Il sostentamento del sovraindebitato nel decreto di apertura della liquidazione del patrimonio: limiti di pignorabilità

20 Maggio 2020

Nel decreto di apertura della procedura di liquidazione del patrimonio, il giudice deve fissare i limiti del sostentamento del debitore di cui all'art. 545 c.p.c., che non possono essere ampliati in misura più favorevole per i creditori e più sfavorevole per il debitore. Il Giudice ha sì la facoltà di determinare quanto necessario al mantenimento del debitore, ma solo in aumento rispetto alle proporzioni fissate dall'art. 545, c.p.c..
Premessa

Nel decreto di apertura della procedura di liquidazione del patrimonio, il giudice deve fissare i limiti del sostentamento del debitore di cui all'art. 545 c.p.c., che non possono essere ampliati in misura più favorevole per i creditori e più sfavorevole per il debitore. Il Giudice ha sì la facoltà di determinare quanto necessario al mantenimento del debitore, ma solo in aumento rispetto alle proporzioni fissate dall'art. 545, c.p.c..

Ciò può accadere attribuendo l'intero reddito in capo al sovraindebitato per la modestia dello stipendio o della pensione percepiti, allorquando la destinazione di una frazione di essi non consentirebbe un mantenimento adeguato, facendo scendere il livello di reddito al di sotto degli indici di povertà assoluta fissati dall'ISTAT ovvero giungendo al paradosso di creare le condizioni perché il sovraindebitato acceda al reddito di cittadinanza.

La questione giuridica e le soluzioni offerte dalla giurisprudenza di merito

Il Tribunale di Milano ha parzialmente accolto il reclamo proposto dal debitore avverso il decreto di apertura della liquidazione del patrimonio, che aveva fissato il mantenimento del sovraindebitato in deroga all'art. 545 c.p.c. oltre il limite del quinto dello stipendio percepito dal debitore. Il Tribunale in sede di reclamo ha riformato il provvedimento di prime cure adeguando il mantenimento ai limiti imposti dall'art. 545 c.p.c., non derogabili in peius (Trib. Milano, 14 marzo – 10 aprile 2019).

Si ritiene opportuno illustrare il caso concreto per una migliore comprensione della fattispecie.

Con decreto del 20/02/2019 il Tribunale di Milano aveva aperto una procedura di liquidazione del patrimonio, composto dal (solo) reddito da lavoro dipendente (Euro 1.700 netti mensili), stabilendo quale somma necessaria al proprio mantenimento la somma di Euro 700,00 (destinando, pertanto, Euro 1.000,00 al soddisfacimento dei creditori), anziché la somma di Euro 1.200, come proposta dll'istante. Il debitore sovraindebitato ha proposto reclamo avverso il decreto di apertura della propria liquidazione giudiziale, nella parte relativa alla determinazione delle spese di sostentamento, dolendosi della errata valutazione delle medesime, per violazione del limite di pignorabilità dei redditi ex art. 545 c.p.c..

La Legge 3/2012 non identifica un mezzo per impugnare i singoli atti del giudice designato: ma sulla base di una lettura sistematica delle disposizioni della Legge Fallimentare e di quella in materia di esecuzione individuale, nonché nel nuovo contesto del Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, il provvedimento in commento ricava il principio generale per cui gli atti amministrativi e ordinatori del giudice designato devono essere considerati sempre impugnabili.

Nel merito, il provvedimento del Tribunale di Milano, accogliendo parzialmente i motivi di impugnazione, ha modificato il provvedimento di apertura, ha statuito l'incremento delle somme da mettere a disposizione del debitore (a danno dei creditori), mandando al Giudice designato di emettere il conseguente ordine nei confronti del datore di lavoro del ricorrente.

