La Cassazione sulla clausola c.d. claims made
20 Maggio 2020
In una vicenda di responsabilità professionale sanitaria una struttura ospedaliera aveva convenuto in giudizio la propria compagnia di assicurazione per essere manlevata dalla richiesta risarcitoria avanzata dai genitori di un minore. La Compagnia di assicurazione aveva tuttavia eccepito che il contratto conteneva una clausola claims made, che imponeva di denunciare il sinistro entro dodici mesi dalla cessazione di efficacia, e che quel termine era in realtà inutilmente trascorso. In primo ed in secondo grado la domanda rivolta nei confronti della Compagnia è stata respinta, in quanto la clausola claims made non solo non veniva giudicata vessatoria, ma anche perché, così concepita, perseguiva interessi meritevoli di considerazione, o meglio, non rendeva il contratto immeritevole di tutela. La clausola in questione: «prevedeva l'obbligo dell'assicuratore di tenere indenne l'assicurato solo dei sinistri dipendenti da condotte tenute tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), ma a condizione che: a) vi fosse stata richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato entro quel periodo; b) che ricevuta richiesta di risarcimento, entro 12 mesi dalla cessazione del contratto, l'assicurato avesse denunciato il sinistro alla compagnia». La struttura ospedaliera ha proposto ricorso in cassazione formulando tre motivi di censura. Respinti i primi due motivi, la Corte affronta il terzo motivo di censura che lamentava la violazione degli artt. 1322 e 1362 c.c. Secondo la ricorrente, la Corte d'Appello avrebbe errato nel ritenere meritevole la clausola claims made, in quanto, se: «è ben vero che in questo caso la clausola non impone di denunciare il sinistro entro il termine di scadenza del contratto, bensì concede dodici mesi da quella scadenza”, è altrettanto vero che: «così facendo, pone l'assicurato in una condizione di difficoltà e debolezza, in quanto la denuncia del sinistro all'assicurazione (entro i dodici mesi dalla scadenza) presuppone che l'assicurato abbia ricevuto una tempestiva richiesta di risarcimento dal danneggiato, o meglio, che l'abbia ricevuta tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS)». In altre parole: «la clausola claims made fa dipendere la prestazione dell'assicurazione non solo dall'evento dedotto in contratto, ma altresì da un ulteriore evento incerto, quale è la richiesta di risarcimento del terzo danneggiato: se questa ultima non è tempestiva, non potrà esserlo neanche quella dell'assicurato. La copertura assicurativa, infatti, decade se il terzo danneggiato decide di formulare la richiesta di risarcimento trascorsi dodici mesi dalla scadenza del contratto. Ossia: la tempestività della richiesta di manleva, dipende dalla tempestività della richiesta di risarcimento da parte del terzo, e questa dipendenza pone l'assicurato in una condizione di ingiustificato svantaggio nei confronti dell'assicuratore, creando una decadenza che il contraente non può evitare». La Suprema Corte accoglie il ricorso.
La Corte, infatti, preliminarmente riconosce che: «La Sezioni Unite sono ritornate sulla questione (ndr della validità o meno della clausola c.d. claims made), a seguito di due ordinanze di rimessione che ritenevano insoddisfacente la soluzione proposta dalla decisione n. 9140 del 2016». In particolare, con la sentenza 22437 del 2018: «hanno riconsiderato la questione della clausola claims made (e di clausole simili) sotto un profilo qui rilevante: hanno cioè ritenuto che l'inserimento in un contratto di assicurazione di una clausola del tipo claims made non stravolge il tipo contrattuale, comportandone l'atipicità, e dunque non si applica dell'art. 1322 c.c., comma 2, che, quanto ai contratti atipici, richiede che ne sia valutata la meritevolezza».
In realtà: «l'inserimento nel contratto di assicurazione di una clausola siffatta mantiene inalterato il tipo negoziale, ampliandone semmai il contenuto o comportandone un adattamento agli interessi delle parti, cosi che non si tratterà di valutarne la meritevolezza funzionale (astratta o concreta che sia) bensì di valutare se la determinazione del contenuto contrattuale è avvenuta nei limiti della legge (art. 1322 c.c., comma 1)».
