Cessione di beni senza versamento del corrispettivo e ruolo di controllo dei sindaci

15 Maggio 2020

In tema di bancarotta, non è configurabile la responsabilità dei componenti del collegio sindacale in relazione a fatti illeciti commessi ai danni della società presso cui gli stessi operano quando tali condotte delittuose siano state poste in essere da soggetti esterni all'impresa fallita.
Massima

In tema di bancarotta, non è configurabile la responsabilità dei componenti del collegio sindacale in relazione a fatti illeciti commessi ai danni della società presso cui gli stessi operano quando tali condotte delittuose siano state poste in essere da soggetti esterni all'impresa fallita. Dagli artt. 2403 e ss. c.c. infatti deriva l'obbligo dei sindaci di controllare l'operato degli amministratori della società in seno alla quale essi rivestono la posizione di sindaco, ma poiché essi rivestono una posizione di garanzia esclusivamente a tutela della società alla quale sono legati in virtù del contratto di prestazione d'opera, essi non sono tenuti ad impedire la commissione di delitti di bancarotta da parte degli amministratori di altre società nei quali possono concorrere solo attraverso una condotta attiva

Il caso

In sede di merito, un soggetto, presidente del collegio sindacale, era in tale veste condannato per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in concorso con altre persone che rispondevano dei medesimi fatti quali soci illimitatamente responsabili di una società di fatto che svolgeva attività di raccolta e gestione del risparmio.

La vicenda di fatto su cui si innesta il procedimento de quo era assai complessa e si fondava sulla circostanza che l'amministratore della società dichiarata fallita era socio di fatto con altri soggetti con cui i quali si accordava per depredare il patrimonio della prima mediante la conclusione di negozi giuridici, ai quali tuttavia veniva dato solo parzialmente esecuzione. In particolare, l'elemento caratteristico della vicenda era rappresentato, in via di estrema sintesi, dalla circostanza che la società fallita cedeva propri beni a terzi soggetti, legati all'amministratore della prima, con l'intesa che però questi ultimi, non avrebbero provveduto, nonostante la pattuizione, a versare le somme promesse; in sostanza, le condotte distrattive contestate nel caso di specie si fondavano sulla circostanza che dagli organi di vertice della società fallita erano stati conclusi accordi in conflitto di interesse e quindi dannosi per la prima, laddove tuttavia la natura pregiudizievole di questi contratti non era conseguente al contenuto degli stessi, ma alla circostanza che i contraenti (e quindi, formalmente, altri soggetti giuridici pur se facenti riferimento alle medesime persone fisiche che gestivano la società fallita) non avrebbero versato all'impresa danneggiata i corrispettivi promessi.

L'accusa nei confronti del collegio sindacale, ed oggetto del procedimento di cui alla presente sentenza, era di non essersi avveduto della circostanza che altre società profittavano, in virtù dei suddetti contratti conclusi in conflitto di interesse, del patrimonio dell'impresa fallita.

In sede di ricorso per cassazione, la difesa lamentava che l'accusa si fondava sull'insostenibile (secondo la difesa) affermazione secondo cui il componente del collegio sindacale, oltre a verificare le condotte degli amministratori della società presso la quale egli opera, avrebbe dovuto anche verificare la correttezza del comportamento tenuto dai vertici di altre aziende coinvolte nella vicenda criminale. In particolare, sulla base del principio secondo il quale il dolo dell'extraneus nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di sostegno a quella dell'intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (Cass., sez. V, 12 novembre 2013, n. 1706), la difesa aveva sostenuto che il proprio assistito, sulla base degli elementi in suo possesso, non poteva immaginare la natura distrattiva dell'operazione e riteneva che questa fosse del tutto legittima

La questione

Come è noto, la responsabilità dei sindaci per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale si fonda non sull'aver realizzato - o concorso a realizzare - la condotta delittuosa, quanto sul non aver impedito la commissione della stessa avendo omesso di esercitare i propri poteri. Ciò impone, secondo la giurisprudenza della Cassazione, che il giudice sappia andare alla ricerca di indici probatori che attestino che gli amministratori stavano ponendo in essere condotte criminose, dovendosi però dimostrare non solo la presenza di tali indici probatori, ma anche che i sindaci fossero consapevoli della sussistenza degli stessi, non potendosi confondere la posizione del sindaco che scientemente sceglie di attivarsi in presenza di “segnali di allarme” dalla posizione del sindaco che, per imperizia, negligenza ecc., di tali elementi non sappia in alcun modo cogliere la presenza (Cass., sez. V, 17 maggio 2018, n. 21913; Cass., sez. V, 28 febbraio 2018, n. 21913).

Una volta che il sindaco abbia percepito l'esistenza di tali condotte distrattive, lo stesso deve senz'altro attivarsi a prescindere da ogni valutazione circa la effettiva efficacia del suo intervento. In proposito, la Cassazione ha precisato che i "poteri impeditivi" necessari a configurare una responsabilità per omesso controllo del sindaco non sono i poteri capaci di evitare, in assoluto, la commissione dei reati da parte degli amministratori (atteso che non è demandato ai sindaci un controllo preventivo sugli atti di amministrazione), ma i poteri, senz'altro appartenenti al sindaco, di ricognizione e di segnalazione, che stimolano la reattività dei soggetti legittimati ad agire per la tutela del patrimonio sociale (i soci e i creditori). E'perciò errato cercare di sostenere l'assenza di responsabilità per reati fallimentari di un sindaco evidenziando che il suo intervento non avrebbe impedito l'evento giacché l'esercizio scrupoloso della funzione di controllo è richiesto per stimolare, in generale, comportamenti legali e virtuosi dell'amministratore e non già per impedire, rendendoli impossibili, i reati di bancarotta (Cass., sez. V, 4 ottobre 2018, n. 44107). E' sufficiente, dunque, che i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Tribunale per consentirgli di provvedere ai sensi dell'art. 2409 c.c. in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l'ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria.