Il decreto citato si pone nel solco di un filone di pronunce che, ritendendo ammissibile la procedura di liquidazione del patrimonio, anche quando il reddito percepito è rappresentato solo dal reddito prospettico (oltre all'orientamento meneghino condiviso, v. Trib. Verona, ordinanza 21 dicembre 2018; Trib. Pordenone 14 marzo 2019; Trib. Matera 24 luglio 2019; contra, Trib. Mantova 18 maggio 2018). All'interno di questo indirizzo la pronuncia in commento si spinge oltre: stabilisce che il giudizio sulla valutazione delle spese di sostentamento del debitore ricorrente debba tener conto dei diritti non pignorabili, se del caso facendo ricorso agli indici di povertà assoluta registrati dall'ISTAT ovvero l'importo mensile previsto dal reddito di cittadinanza, e solo in aumento, ovvero senza che la differenza tra il reddito netto e le somme che dovranno essere acquisite alla procedura risulti inferiore al limite di impignorabilità. Di recente altro tribunale in sede di valutazione della convenienza della proposta del piano del consumatore, rispetto alla alternativa procedura di liquidazione ex art. 14-ter e s.s. L. 3/2012, senza affrontare espressamente la questione della determinazione del limite di pignorabilità, ha affermato che il parametro di valutazione degli importi necessari al mantenimento da sottrarre alla liquidazione non può essere rappresentato dalla disponibilità della quota di un quinto dello stipendio (Trib. Ancona 09/09/2019, che richiama il precedente Trib. Ancona 15/03/2018), in base alle seguenti motivazioni:

(i) l'art. 14-ter non richiama l'art. 545, c.p.c., posto che, viceversa, l'esclusione dello stipendio dai “diritti liquidabili”, nei limiti di 4/5 dell'importo, si sarebbe dovuta ricavare dall'art. 14-ter, comma 6, lett. a), che si riferisce ai crediti impignorabili, con conseguente inutilità della previsione normativa,

(ii) al giudice è rimessa la determinazione di tale importo. In linea con il provvedimento meneghino e in ossequio ad un criterio storico-evolutivo, conforme alla ratio del Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, il giudice anconetano afferma che nel determinare il fabbisogno della famiglia del ricorrente debba farsi riferimento “all'ammontare dell'assegno sociale moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza ISEE di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013 n. 159”, così come esplicitato dall'art. 68, comma 3, CCII (in vigore dal 14/08/2020).

Rileva, dunque, quanto previsto dalla lettera a) del citato art. 14-ter, comma 6, L. 3/2012, che esclude tra i diritti compresi nella liquidazione “i crediti impignorabili ai sensi dell'art. 545, c.p.c.”.

L'art. 545, c.p.c. non viene richiamato dall'art. 46 L.F., rubricato “beni non compresi nel fallimento”, e nell'ambito delle procedure esecutive individuali costituisce il criterio “guida” della misura del pignoramento.

I limiti entro i quali gli stipendi e le pensioni del fallito non sono compresi nel fallimento, in quanto necessari per il mantenimento del fallito e della sua famiglia, sono fissati con decreto motivato dal giudice delegato tenendo conto della condizione personale del fallito e di quella della sua famiglia (art. 46, co. 1 n. 2) e co. 2, L.Fall.). Ne consegue, pertanto, che non può mai essere acquisita alla procedura fallimentare l'integralità delle somme che il fallito percepisce con la propria attività lavorativa (anche da lavoratore autonomo, Trib. Padova, 26 aprile 2002, in Il fallimento, 2003, 1375) o a titolo di pensione; almeno una parte di tali somme deve essere quindi lasciata nella piena disponibilità del fallito (v. Cass. 26201/2016). Ne consegue che nella procedura fallimentare, il Giudice delegato ha facoltà di determinare la misura del “pignoramento”, anche in misura diversa da quanto prescritto dall'art. 545 c.p.c. (v. ad esempio, Cass. n. 2939/2008; Cass. 2719/2007).

Nella procedura esecutiva individuale, invece, si esclude che il giudice dell'esecuzione abbia la facoltà di determinare una misura del pignoramento in termini diversi e più favorevoli al debitore di quanto previsto dall'art. 545, c.p.c. (sul punto, ex multis, Corte Cost. n. 38/1970, n. 209/75, 302/98, 225/2002), a pena di inefficacia del pignoramento posto in essere in violazione dei limiti di cui all'art. 545, c.p.c., rilevabili anche d'ufficio (art. 545, ult. comma, c.p.c.).

