Le infezioni da coronavirus e le assicurazioni contro i danni alla persona

25 Maggio 2020

Premesso che la pandemia di corona virus ha esplicato conseguenze di rilievo anche per le assicurazioni dei danni alla persona si rileva che mentre le assicurazioni malattia potrebbero venir interessate direttamente, per le assicurazioni contro gli infortuni si pongono invece diverse problematiche.Anzitutto, si pone la questione se le conseguenze di tale pandemia possano essere considerate infortunio anche nelle assicurazioni private come risulta per gli infortuni sul lavoro. Ci si deve allora chiedere se quanto disposto con il d.l. n. 18/2020, che tanto ha appunto confermato per questi ultimi, sia applicabile alle prime. Si pone quindi la necessità di decidere se anche in tali assicurazioni il concetto di infortunio consenta di ivi ricomprendere le conseguenze delle infezioni da coronavirus e tanto non può che essere deciso con l'esame delle condizioni contrattuali . In punto, diventa allora preminente la definizione di causa violenta richiesta per la stessa definizione di infortunio. Occorre poi decidere se in dette condizioni e nelle eventuali esclusioni di rischio da esse previste possano rientrare anche le infezioni microbiche e virali tra le quali si può certo comprendere l'infezione da coronavirus. Problematica questa che non può prescindere da un esame di tutte le condizioni contrattuali e da una attenta interpretazione delle stesse.Tali questioni vengono quindi esaminate cercando di fornire risposte possibilmente in sintonia con gli indirizzi adottati in merito dalla giurisprudenza.
La pandemia da coronavirus e le assicurazioni contro i danni alla persona

La recente pandemia di coronavirus pone delle problematiche anche per quanto riguarda le assicurazioni contro i danni alla persona e cioè le assicurazioni contro le malattie e le assicurazioni contro gli infortuni.

Si tratta cioè di vedere se le conseguenze di detta epidemia possano comportare eventi tali da risultare risarcibili in forza delle predette assicurazioni.

Per quanto riguarda le assicurazioni contro le malattie è appena il caso di rilevare che nell'ambito delle stesse vengono comprese, oltre ad altre forme assicurative, l'assicurazione delle spese mediche e l'assicurazione invalidità permanente da malattia.

Le problematiche attinenti tali assicurazioni possono venir valutate con relativa facilità.

E' infatti, appena il caso di rilevare che le assicurazioni spese mediche comprendono, in linea di massima tutte le spese affrontate in conseguenza di malattia od infortunio. Ergo qualunque sia l'inquadramento che si voglia dare all'infezione da coronavirus le garanzie, salve eventuali delimitazioni di rischio, dovrebbero operare.

Per l'assicurazione invalidità permanente da malattia il discorso potrebbe invece risultare leggermente più complesso soprattutto in relazione all'inquadramento che si può dare all'infezione da covid che, come meglio si vedrà in seguito, potrebbe essere considerata infortunio piuttosto che malattia. Di conseguenza, in tale tipo di assicurazione, le garanzie potrebbero operare solo in forza della presenza dell'estensione anche alle invalidità derivanti da infortunio intervenendo, in ogni caso, solo laddove all'infezione siano residuati postumi permanenti.

Le problematiche che si presentano nelle assicurazioni contro gli infortuni ed in particolare nelle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro

Per quanto riguarda le assicurazioni contro gli infortuni si pongono invece problematiche più complesse.

Occorre premettere che l'art. 42 comma 2 del d.l. 17/3/2020 n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da Covid 19 convertito con modificazioni con la l. 24/4/2020 n.27 in G.U. 29/4/2020 n. 110. Supp. Ordinario n. 16) stabilisce espressamente: «Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS – Cov- 2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all'INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell'infortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell'infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell'oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019. La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati».

Con tale disposizione l'infezione da coronavirus avvenuta in occasione di lavoro è quindi considerata infortunio a tutti gli effetti e non malattia professionale.

E' appena il caso di ricordare che l'art 2 del t.u. dell'assicurazione per gli infortuni sul lavoro (d.P.R 23 giugno 1965 n. 1124) prevede che sia infortunio sul lavoro l'evento avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro dal quale sia derivata la morte o l'inabilità permanente al lavoro assoluta o parziale o l'inabilità temporanea assoluta per più di tre giorni.

L'infortunio sul lavoro è dunque caratterizzato dall'essere provocato da una causa violenta in occasione di lavoro per cui diventa importante stabilire cosa si intenda sia per la prima che per la seconda. Il carattere esterno della causa dell'infortunio non è espressamente richiesto dalla norma, peraltro, la dipendenza dell'ambiente esterno si deduce dall'occasione di lavoro.

