La valenza probatoria delle scritture private provenienti da terzi

Andrea Penta
19 Maggio 2020

Nel processo civile le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite costituiscono meri indizi, liberamente valutabili dal giudice e contestabili dalle parti senza necessità di ricorrere alla disciplina prevista in tema di querela di falso o disconoscimento di scrittura privata autenticata. Ne consegue che, sorta controversia sulla autenticità di tali documenti, in applicazione del generale principio di cui all'art. 2697 c.c., l'onere di provarne la genuinità grava su chi la invoca. Nella fattispecie analizzata, relativa al disconoscimento della sottoscrizione apposta da un agente assicurativo su una polizza, la S.C. ha cassato la sentenza della corte territoriale per aver erroneamente, per un verso, ritenuto che la compagnia assicurativa avesse l'onere di proporre querela di falso per contestarne l'autenticità e, per l'altro, attribuito efficacia probatoria alla polizza e alla quietanza in essa contenuta, ritenendo quindi dimostrato il pagamento del premio.
La vicenda processuale e la soluzione finale

La vicenda processuale si fonda su un'azione esperita da un soggetto al fine di ottenere la condanna di una compagnia assicurativa al pagamento di una somma di danaro a titolo di rimborso del premio unico versato per una polizza di assicurazione sulla vita asseritamente mai registrata dall'agente e, comunque, non risultante nei registri della compagnia.

Essendo la polizza e la relativa quietanza di pagamento state tempestivamente disconosciute, ex artt. 214 c.p.c. e 2719 c.c., dalla convenuta (la quale aveva, nella comparsa di risposta, contestato la conformità della fotocopia all'originale, nonché la genuinità del documento, evidenziando, a tale ultimo proposito, che lo stampato era stato sottoscritto dal solo agente – il quale, peraltro, non aveva alcun potere di stipulare polizze vita –, era contraffatto e non conforme a quelli utilizzati dalla compagnia assicuratrice, mancando totalmente la stampigliatura della società) e non avendo l'attore né proposto istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. né prodotto la documentazione in originale, il tribunale aveva rigettato la domanda.

L'esito del giudizio si capovolgeva in appello, avendo la corte territoriale riconosciuto efficacia probatoria alla polizza prodotta in giudizio ed alla quietanza in essa contenuta e, ritenuto, per l'effetto, dimostrato il pagamento del premio. Nello specifico, in ordine alla polizza, i giudici del gravame, per quanto nella presente sede rileva, avevano precisato che la procedura di disconoscimento e di verificazione di scrittura privata di cui agli artt. 214 ss. c.p.c. concerne unicamente le scritture provenienti da soggetti del processo, e consente agli stessi di negare l'autenticità della propria firma o della propria scrittura, laddove la polizza sottoscritta dall'agente assicurativo era una scrittura proveniente da terzi, sicchè la compagnia, per contestarne l'autenticità, non essendo applicabile la detta procedura di disconoscimento, avrebbe avuto l'onere di proporre querela di falso.

La Corte di cassazione ha accolto i primi due motivi del ricorso proposto dalla compagnia, cassando con rinvio la sentenza impugnata. In particolare, i giudici di legittimità, nel richiamare precedenti giurisprudenziali specifici (Cass. civ., Sez. Un., n. 15169/2010; Cass. civ., n. 23788/2014), hanno ribadito che «le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse né la disciplina sostanziale di cui all'art. 2702 c.c., né quella processuale di cui all'art. 214 c.p.c., atteso che esse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo. Nell'ambito delle scritture private deve, peraltro, riservarsi diverso trattamento a quelle la cui natura conferisce loro una incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne l'autenticità». A sostegno del proprio assunto, il Collegio ha altresì richiamato l'indirizzo (Cass. civ., n. 24208/2010) secondo cui «nel processo civile le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite costituiscono meri indizi, liberamente valutabili dal giudice e contestabili dalle parti senza necessità di ricorrere alla disciplina prevista in tema di querela di falso o disconoscimento di scrittura privata autenticata. Ne consegue che, sorta controversia sulla autenticità dì tali documenti, in applicazione del generale principio di cui all'art. 2697 c.c., l'onere di provarne la genuinità grava su chi la invoca».