Venendo a quanto richiesto nella procedura di liquidazione giudiziale del patrimonio del debitore, diversamente, secondo il Tribunale meneghino i crediti impignorabili di cui all'art. 545, c.p.c. non sono ricompresi nella liquidazione, sicché il Giudice designato ha sì la facoltà di determinare quanto necessario al mantenimento del debitore, ma solo in aumento, nell'ipotesi in cui cioè l'applicazione dell'art. 545, c.p.c., per la modestia dello stipendio o della pensione percepiti dal debitore, non gli consentirebbero un adeguato mantenimento.

L'interpretazione fornita dal provvedimento costituisce una linea guida sia per il giudice designato che, in ossequio al combinato disposto degli artt. 14-quinquies, comma 2, lett. f) e 14-ter, comma 6, lett. b), L. 3/2012, sia chiamato a valutare le spese necessarie al sostentamento del debitore istante, sia per i consulenti del debitore e per il gestore.

Il caso affrontato dal Tribunale di Milano offre lo spunto per ulteriori considerazioni, in ordine, da un lato, all'ipotesi in cui il nucleo familiare sia composto anche da soggetti “non sovraindebitati” e all'ipotesi, dall'altro, in cui da detta valutazione non residui alcuna somma acquisibile alla procedura di liquidazione dei beni, al momento della relativa apertura.

Con riferimento al primo caso, sul presupposto che l'art. 14-ter, comma 6, lett. b) l. 3/2012, prescrive che debba essere sottratto alla liquidazione, nei limiti fissati dal giudice, quanto il debitore guadagna con la propria pensione, si ritiene che non si possa addivenire ad una totale eliminazione di introiti strettamente “personali”, come la pensione, in ragione della presenza di un sostentamento che derivi al debitore non da altri proventi di cui egli sia diretto titolare (ciò che escluderebbe ragionevolmente la necessità di riservare la pensione al debitore che abbia altri redditi propri), ma solo in ragione del generale diritto all'assistenza ex art. 143 c.c. derivante dalla propria qualità di coniuge. In questi termini, deve essere considerata anche la posizione economica del coniuge, ma ciò ai soli fini, eventualmente, di ridimensionare e modulare la porzione di redditi da escludere dalla procedura, fermo pur sempre il limite dell'impignorabilità di cui all'art. 545 c.p.c. (Trib. Pesaro, 13 maggio 2019/18 giugno 2019).

Secondo detto provvedimento va dunque riconosciuto al sovraindebitato il diritto di trattenere la pensione di cui risulti titolare entro i limiti di impignorabilità prevista per tali emolumenti dall'art. 545 c.p.c., e ciò a prescindere dai trattamenti pensionistici di cui beneficia il coniuge.

Ancorché non vi siano pronunce di legittimità, è possibile sostenere che anche laddove la procedura si fonda sul “sostentamento esterno” del coniuge, anche se solo limitato alle spese di sostentamento del nucleo familiare, senza tradursi in una “finanza esterna”, debba essere rispettato il limite di impignorabilità di cui all'art. 545, c.p.c.

Con riferimento alla seconda ipotesi, che può essere qualificata, per comodità, “del debitore incapiente”, anticipando l'istituto introdotto dal codice della crisi di impresa e dell'insolvenza di cui all'art. 283 CCII che prevede l'accesso diretto all'esdebitazione del sovraindebitato incapiente, il quale testualmente “non è in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura”, ci si è chiesti se la procedura di liquidazione del patrimonio sia ammissibile, quando la differenza tra i redditi percepiti (quale unico attivo della procedura) e spese necessarie al sostentamento, risulti “negativa”, ovvero, in sintesi, quando non vi siano somme acquisibili alla procedura, nemmeno in prospettiva, al momento della relativa apertura. Stante l'inapplicabilità ad oggi del predetto istituto, secondo parte della dottrina è possibile una liquidazione dei beni ove i creditori non vengano pagati per nulla, altrimenti il requisito non dovrebbe essere verificato nell'esdebitazione.
Ne consegue che se è possibile una liquidazione dei beni senza il pagamento dei creditori, è possibile una liquidazione dei beni senza alcun attivo da esitare (altrimenti verrebbero pagati i creditori in ogni procedimento di liquidazione dei beni e non si dovrebbe verificare il loro pagamento dei creditori per ottenere l'esdebitazione).