Con Circolare INAIL n. 13 del 3/4/2020 si precisa che l'INAIL tratta i casi di malattie infettive e parassitarie inquadrandole nella categoria degli infortuni sul lavoro precisando che… «in questi casi, infatti, la causa virulenta è equiparata a quella violenta» E tanto pare in linea anche con la giurisprudenza di legittimità come meglio si vedrà in seguito.

In considerazione del fatto che un contagio non è certo facilmente identificabile, nel senso che non si riesce certo a stabilire quando ed in quali occasioni si è verificato, la predetta Circolare pone una presunzione semplice di origine professionale a favore degli operatori sanitari che risultano appunto esposti ad un elevato rischio di contagio aggravato fino a diventare specifico. Viene in tal modo giustamente agevolata la prova che può essere richiesta all'infortunato.

Tale presunzione semplice, valida per gli operatori sanitari, viene poi estesa anche a favore di quei soggetti che esercitano altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico o comunque con chi utilizza i servizi sanitari come chi lavora alla cassa od è addetto alle vendite od il personale non sanitario operante all'interno degli ospedali con varie mansioni.

Nei casi in cui l'episodio che ha determinato il contagio non sia noto o non possa essere provato dal lavoratore né si possa presumere che il contagio sia avvenuto in considerazione dell'attività svolta dal lavoratore stesso, l'accertamento medico legale, pur seguendo l'ordinaria procedura, privilegerà essenzialmente gli elementi epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.

Con riferimento alla definizione della causa violenta si può ricordare che l'INAIL precisa nel suo sito che la causa violenta è un fattore che opera dall'esterno nell'ambiente di lavoro con azione intensa e concentrata nel tempo, e presenta le seguenti caratteristiche: efficienza, rapidità ed esteriorità. Può essere provocata da sostanze tossiche, sforzi muscolari, microrganismi, virus o parassiti e da condizioni climatiche e microclimatiche. In sintesi, una causa violenta è ogni aggressione che dall'esterno danneggia l'integrità psico -fisica del lavoratore.

Per occasione di lavoro detto istituto fa riferimento a tutte le situazioni, comprese quelle ambientali, nelle quali si svolge l'attività lavorativa e nelle quali è imminente il rischio per il lavoratore.

La Suprema Corte ha poi di recente precisato che nell'occasione di lavoro «… “rientrano tutti i fatti, anche straordinari ed imprevedibili, inerenti all'ambiente, alle macchine, alle persone, al comportamento dello stesso lavoratore, purché attinenti alle condizioni di svolgimento della prestazione, ivi compresi gli spostamenti spaziali funzionali allo svolgimento della prestazione, con l'unico limite del rischio elettivo»(Cass. Civ., Sez. Lavoro, Ord. 19 marzo 2019 n. 7649).

La malattia professionale è invece definita dal predetto istituto come una patologia la cui causa agisce lentamente e progressivamente sull'organismo (causa diluita e non causa violenta e concentrata nel tempo)

Il criterio discriminatorio tra infortunio e malattia viene così individuato nel fatto che la causa ha nel primo le caratteristiche della rapidità e concentrazione mentre nella seconda ha la caratteristica della lentezza.

La causa violenta negli infortuni sul lavoro

La scelta operata dal legislatore di considerare infortunio sul lavoro l'infezione da coronavirus e non malattia risulta quindi in linea con le definizioni adottate dall'INAIL e dalla giurisprudenza nel differenziare le due ipotesi.

A conferma di quanto appena detto si può richiamare la giurisprudenza della Suprema Corte che soprattutto in tema infezione da epatite B ha ritenuto costituire causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinano l'alterazione dell'equilibrio anatomo – fisiologico sempreché tale azione pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass. civ., Sez. Lavoro 12 maggio 2005 n. 9968; Cass. Civ. Sez. Lavoro, 28 ottobre 2004 n. 20941; Cass. Civ., Sez. Lavoro 1 giugno 2000 n. 7306).

In punto, si può rilevare che in determinati casi l'infezione era stata provocata dalla puntura di una siringa infetta. Si potrebbe allora pensare che l'infortunio fosse rappresentato da detta puntura ma questa non può essere l'infortunio non avendo certo provocato direttamente il danno ponendosi piuttosto come il veicolo del virus la cui introduzione nell'organismo rappresenta invece la causa violenta che ha provocato l'infortunio ed il conseguente danno.