Stato: «di conseguenza ovvio affermare che "Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole "on claims made basis", quale deroga convenzionale all'art. 1917 c.c., comma 1, consentita dall'art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell'assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all'art. 1322 c.c., comma 2, ma alla verifica, ai sensi dell'art. 1322 c.c., comma 1, della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l'adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge"(Cass. civ., Sez. Un. n. 22437/2018)». In altre parole, si è passati da un giudizio di “meritevolezza” della clausola claims made (previsto dalla Cass. Sezioni Unite n. 9140) ad un giudizio sulla “causa in concreto del negozio”, cioè su «come la libera determinazione del contenuto contrattuale, tramite la scelta del modello claims made, rispetti, anzitutto, i "limiti imposti dalla legge", che il primo comma dell'art. 1322 c.c. postula per ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo, in ragione del suo farsi concreto regolamento dell'assetto di interessi perseguiti dai paciscenti» (previsto dalla Cass. Sezioni Unite n. 22437/2018).
Possiamo prescindere oggi, pertanto, dalla disputa su: «come si valuti la meritevolezza: se attenga al tipo o alla causa, se possa farsene applicazione ai contratti tipici in aggiunta al criterio della illiceità (art. 1343 c.c.) », in quanto: «il contratto di assicurazione cui sia apposta la clausola” claims made “non diventa, per via di tale inserimento, un contratto atipico, e dunque sfugge, come ricordato dalle Sezioni Unite del 2018, sopra citate, alla disciplina dell'art. 1322 c.c., comma 2». Il contratto di assicurazione con clausola claims made resta dunque: «un contratto tipico, cui le parti hanno aggiunto ulteriore contenuto” e quindi, ricordano le citate Sezioni Unite n. 22347/2018, dovrà farsi riferimento: «all'art. 1322 c.c., comma 1, il quale prevede in tal caso che l'autonomia delle parti, quando si esercita all'interno del tipo negoziale, senza alterarlo e trasformarlo in un contratto atipico, deve mantenersi nei limiti imposti dalla legge».
Ma quali sono questi “limiti” si chiede la Suprema Corte? La risposta è che: «qui il richiamo a tali limiti altro non è che il richiamo all'art. 1343 c.c.: si tratta pur sempre di un contratto tipico, salva l'aggiunta di contenuto ulteriore ad opera delle parti, e dunque di un contratto la cui liceità è misurata con il criterio dell'art. 1343 c.c. », che prevede, lo ricordiamo, che: «la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al bon costume».
Quando le parti realizzano un assetto di interessi diverso da quello astrattamente descritto dal legislatore, dunque: «va verificata la causa concreta, ossia lo scopo economico individuale».
A volte, precisa la Suprema Corte, peraltro: «è più semplicemente questione di verifica di liceità (ai sensi dell'art. 1343 c.c.) anche della singola clausola».
Secondo il Supremo Collegio è proprio questo: «il caso che ci occupa: le parti hanno arricchito il tipo contrattuale (assicurazione contro i danni) con la previsione di una decadenza a carico dell'assicurato, nei termini che si sono sopra ricordati».
Non è quindi necessario: «postulare che questa clausola giustifica l'intera operazione negoziale (nei termini della causa concreta), è sufficiente chiedersi se sia lecita in sé e per sé, alla luce del criterio di cui art. 1322, comma 1, ossia se si mantenga nei limiti imposti dalla legge».
La clausola, come sopra ricordato: «pone una decadenza a carico dell'assicurato non dipendente da una sua condotta: l'assicurato può fare denuncia dell'evento nei 12 mesi dalla cessazione del contratto solo se abbia ricevuto in quei termini temporali la richiesta di risarcimento del danno, condizione che ovviamente dipende esclusivamente dal terzo danneggiato.
In tali termini essa contrasta con disposizioni imperative di legge, non solo con l'art. 1341 c.c., che vieta, se non sottoscritte, le clausole vessatorie, e che tra queste annovera espressamente quelle che impongono decadenze, ma altresì con l'art. 2965 c.c., che commina la nullità dei patti con cui si stabiliscono decadenze che rendono eccessivamente difficile ad una delle parti l'esercizio del diritto».