In applicazione degli esposti principi, la Corte ha ritenuto che erroneamente i giudici di secondo grado, pur in presenza di contestazione sull'autenticità della polizza in questione e pur non potendo la stessa di per sé avere una carica di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne la autenticità, avevano fondato il loro convincimento sull'autenticità della detta polizza per non essere stata la stessa contestata attraverso la proposizione di querela di falso.

Invero, il "disconoscimento" operato dalla compagnia di assicurazioni, da qualificarsi a questi fini "terzo" rispetto alle parti che avevano sottoscritto la polizza, era volto a far valere che il contratto, redatto su modulo non conforme a quelli da essa utilizzati e al quale mancava la stampigliatura della società, non poteva essere considerato per essa impegnativo, di talchè, in tale contesto, non le era affatto necessaria la dimostrazione che la sottoscrizione del suo agente fosse stata contraffatta.

Il contrasto risolto dalle Sezioni Unite

La decisione commentata si pone esattamente nel solco di Cass. civ. n. 24208/2010 la quale, nell'enunciare lo stesso principio di diritto, aveva, in una fattispecie in cui l'impiegato di una sala da gioco era stato licenziato perché ritenuto reo di avere cambiato denaro in fiches utilizzando carte di credito dei clienti e falsificando i relativi scontrini apparentemente sottoscritti da questi ultimi, cassato con rinvio la decisione del giudice di merito che aveva annullato il licenziamento, ritenendo che il datore di lavoro non avesse fornito la prova della falsità dei suddetti scontrini.

Tra la metà degli anni '90 e il duemila era sorto, sul tema, un contrastotra le sezioni semplici della Cassazione.

Un indirizzo minoritario (Cass. civ., n. 12598/2001; Cass. civ., n. 16362/2003) aveva affermato che la procedura di disconoscimento e di verificazione di scrittura privata (artt. 214 e 216 c.p.c.) riguardava unicamente le scritture provenienti dai soggetti del processo e presupponeva che fosse negata la propria firma o la propria scrittura dal soggetto contro il quale il documento era prodotto; per le scritture provenienti da terzi (come nel caso di un testamento olografo), invece, la contestazione non poteva essere sollevata secondo la disciplina dettata dalle predette norme, bensì nelle forme dell'art. 221 e ss. c.p.c., perché si risolveva in un'eccezione di falso.

Un orientamento maggioritario (Cass. civ., n. 6258/1996; Cass. civ., n. 12066/1998; Cass. civ., n. 76/2010) aveva, invece, sostenuto che gli scritti provenienti da terzi estranei alla lite, pur non avendo efficacia di prova piena e non essendo soggetti né alla disciplina sostanziale di cui all'art. 2702 c.c., né a quella processuale di cui all'art. 214 c.p.c., potevano essere, però, liberamente apprezzati nel loro valore indiziario dal giudice del merito, il quale era inoltre libero di formare il proprio convincimento circa la veridicità formale della scrittura sulla base di elementi probatori ottenuti dalle altre risultanze processuali, nonché dallo stesso comportamento della parte contro cui la scrittura veniva prodotta, anche in relazione a particolari circostanze che potevano conferire speciale significazione e rilevanza probatorie.

Da ciò derivava che per contestarne la veridicità non fosse necessario impugnarle per falsità e che, in difetto di contestazione della parte contro cui erano prodotte ed in concorso di altri elementi di prova che ne avessero confortato la credibilità e l'attendibilità, potevano fornire argomenti di convincimento ed essere poste a fondamento di una decisione. Ove, però, il giudice di merito non avesse ritenuto di avvalersi della presunzione semplice ricollegabile agli stessi, il suo apprezzamento al riguardo non poteva esser denunziato in sede di legittimità.

Alla luce di tale difformità, la seconda Sezione della Suprema Corte, con ordinanza interlocutoria del 2009, aveva rimesso gli atti al primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, avendo ravvisato contrasto, nella giurisprudenza della Corte, in ordine al mezzo processuale esperibile per contestare la veridicità di una scrittura privata non autenticata proveniente da un terzo estraneo al giudizio. In sintesi, mentre secondo una prima tesi le dette scritture non erano assoggettate alla disciplina sostanziale di cui all'art. 2702 c.c., ne' a quella processuale di cui all'art. 214 c.p.c., con la conseguenza che, per contestarne la veridicità, non era necessario impugnarle per falsità e, trattandosi di prove "atipiche", le stesse avrebbero avuto mero valore indiziario, secondo un'altra tesi, la contestazione dell'autenticità delle scritture de quibus doveva invece avvenire con le forme degli artt.221 e ss. c.p.c., in quanto la stessa si risolveva in una eccezione di falso.

