella medesima posizione del datore di lavoro si era, quindi, ritenuto applicabile l'art. 1310 c.c., motivo per cui l'atto interruttivo della prescrizione nei confronti di un obbligato aveva effetti anche sulla sfera giuridica degli altri coobbligati.
Tuttavia a partire dal 2008 la giurisprudenza ha nuovamente iniziato a ritenere l'intervento del fondo una forma di assicurazione previdenziale (cfr. Cass. 5 maggio 2008, n. 11009).
Innanzitutto l'intervento del fondo di garanzia non è sottoposto alla medesime condizioni dell'azione nei confronti del datore di lavoro.
Non è sufficiente, infatti, che il datore si renda inadempiente in relazione al versamento delle ultime tre mensilità e del TFR perché il lavoratore possa richiedere il versamento di quanto a lui dovuto al fondo di garanzia.
L'attivazione del fondo di garanzia è condizionato non alla mera inadempienza del datore di lavoro, ma al verificarsi di una delle seguenti ipotesi: a) in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria dal 15° giorno successivo al deposito dello stato passivo reso esecutivo ai sensi degli art. 97 e 209 della l. fall.; b) nel caso in cui siano state proposte impugnazioni o opposizioni riguardanti il credito del lavoratore, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza che decide su di esse; c) in caso di concordato preventivo, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza di omologa ovvero alla sentenza che decide su eventuali opposizioni o impugnazioni; d) in caso di insinuazione tardiva del credito nella procedura fallimentare, dal giorno successivo al decreto di ammissione al passivo o dopo la sentenza che decide sull'eventuale contestazione; e) nel caso di soggetti non fallibili dal giorno successivo alla data del verbale di pignoramento negativo, ovvero, in caso di pignoramento in tutto o in parte positivo, dal giorno successivo alla data del provvedimento di assegnazione all'interessato del ricavato dell'esecuzione.
A ciò aggiungasi che il medesimo art. 2 del d.lgs. n. 80 del 1992 utilizza più volte il sostantivo “prestazione” che depone per la natura assicurativa previdenziale dell'obbligazione posta a carico del fondo.
Sulla base dell'assenza dei medesimi presupposti per richiedere il pagamento al datore o al fondo e sull'analisi della norma, la giurisprudenza si è attestata nel considerare il fondo una forma di assicurazione previdenziale a vantaggio del lavoratore che si attiva in presenza dei presupposti previsti dalla legge (cfr. Cass., sez. lav., 3 gennaio 2020, n. 32; Cass., sez. lav., 21 dicembre 2017, n. 307129).
Secondo tale orientamento che qualifica il fondo come una forma di assicurazione sociale obbligatoria rispetto all'obbligo del datore di corrispondere al lavoratore quanto dovuto a titolo di retribuzioni e di TFR, è inapplicabile la disciplina dell'art. 1310 c.c., tipica delle obbligazioni solidali. Questa impostazione dogmatica comporta altresì che gli atti interruttivi della prescrizione posti nei confronti del datore di lavoro siano privi di effetto nei confronti del fondo (Cass., sez. lav., 10 maggio 2016, n. 9495; Cass., sez. lav., 13 ottobre 2015 nn. 20547 e 20548).
Per inciso la natura prettamente previdenziale della prestazione a carico del Fondo di garanzia ha indotto la nascita di un nuovo orientamento giurisprudenziale secondo il quale il termine per la richiesta di pagamento al fondo di garanzia, per quanto riguarda il versamento del TFR, non sia quello quinquennale, ma quello ordinario decennale per le prestazioni prettamente previdenziali (Cass., sez. lav., 26 maggio 2015, n. 10824; Cass., sez. lav., 24 febbraio 2006, n. 4183).
Allineandosi all'orientamento della natura previdenziale assicurativa della prestazione a carico del fondo di garanzia, la posizione inizialmente assunta dall'Inps era che la prescrizione iniziasse a decorrere dal momento della cessazione del rapporto rendendo difficile la possibilità di chiedere l'intervento del fondo.
In base all'impostazione dell'Inps era necessario, quindi, che il lavoratore, a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro, con intervalli infrannuali per quanto riguarda le ultime tre retribuzioni e infraquinquennali per quanto riguarda il TFR, diffidasse l'ente previdenziale ai fini interruttivi della prescrizione.
Quest'interpretazione che capita ancora oggi d'incontrare nei procedimenti amministrativi (domanda telematica tramite il cd RIOL e reclamo online al comitato provinciale) gestiti dall'Inps stesso e obbligatori prima di poter agire in giudizio contro il medesimo ente previdenziale, è stata sconfessata dall'orientamento più recente e prevalente della Cassazione.
Più che correttamente la Suprema Corte ha rilevato che non si può avere la decorrenza della prescrizione prima che il diritto sia venuto ad esistenza e sia esercitabile.
Nel caso di accesso al fondo il lavoratore può presentare domanda successivamente al perfezionamento dei presupposti stabiliti dalla legge (insolvenza del datore, verifica ed esistenza della misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero all'esito di procedura esecutiva). Prima che si siano verificati i presupposti stabiliti dalla legge non può decorrere la prescrizione del diritto di poter accedere al fondo di garanzia per il semplice motivo che tale diritto non è ancora entrato nella sfera giuridica del lavoratore stesso (cfr. ex plurimis Cass., sez. lav., 19 luglio 2018, n. 19277; Cass., sez. VI, 9 giugno 2014, n. 12971).
|