Così si è espressa la III sezione civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 5968/20, depositata il 3 marzo, che ha rigettato il ricorso di una società che nelle more della locazione di un immobile, aveva invocato la risoluzione del rapporto per inadempimento della concedente.
I fatti. Il caso riguardava, appunto, un contratto di locazione con il quale era stato concesso in godimento un bene, a fronte del pagamento di un canone e dell'assunzione del rischio, da parte della società conduttrice, di un eventuale mancato rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento dell'attività cui l'immobile sarebbe stato destinato.
Nel corso della locazione, dette concessioni venivano negate, tanto che la conduttrice adiva il Tribunale per ottenere la declaratoria di risoluzione del rapporto per inadempimento della locatrice, a causa dei vizi del bene, ritenuti rilevanti ai sensi dell'art. 1578 c.c.
La domanda veniva accolta in primo grado ma, a seguito dell'appello svolto innanzi alla Corte di merito partenopea, la conduttrice vedeva respinte le proprie richieste, con condanna al pagamento di tutti i canoni non corrisposti, avendo essa detenuto il locale fino alla scadenza del rapporto contrattuale.
Il giudizio in Cassazione. La pronuncia del giudice di seconde cure è stata impugnata con ricorso in Cassazione affidato a quattro motivi di diritto, cui la concedente ha resistito con controricorso.
Con il primo motivo è stata denunciata la violazione dell'art. 1578 c.c., con riferimento alla inidoneità del bene al conseguimento delle autorizzazioni amministrative, censura che la Corte ha ritenuto inammissibile.
Ciò perché la ricorrente non aveva colto la ratio della decisione, limitandosi ad una generica contestazione, senza percepire che la Corte di merito aveva fatto corretta applicazione del costante insegnamento della giurisprudenza. In particolare, è consolidato l'orientamento secondo cui quando il conduttore è a conoscenza della ipotetica inidoneità del bene a realizzare il proprio interesse, accetta il rischio economico dell'impossibilità di utilizzazione, dunque, non vi sono i presupposti per la risoluzione del rapporto ex art. 1578 c.c.
Vieppiù, nel caso di specie, risultava accertato che la locatrice non aveva assunto alcun obbligo in ordine all'eventuale rilascio dei titoli e che il successivo diniego del Comune non era dipeso da caratteristiche proprie dell'immobile locato che, comunque, era rimasto nella disponibilità della conduttrice sino alla scadenza.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 2697 c.c. poiché era stato erroneamente attribuito alla conduttrice, l'onere di dimostrare il carattere definitivo del diniego delle autorizzazioni amministrative. Tale censura è stata ritenuta inammissibile per difetto di interessi, risultando priva di concreto rilievo ai fini del decidere.
Con il terzo motivo è stata denunciata la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., ovvero, in subordine, dell'art. 1579 c.c., in riferimento all'interpretazione degli accordi conclusi dalle parti sul rischio del rilascio delle autorizzazioni amministrative.
Anche tale censura è stata rigettata poiché l'interpretazione degli atti negoziali è riservata al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo con riferimento all'art. 360, n. 5, c.p.c., ovvero, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c.
Infine, con l'ultimo motivo è stata censurata la violazione dell'art. 1229 c.c. per avere la Corte di merito disatteso la richiesta di indennizzo per i lavori di adeguamento dell'immobile locato, senza avvedersi della contrarietà del patto con il quale la conduttrice aveva rinunziato a ogni rimborso al riguardo. Sul punto, la Corte di Cassazione ha osservato che al negozio in esame non era applicabile la fattispecie di cui all'art. 1229 c.c., non essendo emersa alcuna limitazione di responsabilità della concedente per dolo o colpa grave, in relazione all'impegno in esame.
Rilevata, pertanto, la complessiva infondatezza delle censure, la Corte ha respinto il ricorso e condannato la società istante al rimborso delle spese legali ed al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.