Difatti: «il termine apposto alla escussione dell'assicurazione, ossia al diritto di far valere la prestazione assicurativa a carico dell'assicuratore, è un termine di decadenza, che è nullo proprio perché rende, nella fattispecie, eccessivamente difficile l'esercizio del diritto dell'assicurato». La difficoltà di esercitare il diritto: «non è ovviamente, come ritenuto dal giudice di merito, da valutarsi in termini temporali, nel senso che dodici mesi sono sufficienti per denunciare il sinistro all'assicurazione, ma va intesa anche nei termini della concreta possibilità di evitare la decadenza attraverso una propria condotta, possibilità che è del tutto esclusa o comunque assai ridotta se l'assicurato può fare denuncia di sinistro solo in dipendenza dalla condotta del terzo, sulla quale ovviamente non può influire. Altro è prevedere una decadenza nel termine di dodici mesi dalla richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato, altro è fissare la scadenza di dodici mesi a partire dalla scadenza del contratto, prescindendo dunque dalla circostanza che in tale lasso di tempo può non pervenire alcuna richiesta di risarcimento, che è il presupposto perché l'assicurato si rivolga all'assicuratore, ed estendendo peraltro la decadenza al caso in cui una richiesta di risarcimento pervenga all'assicurato, ma oltre il termine di efficacia del contratto. Cosi che l'assicurato può evitare la decadenza a condizione non tanto che il terzo danneggiato faccia richiesta di risarcimento entro dodici mesi dalla cessazione degli effetti del contratto, ma che la faccia prima che si verifichi tale cessazione». In definitiva: «le clausole che rendono difficile l'esercizio del diritto (art. 2965 c.c.) sono anche quelle che prescindono dalla diligenza della parte, e che fanno dipendere quell'esercizio da una condotta del terzo, autonoma e non calcolabile. Nella fattispecie, poiché la denuncia del "sinistro" dipende dalla richiesta di risarcimento avanzata dal danneggiato verso l'assicurato, prima del quale quest'ultimo non ha interesse ad avvisare la sua assicurazione, il medesimo assicurato ha un onere (derivante dalla polizza) cui può adempiere solo se ha ricevuto in tempo una richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato, ossia se ha ricevuto la richiesta non solo entro 12 mesi dalla scadenza del contratto, ma nell'arco temporale dell'anno di sua validità. Con conseguente violazione di legge della relativa clausola, di cui all'art. 1322 c.c. ». La massima che possiamo trarre da questa decisione è dunque la seguente: «La clausola claims made inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile, pur non rendendo atipica la fattispecie negoziale, si rivela contraria alle disposizioni di cui agli artt. 1322, comma 1, c.c., 1341 c.c. e 2965 c.c. che commina la nullità dei patti con cui si stabiliscono decadenze che rendono eccessivamente difficile ad una delle parti l'esercizio del diritto». La statuizione delle Sezioni Unite sulla clausola claims made (n. 22437/2018), come previsto, non ha dunque risolto una volta per tutte la questione della validità dei contratti claims made, soprattutto, con riferimento alle polizze stipulate tempo fa, ed oggetto di contenziosi e/o vertenze tuttora pendenti.
Pur avendo qualificato l'assicurazione della responsabilità civile in forma claims made come contratto tipico ormai riconosciuto anche dal Legislatore (vedi Legge Gelli n. 24/2017 e Decreto del Ministero della Giustizia 22/09/2016 in attuazione dell'art. 12 della L. n. 247/2012), detta decisione ha infatti lasciato ai magistrati una facoltà di indagine, sulla validità/liceità di siffatta regolamentazione, modo molto più estesa di quella dello scrutinio di “meritevolezza”, in quanto tale indagine può riguardare non solo la conformazione genetica del contratto, ma anche la fase precedente alla sua conclusione e quella relativa all'attuazione del rapporto: «rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell'attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia (esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell'adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro)».
Dopo la decisione n. 22347/2018 delle Sezioni Unite, sino ad oggi la Suprema Corte non aveva riservato particolari sorprese, confermando la validità della clausola claims made in ripetute decisioni (vedi Cass. civ., ord. 20 dicembre 2018 n. 32939; Cass. civ., 15 aprile 2019 n. 10447; Cass. civ., ord. 25 giugno 2019 n.16902 ; Cass. civ., ord. 9 luglio 2019 n. 18413; Cass. civ., 19 luglio 2019 n. 19518 e da ultimo Cass. civ., 23 aprile 2020 n. 8117).
L'ordinanza n. 8894/2020 del 13 maggio, tuttavia, riapre un fronte molto delicato per la tenuta della copertura delle polizze di assicurazione della responsabilità civile (e prodotti), con conseguente rischio di veder dichiarare la nullità, anche parziale, dei contratti, soprattutto per difetto di causa in concreto.
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