Dispositivi di tutela per i riders al tempo della pandemia
12 Maggio 2020
Abstract
Il Tribunale di Bologna, alla luce della recente evoluzione legislativa dell'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015 e del precedente giurisprudenziale della Corte di cassazione n. 1663 del 2020, con decreto inaudita altera parte, ha riconosciuto al rider, nell'attuale situazione sanitaria di emergenza epidemiologica da COVID-19, il diritto di pretendere dal proprio committente la dotazione di mascherine protettive, guanti monouso, gel disinfettanti e prodotti a base alcolica per la pulizia dello zaino, adeguati per la protezione della sua salute nello svolgimento dell'attività lavorativa.
V. anche: Rider al tempo del Coronavirus: il Tribunale di Firenze ordina d'urgenza all'azienda di fornire i DPI.
Il caso
Il ricorrente, adito il Giudice del lavoro ex art. 700 c.p.c., dopo aver premesso di prestare in modo continuativo attività di fattorino per la consegna di cibo a domicilio (cd. rider) tramite piattaforma digitale gestita da Deliveroo Italy s.r.l., ha chiesto di ordinare in via d'urgenza alla società resistente che gli venissero consegnati dispositivi di protezione individuale (quali mascherine protettive, guanti monouso, gel disinfettanti e prodotti a base alcolica per la pulizia dello zaino) in quantità adeguata e sufficiente allo svolgimento dell'attività lavorativa in presenza della emergenza sanitaria da coronavirus.
Il Tribunale ha ritenuto che le argomentazioni del ricorrente - relative alla sussistenza del rapporto di lavoro e all'applicabilità allo stesso, sebbene formalmente qualificato come autonomo, delle tutele del lavoro subordinato – fossero verosimilmente fondate “per ciò che concerne – quantomeno - le norme sulla sicurezza e l'igiene”.
Il giudice monocratico ha richiamato a fondamento normativo l'art. 2, d.lgs. n. 81 del 2015, così come modificato dal d.l. n. 101 del 2019, convertito, con modificazioni, in l. n. 128 del 2019, ed ha invocato, a sostegno, il precedente giurisprudenziale rappresentato dal recente arresto della Suprema Corte di Cassazione n. 1663 del 2020; è giunto quindi alla conclusione che, alla luce della recente evoluzione legislativa e giurisprudenziale in tema di tutela dei riders, non potesse dubitarsi della “necessità di estendere anche a tali lavoratori, a prescindere dal nomen iuris utilizzato dalle parti del contratto di lavoro, l'intera disciplina della subordinazione”, tra cui le norme “che prevedono l'obbligo a carico del datore di lavoro di continua fornitura e manutenzione dei Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.)”.
Inoltre, il Tribunale ha considerato la decretazione emergenziale in materia di contenimento e gestione dell'epidemia da COVID-19 che ha consentito la prosecuzione della sola ristorazione con consegna a domicilio “nel rispetto delle norme igienico-sanitarie”, con ciò implicitamente onerando l'imprenditore a provvedere al rispetto di tal prescrizioni, tra cui anche l'uso dei D.P.I. da parte dei prestatori di lavoro addetti alle consegne a domicilio.
Pertanto, ravvisando il fumus bonis iuris e il periculum in mora per la salute del lavoratore esposto agli agenti patogeni in mancanza di adeguate protezioni, ha provvisoriamente ordinato alla Deliveroo Italy s.r.l. di consegnare immediatamente al ricorrente i dispositivi di protezione individuali contro il rischio da COVID-19; lo ha fatto con decreto inaudita altera parte, assumendo che la preventiva convocazione delle parti potesse “pregiudicare la sua utile attuazione” e contestualmente fissando l'udienza per l'instaurazione del contraddittorio. La questione
La questione in esame è se ai riders sia applicabile la disciplina dei rapporti di lavoro subordinato, avuto particolare riguardo alle disposizioni in materia di igiene e sicurezza a protezione della salute degli addetti alle consegne a domicilio.
Il presente contributo, partendo dal decreto del Tribunale di Bologna, si pone l'obiettivo di illustrare, senza pretese di esaustività, l'evoluzione legislativa della disciplina introdotta dall'art. 2, d.lgs. n. 81 del 2015, al fine di individuare le forme di tutela accordate ai riders. L'art. 2, nella versione originaria, in vigore dal 25 giugno 2015 al 4 settembre 2019, prevedeva che, a far data dal 1° gennaio 2016, si applicasse la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretavano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione erano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Successivamente, la norma in esame è stata novellata dal d.l. n. 101 del 2019, convertito in l. n. 128 del 2019, sostituendo, nel testo del comma 1, la parola “esclusivamente” con “prevalentemente” e sopprimendo le parole “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
È stato poi aggiunto il seguente periodo: “Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.
