Fallimento del debitore in concordato con continuità non risolto su istanza del P.M.: inammissibile il ricorso per un nuovo concordato

11 Maggio 2020

Il P.M. è legittimato a proporre l'istanza per la dichiarazione di fallimento fondata sull'inadempimento di un patto concordatario ai sensi degli artt. 5 e ss. l. fall, in quanto il suo regime non può ritenersi per intero assorbito sul piano individuale dei rimedi ex art. 186 l. fall..
Massima

Il P.M. è legittimato a proporre l'istanza per la dichiarazione di fallimento fondata sull'inadempimento di un patto concordatario ai sensi degli artt. 5 e ss. l. fall, in quanto il suo regime non può ritenersi per intero assorbito sul piano individuale dei rimedi ex art. 186 l. fall. Ciò vale soprattutto nel concordato in continuità a motivo della sua rilevanza economico-sociale, per natura più ampia rispetto al concordato liquidatorio.

Non è ammissibile che due concordati (il primo, in continuità diretta, omologato, il secondo introdotto ex art. 161, comma 6, l. fall) regolino in successione temporale la medesima insolvenza, quand'anche diversamente composta da debiti concordatari e post concordatari, in quanto l'esito negativo dell'esecuzione concordataria costituisce, per il tramite o meno della risoluzione, condizione per l'ingresso nella sola procedura fallimentare.

Il caso

Il 15 gennaio 2019 veniva depositata a cura del P.M. l'istanza di fallimento della B.B.S. S.r.l., società già sottoposta a concordato preventivo omologato. La proposta di concordato contemplava la prosecuzione dell'attività secondo lo schema della continuità diretta, con il soddisfacimento dei creditori sociali in quattro tranches di pagamento nell'arco di cinque anni, e ciò mediante i flussi di cassa generati dalla continuazione dell'attività, come attestati da parte di un esperto.

IlP.M. deduceva lo stato d'insolvenza della B.B.S. a partire da quanto dichiarato dal Commissario giudiziale in ordine alla mancata esecuzione del concordato e precisamente delle prime tranches di pagamento, evidenziando in generale: ii)un andamento aziendale recessivo, caratterizzato da una riduzione del fatturato di oltre il 30%, oltre a perdite consistenti; e ii) uno stato patrimoniale critico in quanto, a fronte di minimi rientri effettuati in esecuzione del piano, la società aveva contratto nuovi e consistenti debiti verso i fornitori, l'Erario e gli Enti previdenziali.

Nel costituirsi in giudizio, la B.B.S. S.r.l. depositava un ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato

preventivo con riserva ex art. 161, comma 6, l. fall., assumendo in particolare che: i) la mancata attuazione del piano fosse stata condizionata da criticità gestionali e dalla riconfigurazione del mercato di riferimento;

ii) la società avrebbe comunque raggiunto nel corso dell'esercizio il pareggio di bilancio grazie alla vendita programmata di alcuni assets; iii) la mancata risoluzione del concordato omologato non precludesse la formulazione del ricorso prenotativo; iv) l'istanza del P.M. fosse inammissibile per mancata risoluzione del concordato omologato, per mancato decorso del termine finale di esecuzione e per carenza dei presupposti ex art. 7 l. fall.

Con il presente decreto, il Tribunale giudica il ricorso della B.B.S. S.r.l. non ammissibile, aprendo la strada alla dichiarazione di fallimento.

Le questioni giuridiche

Nell'invertire l'ordine degli argomenti dedotti dalla difesa per ragioni di evidente logica giuridica, il Tribunale modenese affronta preliminarmente la delicata questione della riconoscibilità del potere d'iniziativa del P.M. per la dichiarazione di fallimento, in pendenza di un concordato preventivo omologato, in parte inadempiuto, del quale non sia stata chiesta dai creditori la risoluzione (c.d. Fallimento omisso medio).