Il contrasto è stato risolto da Cass. civ., Sez. Un., n. 15169/2010, la quale, nel condividere l'indirizzo maggioritario, secondo cui le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, ha, peraltro, colto l'occasione per precisare che nell'ambito delle scritture private deve riservarsi diverso trattamento a quelle la cui natura conferisce loro una incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne l'autenticità.

La ragione del contrasto non è stata individuata soltanto in un approccio diverso alla normativa in astratto applicabile, ma, molto più comprensibilmente, nel valore probatorio che è oggettivamente attribuibile alla scrittura sottoscritta da terzi, non potendo prescindersi dal considerare che non tutte le scritture provenienti da terzi hanno lo stesso grado di incidenza processuale (e sostanziale).

In questa ottica di valutazione concreta, sarebbe stato poco giustificabile, sia sotto il profilo logico, che sotto il profilo scaturente dall'atteggiarsi del sistema normativo che regola l'apparato probatorio nel suo complesso, concludere nel senso che il giudice non possa tenere in alcun conto la eventuale contestazione della scrittura privata, ove l'attendibilità della stessa non risulti confermata da ulteriori elementi processuali.

Inserendosi nel solco di tale impostazione, Cass. civ., n. 23155/2014 ha ribadito che l'onere di disconoscimento della scrittura privata previsto dagli artt. 214 e 215 c.p.c. presuppone che il documento prodotto contro una parte del processo provenga dalla parte stessa, mentre non opera nel diverso caso della scrittura proveniente da un terzo, non producendosi in tal caso l'effetto di inutilizzabilità della scrittura che - disconosciuta - non sia stata fatta oggetto di verificazione ex art. 216 c.p.c. Ne consegue che, se la scrittura proveniente da un terzo sia stata disconosciuta dalla parte contro cui è prodotta in giudizio, la stessa va valutata, con valore indiziario, nel contesto degli altri elementi circostanziali, ai fini della decisione. Nella specie, relativa al disconoscimento della sottoscrizione apposta da un terzo sull'avviso di ricevimento della raccomandata recante disdetta di un contratto di locazione, la corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che, in difetto di istanza di verificazione da parte del locatore, il documento non fosse utilizzabile, sicché la disdetta non poteva ritenersi pervenuta alla società conduttrice, con conseguente rinnovazione tacita del contratto.

La contestazione della scrittura privata

Per quanto la scrittura privata proveniente da un terzo non debba essere disconosciuta dalle parti in causa, non è revocabile in dubbio che debba essere contestata, quanto alla sua valenza probatoria, dalla parte nei cui confronti viene prodotta.

Premesso che, solo qualora essa venga contestata (ancorché contro la stessa non sia stata proposta querela di falso), la scrittura privata di terzi è inutilizzabile come prova, lo scritto proveniente da un terzo potrebbe essere contestato nella sua autenticità in qualsiasi modo ed anche oltre il termine costituito dalla prima udienza o prima risposta successiva alla produzione del documento medesimo, salva poi ogni valutazione sul piano probatorio del contenuto del documento stesso.

Tuttavia, poiché la “non contestazione” è strettamente collegata con l'onere probatorio, sorgendo l'onere di provare i fatti (rispettivamente, costitutivi, per l'attore, e modificativi, impeditivi ed estintivi, per il convenuto) solo nel caso in cui siano, appunto, contestati dalla controparte, è evidente che la relativa preclusione matura in una fase processuale immediatamente precedente al maturare di quella concernente l'articolazione delle eventuali prove a suffragio dell'efficacia probatoria della scrittura. Da ciò consegue che, mentre se la scrittura viene prodotta nel corso della udienza di prima comparizione delle parti, l'avversario sarà tenuto a contestarla con la prima memoria depositata, ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., nell'ipotesi in cui sia allegata a tale memoria, la contestazione dovrà essere formulata con la seconda memoria, onde porre la controparte nelle condizioni di articolare eventuali mezzi istruttori a sostegno della propria tesi.

