Il concordato in appello non ammette modifiche unilaterali mediante il ricorso per cassazione

Viviana Torreggiani
14 Maggio 2020

In caso di rinuncia ai motivi di appello è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si propongono censure attinenti ai motivi d'appello rinunciati, né possono essere rilevate d'ufficio le questioni relative ai medesimi motivi.
Massima

La rinuncia a tutti i motivi di appello, a esclusione soltanto di quello riguardante la misura della pena, deve ritenersi comprensiva anche di quei motivi attraverso i quali l'appellante aveva richiesto il riconoscimento delle circostanze attenuanti, atteso che la rinuncia parziale ai motivi d'appello determina il passaggio in giudicato della sentenza gravata limitatamente ai capi oggetto di rinuncia.

Il caso

La Corte d'Appello di Bologna, accogliendo la richiesta congiunta, ex art. 599-bis c.p.p., del P.G. e dell'imputato di rinuncia a tutti i motivi d'appello da quest'ultimo proposti, a eccezione di quello riguardante la misura della pena inflitta in primo grado per il reato di cui agli artt. 81 cpv c.p. e 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, ne rideterminava la misura in mesi nove di reclusione ed euro 2.000,00 di multa, confermando il resto.

L'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, proponeva tuttavia ricorso per cassazione deducendo la violazione dell'art. 62, n. 4 c.p. in relazione all'art. 599 - bis c.p.p., in quanto la Corte territoriale nel compiere il giudizio di adeguatezza della pena al fatto avrebbe omesso di considerare la ricorrenza dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 4 c.p.

In motivazione

Partendo dalla premessa che la formulazione dell'art. 599-bis, comma 1 c.p.p. (concordato anche con rinuncia ai motivi di appello), introdotto dalla l. n. 103 del 2017, corrisponde all'abrogato art. 599, comma 4 c.p.p., richiamata, quindi, anche la giurisprudenza precedentemente formatasi in materia, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, de plano, così come previsto dall' art. 610, comma 5-bis c.p.p., in quanto relativo a censure attinenti ai motivi d'appello rinunciati.

Si legge: “… in seguito alla reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello deve ritenersi nuovamente applicabile il principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore del similare istituto previsto dall'art. 599 c.p.p, comma 4, e successivamente abrogato dal D.L. n. 92 del 2008 – secondo cui il giudice d'appello, nell'accogliere la richiesta di pena concordata, a causa dell'effetto devolutivo, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi d'impugnazione, limita la sua cognizione ai motivi non rinunciati con effetto preclusivo sull'intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità (cfr. Sez. 4, n. 53565 del 27/09/2017, Ferro, Rv. 271258; Sez. 5, n. 29243 del 4/06/2018, Rv. 273194).”

La questione

La questione in esame coinvolge i limiti cognitivi del giudice d'appello rispetto all'accordo intervenuto fra le parti ex art. 599-bis c.p.p. e il conseguente spazio di gravame.

Le soluzioni giuridiche

Ex art. 599-bis c.p.p., comma 1, ultima parte: “se i motivi dei quali viene chiesto l'accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d'accordo”.

Nella fattispecie, l'imputato aveva rinunciato ai motivi d'appello proposti, compreso quello relativo al riconoscimento di circostanze attenuanti, con esclusione di quello riguardante la sola misura della pena, relativamente al quale si era perfezionato l'accordo con il P.G.

Il principio espresso dalla sentenza in commento appare chiaro: una volta che l'imputato, per effetto dell'accordo intervenuto con il P.G., abbia rinunciato parzialmente ai propri motivi d'appello, sui motivi rinunciati si formerà il giudicato.

Infatti, poiché, secondo l'art. 597, comma 1 c.p.p., “l'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti”, per effetto della rinuncia conseguente al concordato, la cognizione resterà circoscritta ai soli punti della decisione cui si riferiscono i motivi non rinunciati (cfr.: Cass. pen., Sez. I, 30 gennaio 2020, ord. n. 10323).

L'ulteriore conseguenza, sarà l'inammissibilità del ricorso per cassazione con il quale vengano riproposte censure relative ai motivi rinunciati (come avvenuto nella fattispecie) e la preclusione alla rilevabilità d'ufficio di questioni riguardanti i medesimi, analogamente a quanto avviene in caso di rinuncia ex art. 589 c.p.p., norma richiamata dall'art. 599-bis, comma 1, c.p.p.

Osservazioni

Nell'alveo della giurisprudenza formatasi nella vigenza dell'art. 599, comma 4, c.p.p., anche la recente giurisprudenza, ha ribadito i limiti delle doglianze proponibili avverso le sentenze pronunciate in sede di concordato in appello.

È stato, più volte chiarito che il giudice di secondo grado, nell'accogliere la richiesta formulata ex art. 599-bis c.p.p., non deve motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per una delle cause previste dall'art. 129 c.p.p., né sull'insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, in quanto, a causa dell'effetto devolutivo proprio dell'impugnazione, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice resta limitata ai soli motivi non rinunciati (Cass. pen.,Sez. V, 19 marzo 2018, n. 15505; Cass. pen., Sez. VII, 23 gennaio 2020, ord. n. 11858).

Il negozio processuale liberamente stipulato dalle parti nell'esercizio del potere dispositivo loro riconosciuto dalla legge, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato – salva l'ipotesi di illegalità della pena concordata – da chi lo ha promosso o vi ha aderito, mediante proposizione di apposito motivo di ricorso per cassazione (Cass. pen., Sez.unite., 28 gennaio 2004, n. 5466; Cass. pen., Sez. III, 29 gennaio 2020 n. 10957).