Questa considerazione offre lo spunto per ridefinire il perimetro e lo scopo dell'istituto.

La procedura di liquidazione del patrimonio si pone l'obiettivo di consentire una seconda chance che, in funzione specialpreventiva, può permettere il reinserimento del sovraindebitato in un circolo virtuoso. In tal modo, il legislatore vuole che il sovraindebitato rimanga nel sistema della legalità e per effetto della propria eventuale “redenzione”, se sono soddisfatti altri requisiti, lo esdebita, trasformando le obbligazioni concorsuali in obbligazioni naturali, anche a prezzo di derogare al principio consensualistico e al principio della garanzia generica sancito dall'art. 2740 cod. civ. (CESARE F. La liquidazione del patrimonio, in il Fallimentarista, 2017; Trib. Verona, 20 dicembre 2018, con commento di N. Nisivoccia, È ammissibile la procedura di liquidazione anche quando il debitore sia privo di beni, in il Fallimentarista, 28 marzo 2019).

Sulla base di tali osservazioni, si spiega come l'apertura della procedura di liquidazione “senza beni” liquidabili sia ammissibile, posto che con la relativa istanza, il debitore mette a disposizione tutto il proprio patrimonio presente passato e futuro e potenziale. E ciò anche se esso sia costituito, al momento del deposito dell'istanza, solo dai redditi futuri (da lavoro). Ciò non toglie che il debitore non possa offrire un importo superiore al quinto dello stipendio su basi meramente volontarie per incrementare le possibilità di esdebitazione. Ma la questione interessa non tanto il procedimento di apertura della liquidazione, quanto l'attività del nominando liquidatore, e non può condizionare l'apertura della procedura, perché il tema non rientra tra quelli menzionati nell'art. 14-quinquies L. 3/2012. Detta norma fissa, invero, un contenuto tipico del decreto di apertura della liquidazione e del perimetro di indagine del giudice, dal quale esula ogni valutazione sull'effettiva possibilità di soddisfare i creditori (cosa che invece è prevista per il piano del consumatore e per l'accordo di composizione della crisi, cfr. Cesare F., cit.).

Cosicché, l'eventuale indicazione di una somma da mettere a disposizione sempre nei limiti della quota pignorabile, nonostante debba orientare il tribunale per definire il perimetro dei beni sottoposti alla liquidazione ex art. 14-ter comma 6 L. 3/2012, spetterà solo al liquidatore giudiziale eventualmente nominato: solo ad egli compete la gestione del patrimonio oggetto di spossessamento, e solo egli dovrà elaborare un programma di liquidazione, che non è di competenza né del debitore istante, né del Tribunale (art. 14-novies, L. n. 3/2012), che nemmeno deve approvarlo.

Del resto, secondo una tesi, la liquidazione pure può essere esperita senza alcun bene da liquidare, come previsto per il fallimento all'art. 102, L. Fall.: diversamente non si potrebbe comprendere perché fenomeni di minore rilevanza come quelli regolati dal sovraindebitamento dovrebbero invece essere esclusi da ogni procedura concorsuale se non vi siano beni da liquidare.

Ed invero, nella procedura di liquidazione dei beni del debitore sovraindebitato, vi sono beni ulteriori che, a differenza che nel fallimento, invece potrebbero inaspettatamente sopravvenire a beneficio della massa: quote di reddito incrementato rispetto al tempo della domanda, TFR eventualmente maturato, eredità o provvidenze di altro genere non preventivabili al momento.

Da ultimo, se al debitore istante, una volta ammesso alla procedura di liquidazione dei beni venissero a mancare i mezzi di sussistenza, muovendo dalla considerazione che il provvedimento sulla determinazione delle spese di sostentamento non ha carattere definitivo, in assenza di una espressa previsione nella legge sul sovraindebitamento, ci si chiede quale possa essere la possibile soluzione.