Un completo esame anche di carattere storico dell'espressione causa violenta si può poi trovare nella motivazione di altra sentenza (Cass. civ., Sez. Lavoro, 26 maggio 2006 n. 12559 che viene integralmente richiamata da Cass civ., Sez. Lav., 30 agosto 2010 n. 18852) che ne ha delineato le caratteristiche salienti partendo dall'art 7 della l. 17 marzo 1898 n. 80 istitutiva dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (abrogata dal d.lgs. 13 dicembre 2010 n. 212) ed evidenziando l'evoluzione che ha avuto in conseguenza della valutazione delle differenti situazioni che si sono presentate con il passare del tempo nella pratica.

I caratteri salienti della causa violenta sono individuati nella rapidità e concentrazione e nella esteriorità. Riguardo quest'ultimo carattere detta sentenza rileva che l'esteriorità «..si può atteggiare in due maniere diverse. Dal catalogo delle attività protette di cui al d.P.R. 30 giugno 1965. 1124, art 1, la dottrina ha derivato un elenco scolastico di cause violente, distinguendole in: a) cause da energia meccanica; b) cause da energia elettrica od elettromagnetica; c) cause da energia atomica e nucleare; d) cause da energia termica; e) cause da sostanze tossiche; f) cause di natura microbica e virale; g) cause di natura psichica.

Come risulta da tale elenco, alcune cause comportano un rapporto binomio, diretto e personale tra fattore causale e persona del lavoratore (ad es. macchina operatrice, oggetto da sollevare nello sforzo), altre sono di carattere diffusivo, ambientale (ad es. energia elettrica, nucleare, termica, sostanze tossiche)

Un agente lesivo, presente nell'ambiente di lavoro in modo esclusivo o in misura significativamente superiore che nell'ambiente esterno, il quale produce un abbassamento delle difese immunitarie, rientra nella nozione attuale di causa violenta. Dal suo meccanismo d'azione, se rapido e concentrato, oppure lento, deriva poi la collocazione dell'evento tra gli infortuni o le malattie professionali» ( così in motivazione Cass. civ., n. 12559/2006).

Le interferenze tra le norme in tema in assicurazione sul lavoro e l'assicurazione privata infortuni

Chiarito che ai fini dell'infortunio sul lavoro la causa violenta è ravvisabile anche neicasi di infezione microbica e virale con le relative conseguenze, non resta che chiedersi se tale impostazione possa avere una qualche rilevanza anche per le assicurazioni private contro gli infortuni. In particolare, si tratterà di decidere se per le assicurazioni private l'infezione da coronavirus sia infortunio come tale indennizzabile od invece malattia eventualmente indennizzabile con una polizza sanitaria.

La dottrina che per prima ha esaminato la questione si è espressa in linea di massima nel senso di escludere la possibilità di interferenze tra l'assicurazione privata contro gli infortuni e quanto disposto dall'art. 42 del d.l. n. 18/2020 (v. M. Rossetti – L'assicurazione e l'emergenza covid – in www Assicurazioni 2020 cui si rinvia anche per un completo esame dei rapporti che si possono creare tra l'assicurazione e le norme dettate per tale emergenza).

In punto, si può certo concordare. D'altronde, detta norma, a ben vedere, oltre a ricomprendere l'infezione da coronavirus nell'ambito degli infortuni sul lavoro, riferendosi a concetti ormai acclarati, si limita a prevedere la procedura per avviare l'iter necessario per l'erogazione dell'indennizzo di detto infortunio per cui già non si vedrebbe come sia possibile portare nell'ambito delle polizze private una procedura dettata per le pratiche INAIL.

L'infezione da coronavirus e l'assicurazione privata infortuni

Ma il punto che comunque resta in dubbio è se l'inquadramento dell'infezione da coronavirus sia da considerarsi infortunio o malattia ai fini dell'assicurazione privata che è questione diversa riferendosi essenzialmente alla definizione di infortunio che si ritrova nelle polizze infortuni private.

Occorre ad ogni buon conto tener presente che nei casi in cui l'assicurazione privata contro gli infortuni risulti essere stata preordinata con un preciso richiamo ricettizio alle norme sugli infortuni sul lavoro si ha un preciso richiamo anche all'insieme di dette norme per cui l'infezione da coronavirus in tale ipotesi sarebbe da considerarsi infortunio indennizzabile a tutti gli effetti, come pacificamente è per gli infortuni sul lavoro. Assicurazioni del genere potrebbero d'altronde essere stipulate con il fine di integrare o sostituire la garanzia prestata dall'INAIL.