In ogni caso, è pacifico che i componenti del collegio non possono limitarsi ad una mera verifica formale o in un riscontro contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma comprende il riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione (Cass., sez. V, 26 luglio 2018, n. 35838).

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato accolto.

La Cassazione ha ritenuto che i giudici di merito non abbiano saputo indicare quale contributo materiale il sindaco avesse apportato alle distrazioni contestate agli amministratori, considerando come l'elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal distacco - con qualsiasi forma e con qualsiasi modalità esso avvenga - del bene dal patrimonio dell'imprenditore, con conseguente possibilità di depauperazione patrimoniale nei confronti dei creditori e la fattispecie si perfeziona al momento del distacco del bene dal patrimonio, anche se il reato viene ad esistenza giuridica con la dichiarazione di fallimento. E' rispetto a tale momento che si pone il problema di quale debba essere l'atteggiamento del sindaco, le cui condotte successive a tale momento non rilevano penalmente

Nel caso di specie, quindi, il fatto di bancarotta non era conseguente alla conclusione dei contratti di cessione dei beni della società fallita – momento in cui si realizzava il distacco del bene dal patrimonio aziendale – ma al successivo inadempimento da parte dell'acquirente, che non versava alla società fallita quanto pattuito. Il profilo non considerato dai giudici di merito, tuttavia, secondo la Cassazione, è che in tema di bancarotta, che non è configurabile la responsabilità dell'amministratore di una società diversa da quella fallita nel reato proprio, ex art. 40, comma 2, c.p., la quale, integrata dalla posizione di garanzia, ai sensi dell'art. 2392 c.c., è invocabile solo con riferimento agli atti di gestione della società amministrata e non può invece estendersi ad atti compiuti da amministratori di società terze ed il medesimo principio deve ritenersi operante anche in relazione ai componenti del collegio sindacale. Dagli artt. 2403 e ss. c.c.infatti deriva l'obbligo dei sindaci di controllare l'operato degli amministratori della società in seno alla quale essi rivestono la posizione di sindaco e di attivarsi per evitare che gli amministratori arrechino danno al patrimonio della società da essi gestita, anche attraverso condotte integranti il delitto di bancarotta, ma poiché essi rivestono una posizione di garanzia esclusivamente a tutela della società alla quale sono legati in virtù del contratto di prestazione d'opera, essi non sono tenuti ad impedire la commissione di delitti di bancarotta da parte degli amministratori di altre società nei quali possono concorrere solo attraverso una condotta attiva, condotta attiva di cui, secondo il giudice i legittimità, non vi è prova.

Osservazioni

La decisione della Cassazione va attentamente analizzata in quanto è facile equivocarne la portata.

Il punto centrale della vicenda è rappresentato dalla circostanza che nel caso esaminato la distrazione del patrimonio della società fallita avveniva, per così dire, in due fasi: in un primo momento vi era la cessione di beni e diritti della società fallita a vantaggio di altre società, che alla prima erano collegate giacché erano medesimi gli organi gestori (seppure questa circostanza era in qualche modo occultata); successivamente le società beneficiate dalla cessione si sottraevano ai propri obblighi, non adempiendo ai propri obblighi secondo quanto pattuito ed in conseguenza di tale inadempimento la società cessionaria era danneggiata.

Secondo i giudici di merito, di tale distrazione doveva rispondere anche il componente del collegio sindacale il quale non avrebbe impedito che le società terze si sottraessero ai propri obblighi danneggiando così l'impresa poi fallita. Ricostruita in questi termini la vicenda, la decisione della Cassazione di mandare assolto il componente del collegio sindacale, annullando le pronunce di condanne dei giudici di merito, pare inappuntabile posto che non è nemmeno immaginabile che un sindaco possa in quale modo intervenire (e quindi essere chiamato a rispondere della relativa omissione) su comportamenti tenuti da soggetti estranei alla società presso la quale lui opera per quanto tali condotte possano andare a danno della società medesima.

Ciò posto, occorrono comunque alcune precisazioni. In particolare, la tesi secondo cui nella fattispecie oggetto della presente decisione la distrazione dei beni si fosse perfezionata solo nel momento in cui i soggetti che avevano acquisito i beni della società fallita si erano poi rifiutati di corrispondere il dovuto è corretta solo se si riconosce che l'operazione negoziale avesse ab origine caratteri di liceità nel senso che l'inadempimento delle obbligazioni da parte dell'acquirente non fosse stato in programma fin dall'inizio; diversamente, nel caso in cui cioè fin dal momento iniziale della vicenda vi fosse un accordo fra i protagonisti della stessa affinché il corrispettivo per la vendita dei beni della società fallita non venisse versato in seguito dagli acquirenti, allora deve ritenersi che la distrazione si è realizzata al momento della vendita e non nella fase successiva della (mancata) esecuzione della controprestazione.

La precisazione è importante in quanto nella seconda ipotesi, laddove cioè vi fosse fin da principio un accordo per una cessione senza corrispettivo dei beni della fallenda, il reato deve intendersi consumato al momento della stipula del contratto. Su tale attività, ovvero sulla cessione dei beni senza garanzia di pagamento del corrispettivo, i sindaci di regola devono vigilare e, se vi sono elementi che consentono di affermare che gli stessi si erano avveduti della spoliazione dell'azienda, ben potrebbero essere accusati – evidentemente in vicende parzialmente diverse da quelle considerate nella pronuncia in commento – di omesso impedimento della distrazione.

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