La novella ha anche inserito nella legge un intero Capo V-bis interamente dedicato alla “Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali”.
Nell'art. 47-bis si specifica che “Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 2, comma 1, le disposizioni del presente capo stabiliscono livelli minimi di tutela per i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l'ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all'articolo 47, comma 2, lettera a), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali” (comma 1); a tale fine “si considerano piattaforme digitali i programmi e le procedure informatiche utilizzati dal committente che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, sono strumentali alle attività di consegna di beni, fissandone il compenso e determinando le modalità di esecuzione della prestazione” (comma 2).
Le norme successive del Capo V-bis prevedono una serie di disposizioni a tutela di tali prestatori relative alla forma scritta del contratto ed al diritto di ricevere informazioni (art. 47-ter), al compenso (art. 47-quater), ai divieti di discriminazione (art. 47-quinquies), alla protezione dei dati personali (art. 47-sexies).
Va in particolare segnalato, ai fini del commento che ci occupa, l'art. 47-septies il quale prevede la copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di cui al d.P.R. n. 1124 del 1965 (commi 1 e 2); inoltre, il committente che utilizza la piattaforma anche digitale deve assicurare, a propria cura e spese, il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro di cui al d.lgs. n. 81 del 2008 (comma 3).
L'art. 2 in esame è stato oggetto, oltre che dell'evoluzione legislativa appena descritta, anche di un intenso dibattito dottrinale.
In particolare, tra le soluzioni interpretative che si sono sviluppate, si possono riassuntivamente individuare le seguenti.
Secondo una prima impostazione, le prestazioni dei lavoratori delle piattaforme digitali avrebbero il carattere della subordinazione avanzata e moderna, cioè che tiene conto delle evoluzioni tecnologiche che hanno interessato anche il mondo del lavoro.
Dunque, l'art. 2 delineerebbe una figura sovrapponibile alla tradizionale nozione di subordinazione ex art. 2094 c.c. e, secondo una variante critica, sarebbe in sostanza una norma apparente, perché non idonea a produrre effetti nell'ordinamento giuridico.
Un secondo orientamento, c.d. del tertium genus, sostiene, invece, che le collaborazioni etero-organizzate sono una nuova figura intermedia, tra subordinazione e autonomia, che comprende quelle fattispecie che non hanno le caratteristiche né dell'etero-direzione dell'attività lavorativa, nel senso di soggezione personale agli ordini del datore di lavoro sulle modalità di svolgimento delle prestazioni contrattuali, né i connotati del lavoro autonomo continuativo, nel senso di autonomia organizzativa.
In altri termini, l'art. 2 si porrebbe tra il lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. e le collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409 n. 3 c.p.c. e, al contempo, si contraddistinguerebbe per una propria identità morfologica, funzionale e regolamentare.
Tale soluzione dovrebbe garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di lavoro che si stanno sviluppando a seguito dell'evoluzione e della relativa introduzione delle nuove tecnologie.
Da tali premesse di carattere teorico, conseguirebbero effetti di rilevanza pratica: non una estensione generalizzata dello statuto della subordinazione, ma selezione delle tutele secondo una valutazione di compatibilità da svolgere istituto per istituto.
Il terzo orientamento, adottando un approccio rimediale, ritiene che, in presenza degli indici fattuali di cui all'art. 2, cioè personalità, continuità ed etero-organizzazione, è possibile applicare ad alcune categorie di lavoratori considerati deboli, quali quelli delle piattaforme digitali, una tutela rafforzata attraverso l'estensione delle tutele dei lavoratori subordinati.
Residuano, infine, le impostazioni dottrinali che collocano senza indugio, pur con diverse sfumature, le collaborazioni etero-organizzate dal committente nel campo del lavoro autonomo.
Orbene, la norma in esame, nella sua formulazione antecedente alla novella del 2019, è stata sottoposta ad interpretazione con valenza nomofilattica da una recente decisione della Corte di Cassazione - richiamata anche dal decreto del Tribunale di Bologna – la quale ha delineato un inquadramento sistematico dell'art. 2, tenendo conto del contesto storico di riferimento, delle evoluzioni delle tecniche produttive e del ricorso a nuove forme di collaborazione con l'impresa e dando, altresì, rilevanza giuridica ad una condizione di mutevolezza propria dei tempi che attraversa il mondo del lavoro e, in generale, la realtà economica e sociale.
La Suprema Corte non ha condiviso la tesi della norma apparente, affermando che se il legislatore introduce nuovi concetti giuridici questi devono essere rispettati dall'interprete che deve ascrivergli un significato. Difatti, l'art. 1367 c.c. prescrive che il contratto e le sue clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, e non in quello secondo cui non ne avrebbero.