La questione se l'infezione da coronavirus sia o meno infortunio sarebbe quindi in tali casi superata, mentre resta da esaminare in tutte le altre ipotesi nelle quali sia stato stipulato un normale contratto contro gli infortuni sia per gli infortuni extraprofessionali che professionali.

La definizione di infortunio generalmente adottata dalle polizze fa riferimento agli eventi dovuti a causa fortuita, violenta ed esterna tali da produrre all'assicurato lesioni corporali obiettivamente constatabili, le quali abbiano quale conseguenza la morte od una invalidità permanente, od una inabilità temporanea. Non si ha quindi una differenza sostanziale tra la definizione adottata dalle polizze private e quella adottata dal testo unico per gli infortuni sul lavoro posto che in entrambe il nucleo centrale è rappresentato dalla causa violenta.

La causa violenta presa in considerazione nell'assicurazione privata infortuni

Non resta allora che decidere se la predetta infezione sia riconducibile a causa violenta anche per l'assicuratore privato rientrando così nel concetto di infortunio, al di la delle ipotesi in precedenza prospettate, posto che le caratteristiche della causa fortuita ed esterna sono facilmente in essa ravvisabili.

A tal fine si può anzitutto rilevare che la definizione di causa violenta adottata già anni fa dalla dottrina è stata particolarmente estesa. Si è infatti precisato che: «Per causa violenta non si intende che violento debba necessariamente essere il fatto causale in sé ( ad es. scoppio di esplosivo, investimento automobilistico) , ma che debba esserlo la sua efficacia lesiva ( ad es. colpo di sole, gas, veleno, puntura di insetto ecc.): causa violenta non è quindi soltanto traumatica, ma ogni causa ad azione lesiva rapida»( A. Donati Trattato del diritto delle assicurazioni private vol. III Milano 1956 p. 527 ).

Si precisa anche che in questo senso «… le espressioni <<violenta>>, <<rapida>>, <<repentina>> sono sinonime e la rapidità è l'indice di apprezzamento esterno della violenza interna»( v. Donati op. cit. p. 527 nota 47)

La lesione provocata dalla causa violenta deve essere corporale o fisica deve cioè incidere sul corpo umano, «Purché sia corporale, è indifferente al concetto di infortunio che la lesione sia grande o piccola, interna o esterna, incida su questa o quella parte del corpo, incida solo sul fisico o anche sulla psiche del leso» ( così Donati op. cit. p. 528).

A fronte dell'ampio ventaglio di ipotesi che possono rientrare nelle nozione di causa violenta come sopra delineata la già richiamata dottrina rilevava anche che nelle polizze possono venir disposte delle delimitazioni causali obbiettive tra le quali possono venir comprese quelle che richiedono che la causa sia violenta come fatto in sé ovvero «… consista nell'azione di una forza meccanica (causa traumatica), limitando il rischio coperto all'infortunio derivante da causa traumatica ed escludendo quello derivante da altre cause, pur violente nell'efficacia lesiva, ma non in sé» ( v. Donati, op. cit. p. 531 che a nota 56 ricorda una clausola di polizza tipo che escludeva gli infortuni dovuti tra l'altro ad assorbimento di sostanze ed a malattie in genere ).

è chiaro che se con la definizione generica di causa violenta la possibilità di far rientrare nella stessa anche la lesione conseguente all'introduzione nel corpo umano di fattori microbici o virali, con delimitazioni del rischio così concepite si avrebbe la certezza di escludere una tale possibilità.

Resta il fatto che la definizione di infortunio quale adottata dalle polizze ha un carattere generico visto che nelle polizze stesse non si precisa cosa si intenda esattamente per causa violenta, né la relativa definizione è ricavabile da altri elementi dell'assicurazione in genere o dalle polizze.

Ed allora per poter evidenziare le caratteristiche salienti di detta causa non resta che far riferimento alle definizioni che della stessa sono state fornite oltre che dalla dottrina anche dalla giurisprudenza in tema di assicurazione degli infortuni sul lavoro che richiede appunto come già evidenziato, che l'infortunio sia conseguenza di causa violenta sia pur in occasione di lavoro.

Ma se si fa riferimento a detta giurisprudenza si arriva alla conclusione di considerare causa violenta anche un fattore microbico o virale con la conseguenza che si dovrebbe dire che l'infezione da coronavirus rientra a sua volta nel concetto di infortunio con l'ulteriore possibile conseguenza di considerare sinistro la morte o l'invalidità permanente derivanti da coronavirus.