In questo contesto si inserisce Cass. civ., n. 31402/2019, la quale, ponendosi nel solco di Cass. civ., n. 26859/2013 (secondo cui l'onere previsto dall'art. 167, comma 1, c.p.c., di proporre nella comparsa di risposta tutte le difese e di prendere posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, comporta che, esaurita la fase della trattazione, non è più consentito al convenuto, per il principio di preclusione in senso causale, di rendere controverso un fatto non contestato, né attraverso la revoca espressa della non contestazione, né deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte), ha analiticamente chiarito che la valutazione della condotta processuale del convenuto, agli effetti della non contestazione dei fatti allegati dalla controparte, deve essere correlata al regime delle preclusioni, che la disciplina del giudizio ordinario di cognizione connette all'esaurimento delle fase processuale entro la quale è consentito ancora alle parti di "aggiustare il tiro", sia allegando nuovi fatti - diversi da quelli indicati negli atti introduttivi - sia revocando espressamente la non contestazione dei fatti già allegati, sia ancora deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte; in particolare, la mancata tempestiva contestazione, sin dalle prime difese, dei fatti allegati dall'attore è comunque retrattabile nei termini previsti per il compimento delle attività processuali consentite dall'art. 183 c.p.c., risultando preclusa, all'esito della fase di trattazione, ogni ulteriore modifica determinata dall'esercizio della facoltà deduttiva.

L'eccezione alla regola generale

Nonostante l'intervento nomofilattico cui in precedenza si è fatto riferimento, occorre dare atto di un'eccezione al principio generale che sembrava essere stata consentita dalle stesse Sezioni Unite. Invero, per queste ultime, ritenere che la contestazione delle scritture provenienti da terzi possa avvenire soltanto con la querela di falso significherebbe comunque attribuire ad esse un valore privilegiato nell'ambito delle prove a disposizione del giudice che non potrebbe trovare giustificazione con riguardo a tutte le scritture provenienti da terzi, ma soltanto per quelle che hanno un intrinseco grado di attendibilità quanto meno sostanziale, come ad esempio nel caso del testamento olografo (v. Cass. civ., n. 16362/2003) e dei titoli cambiati (v. Cass. civ., n. 2133/2003), atti che, per loro natura e rilevanza non possono essere considerati sotto il profilo probatorio assimilabili ad altre scritture provenienti da terzi; consegue che, solo ove in ogni caso l'atto proveniente da terzo assuma per la valenza intrinseca ad esso un valore particolare, può ritenersi necessaria la querela di falso per contestarne la valenza, ma che, nei casi ordinali, ciò non necessiti, segnatamente con riguardo all'avviso (v. Cass. civ., n. 19359/2004) secondo cui l'idoneità del documento impugnato ad assumere efficacia di fede privilegiata è comunque il presupposto necessario del procedimento di verificazione giudiziale a norma degli artt. 221 e ss. c.p.c., presupposto che normalmente esula dai documenti provenienti da terzi. E così, nell'ambito delle scritture private, deve riservarsi diverso trattamento a quelle la cui natura le connota di una carica di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne la autenticità.

Insinuandosi in questo varco lasciato aperto, si era sostenuto (in questi termini, da ultimo, Cass. civ., n. 8272/2012) che, pur potendo le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite essere liberamente contestate dalle parti, un diverso trattamento si sarebbe dovuto riservare a quelle, come il testamento olografo, la cui natura conferisce loro un'incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne l'autenticità.

Orbene, discostandosi da questa impostazione, Cass. civ., Sez. Un., n. 12307/2015 (cfr. Cass. civ., n. 109/2017) ha statuito che la parte che contesta l'autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e grava su di essa l'onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo. in ciò riprendendo una risalente ed autorevole pronuncia a mente della quale il principio generale - secondo cui l'onere della prova, nelle azioni di accertamento negativo, incombe all'attore - si applica anche in tema di accertamento negativo della provenienza di scrittura privata o di testamento olografo (Cass. civ. n. 1545/1951; Pres. Mandrioli; est. Torrente).