Nella procedura fallimentare, il giudice delegato, sentiti il curatore ed il comitato dei creditori, può concedere al fallito un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la famiglia, senza che assuma rilievo il requisito della meritevolezza (v. Trib. Torino, 27 maggio 1988, in Dir. fall., 1989, II, 899; contra Trib. Verona, 15 maggio 2015, in Il fallimento, 2015, 12, 1350, secondo cui rileverebbero anche le ragioni dell'indisponibilità o dell'insufficienza dei redditi del fallito). Tuttavia, si esclude che il fallito vanti in tale ipotesi un diritto soggettivo agli alimenti e che lo stesso possa ottenere il sussidio, quando vi siano persone obbligate a prestargli gli alimenti, ai sensi dell'art. 433, c.c. (Trib. Torino, 27 maggio 1988, in Dir. fall., 1989, II, 899), così come i coniugi e i conviventi more uxorio hanno l'obbligo di assistenza materiale reciproca (ex multis Cass. civ. 13 aprile 2018 n. 9178).

Nella procedura di sovraindebitamento, in conformità all'orientamento di merito, ad avviso di chi scrive, si può ritenere che anche in caso di insussistenza sopravvenuta dei mezzi di sostentamento, non può essere violato il limite di impignorabilità di cui all'art. 545 c.p.c., richiamato dall'art. 14-ter, co. 6, lett. a), L. 3/2012. In tal caso, si potrebbe ravvisare curiosamente, tra l'altro, uno dei presupposti per l'accesso da parte del debitore-sovraindebitato al reddito di cittadinanza, con il fine di integrare il (proprio) reddito, con aiuti statali e indirettamente dei contribuenti (anche gli stessi creditori).

Profilo processuale: la non definitività del provvedimento di apertura

Il provvedimento citato si segnala anche per la questione processuale affrontata: i singoli atti del giudice designato nel sovraindebitamento sono autonomamente impugnabili anche in assenza di una espressa disposizione di legge.

Ed invero, considerato che il decreto di apertura della liquidazione rientri nel novero degli atti amministrativi, ordinatori e di natura non definitiva e, pertanto, suscettibili di impugnazione, che l'assenza dell'espressa previsione nella legge sul sovraindebitamento impedisce l'applicazione analogica dell'art. 26, L. Fall., nell'attuale assetto della normativa sul sovraindebitamento, in base al principio generale in materia di impugnazione dei procedimenti civili (art. 329, comma 2, c.p.c.), il Tribunale di Milano ha ritenuto che il debitore possa proporre reclamo, ai sensi dell'art. 739, c.p.c., nel termine di dieci giorni per chiedere la riforma di singole statuizioni del decreto di apertura.

In conclusione

Alla luce delle osservazioni sopra svolte, la giurisprudenza di merito fissa diverse milestones nel panorama di grande incertezza interpretativa della legge 3/2012: anche nella procedura di liquidazione del patrimonio le somme destinate al mantenimento del sovraindebitato non possono superare il limite di cui all'art. 545, c.p.c. in senso sfavorevole per il debitore, che altrimenti sarebbe relegato al di sotto della soglia di povertà; il provvedimento sulla determinazione delle spese di mantenimento non è definitivo ed è autonomamente impugnabile, con lo strumento del reclamo ex art. 739, c.p.c.. La giurisprudenza di merito recente pare porsi nel solco della ratio della legge sul sovraindebitamento, che ne costituisce un criterio interpretativo ex art. 12 delle preleggi al codice civile. Ed invero, se si dovesse ritenere che il giudice designato nella procedura di sovraindebitamento possa non tener conto dei limiti di impignorabilità, l'accesso alla procedura di liquidazione del patrimonio sarebbe disincentivato rispetto alla procedura esecutiva individuale. Diversamente opinando infatti al sovraindebitato risulterebbe più conveniente far proseguire le espropriazioni forzate sui propri beni rispetto a quelle collettive. Il che, ovviamente non può essere coerente con un sistema che fa prevalere le procedure concorsuali rispetto a quelle individuali, anche per logiche deflattive del contezioso (si veda peraltro nel Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza l'art. 268, comma 2).

Guida all'approfondimento

Cesare F. La liquidazione del patrimonio, in il Fallimentarista, 2017;

Nisivoccia N., È ammissibile la procedura di liquidazione anche quando il debitore sia privo di beni, in il Fallimentarista, 28 marzo 2019 commento a Tribunale Verona, 20 dicembre 2018;

Rossetti S. Gli orientamenti della Sezione Fallimentare di Milano sul sovraindebitamento, in il Fallimentarista, 2018.

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