Muovendo da tali premesse, è stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d'ufficio, alle quali l'interessato abbia rinunciato in funzione dell'accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte dall'art. 599 – bis c.p.p., come detto, non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma dispiega effetti preclusivi sull'intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all'impugnazione ex art. 589 c.p.p. ( Cass. pen., Sez. IV, 27 settembre 2017, n. 53565; Cass. pen., Sez. II, 27 gennaio 2020, ord. n. 11110: la doglianza verteva sul mancato accoglimento dell'istanza di rinnovazione dibattimentale, avente ad oggetto la nomina di un perito che procedesse ad una compiuta valutazione della capacità d'intendere e di volere dell'imputata al momento dei fatti, oggetto di motivo rinunciato).

È stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza di una aggravante (fatto avvenuto all'interno di privata dimora), in quanto la censura avrebbe, peraltro, presupposto un accertamento di merito sottratto al sindacato di legittimità (Cass. pen., Sez. VII, ord. 24 settembre 2019, n. 11504). È stato parimenti dichiarato inammissibile, il ricorso con il quale la difesa censurava la Corte d'appello perché, nel recepire l'accordo delle parti sulla misura della pena, per non aveva fatto buon governo dell'art. 133 c.p., mancando d'indicare i criteri adoperati ai fini della individuazione della pena irrogata (Cass. pen., Sez. IV, 5 marzo 2020, ord. n. 11550).

Sono state ritenute, ugualmente, inammissibili le doglianze relative ai motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. (Cass. pen., Sez. II,giugno 2018, n. 30990), e ai vizi che attengono alla determinazione della pena che non siano trasfusi in una illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Cass. pen., Sez. II, 10 aprile 2019, n. 22002: fattispecie relativa a ricorso, dichiarato inammissibile, con cui si lamentava l'applicazione di una pena pecuniaria che, seppur non legittimamente stabilita in quanto contrastante con il divieto di reformatio in pejus, rivestiva comunque natura legale; Cass. pen., Sez. III, 16 gennaio 2020, n. 10459; Cass. pen., Sez. IV,5 marzo 2020, ord. n. 10693).

Sarà, invece, ammissibile ricorrere in Cassazione per dedurre motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del Procuratore generale sulla richiesta e al contenuto difforme della pronuncia del giudice.

Potrà, altresì, trovare accoglimento il ricorso per violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio per sopravvenuta illegalità della pena, che travolga l'accordo raggiunto in base a una cornice edittale, dichiarata incostituzionale, atta a determinare la nullità dell'intero accordo (Cass. pen., Sez. VI, n. 12088 del 19.03.20: la modifica del quadro normativo di riferimento impone la rivalutazione delle situazioni giudicate ed oggetto di ricorso in base ai principi sulla successione di leggi nel tempo dettati dall'art. 2, comma 4 c.p., con conseguente annullamento senza rinvio, in ragione della struttura unitaria del concordato in appello per la stretta interdipendenza tra la rinuncia ai motivi di impugnazione e l'accordo raggiunto sulla pena, come si ricava dalla stessa rubrica della norma “concordato anche con rinuncia ai motivi di appello” e dalla coordinata lettura degli artt. 599-bis, commi 1 e 3, e 602, comma 1-bis c.p.p.).

In tema di pene accessorie, è stato precisato che l'accordo di cui all'art. 599 – bis c.p.p. può intendersi esteso, implicitamente, ai punti della sentenza impugnata in stretta correlazione con esso. Pertanto, qualora in dipendenza delle modifiche apportate alla pena principale, quest'ultima non comporti più la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma solo quella temporanea, il giudice ha la potestà di operare modifiche anche alla pena accessoria (Cass. pen. Sez. III, 9 luglio 2004, n. 39261; Cass. pen., Sez. II, 6 luglio 2007, n. 35445: il giudice di appello, in caso di accoglimento dell'accordo delle parti sui motivi con rideterminazione della pena, è tenuto alla sostituzione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, applicata con la sentenza di condanna a pena detentiva non inferiore a cinque anni, con quella dell'interdizione temporanea, ove la pena irrogata per i reati in continuazione sia complessivamente pari ad anni cinque di reclusione, pur quando la sostituzione non sia stata prevista nell'accordo fra le parti; Cass. pen., Sez. V, 13 febbraio 2020, n. 11940).

Come si può constatare dal numero delle sentenze ed ordinanze della Corte di Cassazione, la reintroduzione del concordato in appello non ha sortito gli effetti sperati in termini di deflazione. Come è stato giustamente osservato: permane la tendenza a proporre comunque ricorso per cassazione contro la sentenza che recepisce l'accordo, anche se vi è piena consapevolezza (o dovrebbe esserci …) che sarà dichiarato, in tempi brevissimi, inammissibile e che l'imputato sarà condannato a pagare la somma di € 4.000,00 alla Cassa delle ammende (cfr. R. Bricchetti, La riforma della giustizia penale. Tempo di bilanci in ilPenalista, 18 febbraio 2019,), quando non si ravvisino elementi per ritenere “che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità” (Corte Cost. n. 186/2000).

Occorre evidenziare l'importanza della predisposizione di un atto d' impugnazione “impeccabile”, anche in vista della eventuale proposizione del concordato in appello. Appare evidente che l'osservanza delle prescrizioni di forma ex art. 581, c.p.p., ovvero l'enunciazione specifica dei capi e punti oggetto dell'appello e delle relative richieste trasfuse nei motivi sarà utile anche per meglio delimitare l'ambito dell'accordo ex art. 599-bis c.p.p. evitando di travolgere, con la rinuncia, domande che si ritenevano, implicitamente, ricomprese nei motivi concordati, come forse avvenuto nel caso oggetto della sentenza in commento.