Inoltre, ha contestualizzato l'art. 2, precisando che si tratta di una disposizione introdotta da uno dei decreti attuativi della legge delega n. 184 del 2014 (c.d. Jobs Act), con i quali il legislatore aveva deciso di aggiornare le regole di ogni fase del rapporto di lavoro, per favorire le assunzioni di lavoratori subordinati a tempo indeterminato, eliminando le collaborazioni a progetto (artt. 61 e ss. d.lgs. n. 276 del 2003) e conservando le collaborazioni coordinate e continuative (art. 409 n. 3 c.p.c.).
Secondo la Corte, l'art. 2 prevede l'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato a forme di collaborazione, continuativa e personale, realizzate con l'ingerenza funzionale dell'organizzazione predisposta in via unilaterale da chi commissiona le prestazioni.
Dunque, non sarebbe indispensabile chiedersi se tali forme di collaborazione rientrino nel perimetro applicativo della subordinazione o dell'autonomia, perché risulta invece decisivo che ad esse si applica lo statuto del lavoro subordinato.
Per questi motivi, l'art. 2, secondo la Cassazione, è una norma che non crea una nuova fattispecie, ma, nella ricorrenza dei suoi presupposti, applica la disciplina del lavoro subordinato.
In una prospettiva di prevenzione e rimediale, il legislatore ha selezionato degli indici sintomatici di fenomeni elusivi delle tutele per i lavoratori e ha stabilito che quando l'etero-organizzazione è tale da equiparare il collaboratore, in condizione di debolezza economica, ad un lavoratore subordinato, allora si giustifica una tutela omogenea tra questi.
È bene ribadire che la sentenza della Corte di cassazione ha ad oggetto una fattispecie a cui non è applicabile ratione temporis il d.l. n. 101 del 2019, tuttavia nella decisione è possibile individuare una connessione tra la novella normativa e l'interpretazione adottata, nel senso che la prima è richiamata al fine di supportare l'opzione ermeneutica applicata alla sentenza e la seconda, secondo taluno, è destinata a produrre effetti anche rispetto alla nuova formulazione dell'art. 2 d.lgs. n. 82 del 2015.
In definitiva, secondo la S.C. l'art. 2 in discorso ha una portata ampliativa del campo di applicazione delle tutele giuslavoristiche, non configura un tertium genus e consente al giudice, nella terra di confine delle controversie qualificatorie dagli esiti sovente incerti, di valorizzare taluni indici fattuali ritenuti significativi e sufficienti a giustificare l'applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, esonerandolo da ogni ulteriore indagine. Le forme di tutela dei riders
Nonostante l'intervento in funzione nomofilattica della Cassazione residuano alcuni snodi ancora problematici.
Il primo tra essi riguarda l'interrogativo sul se, per coloro per i quali operi l'art. 2, comma 1, d. lgs. n. 81 del 2015, l'applicazione della disciplina del lavoro subordinato sia integrale o selettiva.
La sentenza n. 1663 del 2020 sopra citata ha statuito che al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall'art. 2 comma 1 del d.lgs. n. 81 del 2015 la legge ricollega imperativamente l'applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato, in quanto la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile e tale scelta non potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici.
Tuttavia, la Suprema Corte, con una sorta di prudente clausola di salvaguardia, ha affermato che non possono escludersi situazioni in cui l'applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizione non sono comprese nell'ambito dell'art. 2094 c.c.
L'inciso, cui pure potrebbe attribuirsi la valenza di un obiter dictum, non specifica quali siano detti casi di “incompatibilità ontologica”.
Si è, dunque, aperto un dibattito per identificare tali possibili casi: taluni hanno fatto riferimento al vincolo di obbedienza; altri al potere disciplinare e al potere di recesso.
Peraltro la sentenza richiamata non ha neanche escluso che, a fronte di specifica domanda della parte interessata fondata sull'art. 2094 c.c., il giudice possa accertare in concreto la sussistenza di una vera e propria subordinazione, rispetto alla quale non si porrebbe neanche un problema di disciplina incompatibile.
Una seconda questione riguarda il complicato coordinamento tra l'art. 2 e gli artt. 47-bis ss. del d.lgs. n. 81 del 2015.
Vale ancora sottolineare che né la Corte di cassazione né il Tribunale di Bologna si occupano dell'interpretazione del Capo V-bis introdotto nel d.lgs. n. 81 del 2015.
L'art. 47-bis esordisce: “fatto salvo quanto previsto dall'art. 2 comma 1”. Con ciò facendo intendere che vi sono addetti alla consegna dei beni mediante piattaforme digitali cui si applica ancora l'art. 2, piuttosto che il regime introdotto dagli artt. 47-bis e ss.