I nodi interpretativi sollevati dal caso riguardano più precisamente:

1) la riconoscibilità della legittimazione attiva del P.M. in caso di segnalazione dello stato d'insolvenza operata nell'ambito di procedure concorsuali prefallimentari;

2) la suscettibilità dell'inadempimento di singole tranches di pagamento nei termini previsti dal piano concordatario di integrare il presupposto dell'insolvenza, anche prima e a prescindere dallo spirare del termine previsto per l'ultimo adempimento;

3) la riconoscibilità o meno della portata soppressiva degli art. 6 e 7 l.fall.della norma speciale contenuta nell'art. 186 l.fall., laddove questa consente solo al creditore di richiedere la risoluzione del patto concordatario ed il fallimento in consecuzione entro un anno dal termine previsto per l'ultimo adempimento, e ciò unicamente a seguito di una valutazione del requisito della gravità dell'inadempimento.

Definita preliminarmente la questione della legittimazione attiva del P.M., l'iter argomentativo della pronuncia si sofferma sul tema dell'ammissibilità del ricorso per concordato prenotativo quando questo abbia ad oggetto l'obbligazione contratta in un precedente concordato con continuità aziendale diretta, già omologato, ove questo sia rimasto inadempiuto.

Le soluzioni

Ammissibilità del fallimento omisso medio.

Il decreto del Tribunale modenese tratta solo incidentalmente il tema dell'ammissibilità del fallimento di un'impresa in concordato preventivo omologato e non risolto. La posizione assunta rispetto alle questioni giuridiche poste portano però l'interprete ad ascrivere la pronuncia all'orientamento della giurisprudenza di merito maggioritaria e della Cassazione, che oggi ritengono legittima l'istanza di fallimento omisso medio, ricorrendone i presupposti, tanto dopo che sia spirato invano il termine annuale per chiedere la risoluzione, quanto medio tempore. Il dibattito è originato dall'assenza di una norma che riconosca espressamente la facoltà dei creditori concordatari, del debitore e del P.M. di chiedere la conversione in fallimento di un concordato inadempiuto ma non risolto. Norme apposite sono al contrario previste per l'iniziativa del P.M. in caso di inammissibilità della proposta (art. 162, comma 2, l. fall.) e revoca dell'ammissione al concordato (art. 173, comma 2, l. fall.).

Nel 2017 la Suprema Corte è intervenuta sull'argomento con due ordinanze (v.Cass.,17 luglio 2017, n.17703; Cass., 11 dicembre 2017, n.29632), statuendo che non sussistano preclusioni alla dichiarazione di fallimento ai sensi degli artt. 5, 6 e 7 l.fall., ove il debitore non abbia adempiuto all'obbligo di pagare i debiti ristrutturati in ossequio al concordato non risolto, ed escludendo che la pur riconosciuta specialità dell'art. 186 abbia portata soppressiva delle disposizioni generali.

Nel dare continuità all'orientamento già espresso, la Cassazione è tornata ad occuparsi del tema l'anno successivo (v. Cass., 17 ottobre 2018, n. 26002, sent.), per specificare quali fossero i crediti inadempiuti ammissibili al passivo fallimentare, stabilendo che i crediti in questione fossero quelli soggetti alla falcidia concordataria e non quelli originari (per l'intero). La sentenza, a questo proposito, legge la caduta di ogni automatismo tra la risoluzione del concordato ed il fallimento - operata dalla riforma del 2007 - come la conferma del principio secondo cui il procedimento di risoluzione, previo o concomitante all'istanza di fallimento, è funzionale unicamente all'interesse di far valere non già il credito nella misura ristrutturata ma in quella originaria. Com'è noto, infatti, solo la risoluzione farebbe venir meno l'effetto esdebitatorio del concordato, provocando una reviviscenza dell'originaria insolvenza.

Sulla scia di questi arresti si collocano numerosi provvedimenti della giurisprudenza di merito (cfr. ex multis Trib. Modena, 11 febbraio 2019, decr.; Trib. Reggio Emilia, 13 maggio 2019, sent.) che hanno arricchito il corredo argomentativo precisando, tra l'altro, che non consentire la dichiarazione di fallimento dell'impresa in concordato che versi in stato d'insolvenza significherebbe creare un'ingiustificata disparità di trattamento tra imprenditori, non confortata da alcuna previsione normativa (v. sul punto specialmente Trib. Arezzo, 3 maggio 2018, sent.).

