Responsabilità dell'avvocato e irrisarcibilità del danno

Andrea Greco
11 Maggio 2020

La responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo inadempimento (danno-evento), occorrendo allegare e provare che, se questi avesse assunto la condotta doverosa (nel caso di specie comunicazione dell'interruzione del processo e tempestiva riassunzione del giudizio), il proprio assistito avrebbe conseguito, secondo criteri probabilistici, il riconoscimento delle proprie ragioni; difettando la prova del nesso eziologico tra condotta omissiva dell'avvocato e il risultato da questa derivatane, il danno pur sussistente nell'an è carente sul diverso piano del danno-conseguenza, dunque irrisarcibile.

La vicenda processuale. Un avvocato avvisava solo una delle parti patrocinate dell'interruzione del giudizio in corso; la causa si estingueva perché non riassunta entro i termini imposti dal codice di rito. L'avvocato veniva evocato in giudizio per il ristoro risarcitorio. Il Tribunale rigettava la domanda attorea giacché, pur in presenza di una responsabilità del professionista, erano rimasti indimostrati, sia il nesso di causalità che il danno lamentato dai clienti pretermessi. Anche l'interposto gravame sortiva gli stessi esiti di rigetto. Non domi i soccombenti ricorrevano per cassazione.

Il ricorso è affidato a due motivi. Le doglianze si fondano, sostanzialmente, sul presupposto che, se l'avvocato fosse stato diligente nel comunicare l'intervenuta riassunzione, i ricorrenti avrebbero sicuramente vinto la causa; nono sarebbero certamente incorsi nell'estinzione del giudizio e nella prescrizione del diritto azionato. Detto altrimenti, l'illogicità della motivazione del giudice del gravame, risiedeva nel non aver colto la prova incontrovertibile del nesso di causalità e dei danni conseguenza dai ricorrenti offerta nel corso dell'istruttoria. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso ritenendo i motivi (connessi tra loro) sia inammissibili che infondati. La digressione ermeneutica è chiara e pone in luce un portato ormai granitico nell'alveo della responsabilità civile. Portato che occorre sempre tenere bene a mente quando si intraprendono causa di matrice risarcitoria.

Può sussistere una responsabilità, ma senza che ciò comporti ex se un danno risarcibile. È noto, perché di esperienza comune, che l'avvocato essendo un professionista nell'esecuzione del proprio contratto d'opera deve attenersi a stringenti parametri di diligenza qualificata (artt. 1176, comma 2 e 2236 c.c.). Non solo: la sua prestazione si colora anche, per esserne intrisa, dei canoni di buona fede oggettiva. Non v'è dubbio, quindi, che egli debba tenere verso il proprio cliente/assistito un comportamento irreprensibile per non incorrere nella violazione degli obblighi contrattuali assunti con l'incarico professionale. Nel fascio di obblighi v'è sicuramente quello di informazione e di avviso. Come anticipato, nel caso di specie il vulnus risiede proprio nel non aver comunicato a tutti i patrocinati che il giudizio era stato interrotto, con ciò impedendo loro di riassumere la causa nei termini. Attività informativa non gravosa né particolarmente eccezionale, dunque esigibile in quadro sinergico di tutela (recte: di protezione) dell'altrui sfera giuridica. Assodato l'an debetur, parrebbe scontata la risarcibilità del danno. Ma così non è. Il solco è dato dalla nota distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza. Provato il danno-evento (responsabilità da inadempimento), occorre allegare e dimostrare anche il danno-conseguenza, ossia quell'insieme di conseguenze pregiudizievole che sono state patite a causa della lesione arrecata alla situazione giuridica di cui è titolare l'istante la pretesa risarcitoria. Nella vicenda in esame, i ricorrenti hanno affermato che, se tempestivamente riassunta, la causa sarebbe stata certamente loro favorevole. Il sicuro accoglimento risiedeva, a loro dire, su “criteri matematici” controvertendosi su un «giudizio di riduzione delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima». Per gli Ermellini però questo incontrovertibile assioma si infrange proprio nella natura della controversia inerente il «giudizio di accertamento e quantificazione dell'asse ereditario»; tale giudizio, infatti, se da una parte è fondato su “quote e frazioni” oggettive, d'altra parte non è scevro di incertezze. Le incertezze risiedono proprio nella attività di valutazione e determinazione dei valori «ai fini della ricostruzione dell'asse ereditario che sfugge ai predetti parametri oggettivi».

Dunque, anche se provato l'an del danno, non lo stesso può dirsi del danno conseguenza. Danno dunque che resta fagocitato nell'alveo dell'irrisarcibile.

In conclusione. L'insegnamento operativo che può trarsi dalla sentenza in commento è che, innanzitutto, non esistono processi dall'esito favorevole scontato, ossia dove la causa si possa vincere in ragione di parametri “matematici” scevri dall'alea del giudizio e da profili di applicazione valutativa della norma. Inoltre, che il pregiudizio per essere risarcito deve essere allegato e provato in modo rigoroso, anche con criteri probabilistici (id quod plerumque accidit). È possibile qui richiamare a chiosa finale l'insegnamento di Francesco Carnelutti: «Non vi è risarcimento senza danno, ma vi può essere danno senza risarcimento». Il danno conseguenza non è mai in re ipsa.

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