In conclusione

Le dichiarazioni scritte, provenienti da terzi estranei alla lite, su fatti rilevanti non possono esplicare efficacia probatoria nel giudizio se non siano convalidate attraverso la testimonianza ammessa ed assunta nei modi di legge, ma possono unicamente assumere valore d'indizio, l'utilizzazione del quale costituisce non già un obbligo del giudice del merito, bensì una facoltà, il cui mancato esercizio non può formare oggetto di utile censura in sede di legittimità, sia sotto il profilo della violazione dell'art. 115 c.p.c., sia sotto quello dell'omesso esame su punto decisivo della controversia (Cass. civ., n. 2948/1962; cfr. Cass. civ. n. 24976/2017).

Tuttavia, il principio generale ripreso nella sentenza qui commentata lascia irrisolti dei dubbi.

Per quanto non si ricada nell'ambito degli atti aventi valenza fidefacente, è opportuno ricordare che determinati ausiliari dell'imprenditore, e precisamente gli institori, i procuratori e i commessi, sono investiti in quanto tali, indipendentemente da uno specifico conferimento di procura, di un potere di rappresentanza commisurato, quanto alla sua ampiezza, alle mansioni loro affidate dall'imprenditore, salvo il potere di quest'ultimo di limitare (ma non escludere) detta sfera rappresentativa, con le modalità e con gli effetti, per quanto riguarda gli institori e i procuratori, di cui agli artt. 2206, 2207 e 2209 c.c. Ne consegue che deve ritenersi organico il rapporto alla base dei poteri del procuratore dell'imprenditore e quest'ultimo, se viene prodotta in giudizio contro di lui una scrittura privata sottoscritta a nome dell'impresa da un suo procuratore, ha il potere di disconoscerne in giudizio la sottoscrizione a norma dell'art. 214 c.p.c. (Cass. civ., n. 9131/1997).

Particolari incertezze sono ricollegate ad un documento spesso posto alla base di pretese creditizie: la fattura commerciale. Premesso che non di rado la stessa va inquadrata nell'ambito delle dichiarazioni scritte provenienti da terzo estraneo al giudizio, riferendosi a rapporti tra questo ed una delle parti in causa, va inquadrata fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, in quanto dichiarazione, indirizzata all'altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché essa è idonea ad offrire elementi probatori, liberamente utilizzabili dal giudice per la formazione del suo convincimento (Cass. civ., n. 82/1982; cfr. Cass. civ., n. 15037/2015).

In quest'ottica, Cass. civ., n. 23788/2014 ha escluso che la fattura, pur quietanzata, relativa al noleggio di un'autovettura sostitutiva per il tempo richiesto dalla riparazione di quella danneggiata in occasione di un sinistro stradale, fosse idonea a supportare la richiesta di rimborso avanzata dal proprietario, trattandosi di scrittura proveniente da terzi non accompagnata da altri elementi di prova (cfr. Cass. civ., n. 14122/2004).

Ciò detto, vi sono, però, anche alcuni punti fermi.

Escluso, infatti, che i documenti in esame abbiano l'efficacia probatoria piena propria delle prove documentali, si tratta di prove atipiche, non previste dalla legge, di cui il giudice può avvalersi, ponendole alla base del proprio convincimento, sulla base dei poteri ampiamente discrezionali che l'art. 116 c.p.c. gli conferisce, purchè tali prove innominate siano idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, con il solo limite di dare congrua motivazione dei criteri adottati per la loro valutazione (Cass. civ., n. 3642/2004), attesa altresì la mancanza nel nostro ordinamento processuale di una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova. In particolare, si tratta di una fattispecie ricollegabile al concetto di presunzione semplice ex art. 2729 c.c., che la legge stessa disciplina come elemento di integrazione probatoria fondato sui cc.dd. indizi. Le presunzioni semplici, qualora presentino i caratteri della gravità, precisione e concordanza, costituiscono, come è noto, una prova completa della quale il giudice può avvalersi ai fini della formazione del proprio convincimento.

Resta, comunque, ferma la libertà del giudice di formare il proprio convincimento circa la veridicità formale della scrittura, in base agli elementi probatori acquisiti agli atti del processo, nonché al comportamento della parte contro la quale la scrittura viene prodotta, anche in relazione a particolari circostanze che a tale contegno possano conferire una speciale significazione e rilevanza probatoria.

Guida all'approfondimento
  • Carnelutti, La prova civile, rist., Milano, 1992, p. 138;
  • Irti, Sul concetto giuridico di documento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, p. 498;
  • Verde, La prova nel processo civile (profili di teoria generale), in Riv. dir. proc. civ., 1998, p. 14.
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