L'orientamento minoritario è sostenuto da alcune recenti pronunce di merito (si vedano Trib. Padova, 30 marzo 2017, sent.; Trib. Rovigo, 7 dicembre 2017, sent.; Trib. Pistoia, 20 dicembre 2017, decr.;Trib.

Campobasso, 14 febbraio 2019, n. 4824, decr.; App. Firenze, 16 maggio 2019, sent.; Trib. Ancona, 20 giugno 2019,n.82, decr.) secondo cui, in pendenza dei termini utili per chiedere la risoluzione, il fallimento non può essere dichiarato senza che venga prima (o contestualmente) chiesta la risoluzione. In caso contrario, vi sarebbe una violazione implicita dell'art.186 l.fall. in quanto, sulla base di presupposti ben diversi e più ampi, si otterrebbe il medesimo effetto della risoluzione (c.d. risoluzione implicita). Secondo questa impostazione, l'art. 186 si pone in rapporto di specialità rispetto alle norme generali di cui agli artt. 5 e ss. l. fall. e trova applicazione nella misura in cui non vi sia una lex specialis a disporre diversamente. Come evidenziato, il decreto in commento sul punto statuisce che in nessun caso possa attribuirsi alle norme contenute all'art. 186 portata soppressiva della normativa generale, e ciò per ragioni di tutela dell'ordine pubblico economico.

Riconoscibilità del potere di iniziativa del PM

Dall'espressa adesione dei giudici modenesi alla tesi maggioritaria sinteticamente delineata discendono importanti ricadute sul piano applicativo e per la soluzione del caso in questione, e precisamente: i) la riconoscibilità della legittimazione attiva del P.M. a chiedere il fallimento per effetto dell'applicazione delle norme generali che regolano il potere d'iniziativa; ii) l'inammissibilità del ricorso per l'ammissione ad un nuovo concordato preventivo.

Sul primo punto, l'iter argomentativo radica il potere d'iniziativa del P.M. nella trasmissione a suo favore della relazione del Commissario giudiziale ordinata dal Giudice delegato, che integra secondo il Tribunale la segnalazione richiesta dall'art. 7, comma 1, n. 2), l. fall. Tale presa di posizione appare in aperta adesione ad un principio consolidato delle Sezioni Unite, secondo cui la sostituzione del precedente riferimento al “giudizio civile” con quello generico della segnalazione nel corso di un “procedimento civile” vada letta nel senso di considerare nel perimetro di applicazione della norma anche una procedura prefallimentare ( cfr. Cass. SS. UU., 18 aprile 2013, n. 9409).

Ora, se è vero che il concordato preventivo vincola unicamente tutti i creditori anteriori alla pubblicazione del ricorso, nessun dubbio può porsi - a parere del Tribunale modenese - in ordine alla legittimazione del

P.M. e dei creditori per titolo e causa posteriori all'omologazione a chiedere il fallimento, con riferimento all'inadempimento sia di crediti concordatari che post-concordatari. Sul punto, il decreto fa chiarezza anche in ordine alle regole da applicare nel procedimento di accertamento dei crediti destinati ad essere ammessi al passivo del fallimento omisso medio, precisando che le obbligazioni non soddisfatte e idonee a sostenere il giudizio d'insolvenza sono, da un lato, quelle falcidiate in sede concordataria, dall'altro quelle sopravvenute a seguito della continuità diretta posta in essere dalla società nella loro integralità. Il Tribunale applica in tal senso un principio espresso dalla Suprema corte (Cass., 17 ottobre 2018 , n. 26002) e ribadito in più occasioni anche dalla giurisprudenza di merito.

L'accertata pendenza del termine finale per l'esecuzione del concordato (nel piano previsto per il 2020) non è circostanza suscettibile d'incidere sulla valutazione della sussistenza del presupposto oggettivo del fallimento, poiché l'inadempimento già consumato delle prime tranches di pagamento, unitamente al sorgere di rilevanti obbligazioni post-concordatarie, fondano già – secondo i giudici – un giudizio di insolvenza attuale.