Potrebbe essere ragionevole definire il sistema delle forme di tutela dei riders a cerchi concentrici. Precisamente, per tutti i lavoratori la cui prestazione continuativa e prevalente sia organizzata dal committente - compresi i riders e, in generale, tutti colori che lavorano tramite piattaforme digitali o meno – è prescritta una tutela forte equiparata a quella dei lavoratori subordinati.
Solo per i ciclo o motofattorini, che erogano prestazioni occasionali, sarebbe prevista una tutela selettiva e specifica descritta dal Capo V-bis del d.lgs. n. 81 del 2015; l'intermittenza e la discontinuità delle prestazioni connoterebbero tale tipologia di rapporto.
In altri termini, se il rapporto di lavoro del rider è continuativo esso rientra nel perimetro applicativo dell'art. 2. Al contrario, se il rider non presta attività in forma continuativa, perché sceglie di volta in volta se rispondere alla chiamata e, quindi, rendere la prestazione, si applicano esclusivamente le tutele dettate dagli artt. 47-bis ss., in mancanza di continuità temporale del rapporto.
In definitiva, il nuovo testo dell'art. 2 deve essere letto in combinazione con gli artt. 47-bis ss. al fine di un'interpretazione coerente di norme contenute in un medesimo provvedimento.
L'ultimo snodo, direttamente rilevante nella controversia all'attenzione del Tribunale bolognese, pone la questione del fondamento normativo dell'obbligo eventualmente gravante sulla società che gestisce la piattaforma digitale di fornire al prestatore mezzi idonei a prevenire il rischio del contagio da COVID-19.
Il Giudice ha richiamato il d.P.C.m. dell'11 marzo 2020, ritenendo che le norme in esso contenute impongano l'adozione di misure di protezione a salvaguardia della salute dei lavoratori.
Tale decreto presidenziale ha prescritto, sull'intero territorio nazionale, la sospensione delle attività dei servizi di ristorazione, fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie e pasticcerie ed ha consentito la prosecuzione della sola ristorazione con consegna a domicilio nel rigoroso rispetto delle norme igienico-sanitarie.
Il Tribunale ha ritenuto che dal d.P.C.m. si può implicitamente ricavare che il datore di lavoro ha l'obbligo di osservare i protocolli di sicurezza prescritti e di fornire, al personale di cui si avvale, dispositivi di protezione durante l'attività di trasporto e consegna a domicilio del cibo, ai fini della tutela della salute sia dei lavoratori sia dell'utenza del servizio e della collettività in generale.
In tal senso, le disposizioni emergenziali vanno ad integrare gli obblighi prevenzionali in materia di sicurezza sul lavoro.
Anche l'art. 16 del d. l. n. 18 del 2020, recentemente convertito in l. n. 27 del 2020, pone tra le “misure di protezione a favore dei lavoratori e della collettività”, al fine di contenere il diffondersi del virus COVID-19, fino al termine dello stato di emergenza e per tutto il territorio nazionale, le “mascherine chirurgiche reperibili in commercio” tra i dispositivi di protezione individuale “per i lavoratori che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro”.
In realtà, una volta che il giudice ravvisi nella fattispecie concreta la sussistenza degli elementi fattuali previsti dall'art. 2 del d. lgs. n. 81 del 2015 è difficile negare che al lavoratore si applichi la disciplina del rapporto di lavoro subordinato prevista in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il cui Titolo III (artt. 69 e ss.) prescrive le regole per l' “uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale”.
Non può trascurarsi poi che, pure nel caso in cui la prestazione lavorativa del rider abbia le caratteristiche previste dal Capo V-bis del d.lgs. n. 81 del 2015, l'art. 47-septies prescrive che il committente, il quale utilizzi la piattaforma anche digitale, sia tenuto nei confronti dei lavoratori, a propria cura e spese, al rispetto proprio del d. lgs. n. 81 del 2008. Conclusione
Il Tribunale di Bologna - sebbene con decreto emanato inaudita altera parte suscettibile di conferma, revoca o modifica in seguito all'instaurazione del contraddittorio - ha riconosciuto al rider il diritto di pretendere dal proprio committente la dotazione di mascherine protettive, guanti monouso, gel disinfettanti e prodotti a base alcolica per la pulizia dello zaino, adeguati per la protezione della sua salute nello svolgimento dell'attività di lavoro, tanto più nell'attuale situazione sanitaria di emergenza epidemiologica da COVID-19 che lo espone ad un pregiudizio imminente ed irreparabile tutelabile in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c. Riferimenti bibliografici
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