Inammissibilità del ricorso per un nuovo concordato

La riforma del diritto fallimentare del 2006/2007 ha lasciato inalterato il paradigma sequenziale tra la procedura di concordato (risolto o meno) e il fallimento. La prima mira alla soluzione di crisi d'impresa secondo modalità e ammontare previsto per legge, cosicché ogn isuccessiva devoluzione in concordato della medesima insolvenza – quand'anche diversamente composta da debiti concordatari e post concordatari - inevitabilmente realizza un'inammissibile elusione della normativa in esame, che deve ritenersi di ordine pubblico economico, in quanto relativa al governo della crisi per il tramite di strumenti concorsuali predisposti dall'ordinamento. Con queste argomentazioni, i giudici modenesi ritengono inammissibile il ricorso ex art. 161, comma 6, l. fall. presentato dalla B.B.S. Srl., giudicando incongruente rispetto al caso in esame ogni riferimento alla successione progressiva invece possibile del patto concordatario all'accordo di ristrutturazione.

Osservazioni

Il potere d'iniziativa del P.M. ed la liquidazione giudiziale omisso medio nel Codice della Crisi d'impresa. Le questioni giuridiche oggetto del decreto, lette in una prospettiva de jure condendo, suggeriscono qualche riflessione. In un quadro generale di allargamento del novero dei soggetti legittimati a proporre il ricorso per l'apertura della liquidazione giudiziale (cfr. art. 37, comma 2, CCI), l'iniziativa del P.M. risulta ampliata sotto più profili. Per quanto qui interessa, le nuove norme prevedono che il P.M. possa presentare l'istanza “in ogni caso in cui ha notizia dell'esistenza dello stato d'insolvenza”. “L'autorità giudiziaria che rileva l'insolvenza nel corso di un procedimento lo segnala al P.M.” (art. 38). Viene meno pertanto la necessità che l'iniziativa sia radicata nella segnalazione dell'insolvenza in un “procedimento civile”.

Con riferimento alla legittimità del fallimento (rectius liquidazione giudiziale) omisso medio e ai suoi ambiti di concreta attuazione, l'art. 119 CCI (rubricato “Risoluzione del concordato”), nella versione corretta e integrata dallo schema di decreto correttivo approvato in esame preliminare dal Consiglio dei ministri il 13 febbraio 2020, prevede per la prima volta al comma 7 che “il tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale solo a seguito della risoluzione del concordato, salvo che lo stato d'insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo”. In altri termini, la liquidazione giudiziale è un procedimento che ordinariamente segue alla risoluzione, oggi peraltro attivabile anche dal Commissario giudiziale. In assenza di risoluzione del concordato, per l'apertura della liquidazione giudiziale sarà necessario provare che il presupposto dell'insolvenza è fondato sull'insorgenza di debiti post- concordatari. Sul punto, spetterà agli interpreti tracciare una linea di confine sul piano sistematico tutte le volte il cui la “nuova insolvenza” esprima una continuità finanziaria con la precedente.

Guida all'approfondimento

S. Giovanni, Dichiarazione di fallimento omisso medio: il recente arresto del Tribunale di Ancona, in questa Rivista, 31 dicembre 2019; F. Rasile, Concordato inadempiuto ma non risolto e successivo fallimento omisso medio, in questa Rivista, 20 agosto 2019; N. Nisivoccia, Effetti esdebitatori del concordato preventivo e dichiarazione di fallimento omisso medio, in questa Rivista, 18 luglio 2019; N. Lucarelli, Fallimento omisso medio inammissibile, in Altalex, 1 marzo 2019; G. Moreschini, La dichiarazione di fallimento della società in concordato, in questa Rivista, 26 aprile 2018; F. Lamanna, Fallimento dell'impresa in concordato senza previa risoluzione: un problema ancora aperto, in www.ilFallimentarista, 5 Maggio 2017.

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