Un risultato del genere sarebbe evitabile laddove siano state previste precise esclusioni come risulta da alcune polizze presenti sul mercato.

Ed un caso di esclusioni del genere è ravvisabile, ad esempio, nell'assicurazione infortuni globale sezione infortuni della Vittoria Assicurazioni, che risulta redatta secondo le linee guida “Contratti semplici e chiari” del tavolo tecnico ANIA – Associazione Consumatori, Associazione Intermediari. All'art. 4.1 delle condizioni di assicurazione di detta polizza alla voce Esclusioni si precisa che sono esclusi, oltre ad altre ipotesi, anche gli infortuni derivanti in modo diretto o indiretto da affezione, contagio, intossicazione, esclusione questa che peraltro parrebbe valere solo per gli infortuni extraprofessionali.

Occorre infatti rilevare che detta polizza può garantire sia gli infortuni professionali che extraprofessionali con la precisazione che si considerano infortuni di tipo professionale quelli per i quali l'INAIL provvede alla presa in carico del sinistro, per cui l'infezione da coronavirus presa in carico come infortunio da detto istituto finirebbe per rientrare in garanzia. Per contro per gli infortuni extraprofessionali il contagio da coronavirus parrebbe escluso in forza dell'esclusione suindicata.

Per completezza si può ancora rilevare che sempre tale polizza alla voce Estensioni art. 1.2 precisa che sono considerati infortunio “le infezioni – escluso il virus HIV – sempreché il germe infettivo si sia introdotto nell'organismo attraverso una lesione esterna traumatica contemporaneamente al verificarsi della lesione stessa”

Si prende quindi in considerazione anche la possibilità di un infortunio provocato da fattori microbici o virali sia pur a patto che l'infezione sia stata provocata con precise modalità di carattere traumatico.

Conclusioni

Per quanto osservato in precedenza riguardo le posizioni assunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza pare, in conclusione, logico ritenere che con la definizione di infortunio adottata nelle polizze di assicurazione privata infortuni la causa violenta possa venir interpretata nel senso di comprendere tra gli infortuni anche quelli causati da fattori microbici virali.

È certo conclusione che può destare qualche perplessità visto che si finirebbe per far diventare infortuni tutte le malattie di origine virale ma le considerazioni in precedenza svolte non pare consentano diversa conclusione.

Ed allora ne consegue che l'infezione da coronavirus potrebbe venir considerata come infortunio risarcibile anche per quelle polizze che non richiamano espressamente la legislazione degli infortuni sul lavoro, salvo non sussistano precise esclusioni.

In ogni caso, ma senza alcuna pretesa di poter risolvere senz'altro qualsivoglia problema si potrebbe pensare che forse una diversa definizione dell'infortunio potrebbe evitare di dover indennizzare quello provocato da coronavirus. Sarebbe a tal fine sufficiente far riferimento ad un evento riconducibile a causa fortuita, esterna e violenta di natura fisica o chimica che provochi una lesione; si potrebbe volendo, anche richiedere la presenza di evento traumatico. Ma tanto provocherebbe ovviamente una revisione dei contratti in essere prospettando una diversa soluzione solo per il futuro.

Con riferimento alla situazione attuale è facile pensare che l'assicuratore quando ha preso in considerazione tutti i fattori di rischio inerenti soprattutto le assicurazioni contro gli infortuni extraprofessionali abbia fatto riferimento, con l'eccezione dell'evento straordinario come un colpo di fulmine, ai normali accadimenti della vita di un assicurato e non abbia preso in considerazione la possibilità di un rischio di pandemia. Si potrebbe allora, a prima vista pensare di essere di fronte ad un aggravamento del rischio se non ad un rischio assolutamente anomalo.

Ma per quanto riguarda l'aggravamento non pare potersi fare applicazione del disposto dell'art 1898 c.c. con le relative conseguenze. Non si dimentichi che l'aggravamento del rischio comporta la permanenza o quanto meno una certa stabilità o persistenza di una situazione sopravvenuta dopo la conclusione del contratto tale da alterare l'equilibrio tra il rischio preso in considerazione dal contratto stesso ed il premio oltre il limite della normale alea contrattuale. Si ha l'esclusione quindi di ogni mutamento che possa avere carattere solo transitorio.

Ma da un lato, il presentarsi di una pandemia non parrebbe rivestire un carattere di permanenza essendo destinata a finire e dall'altro,per di più, si dovrebbe pensare che ogni secolo è stato contraddistinto da eventi speciali come, nei secoli passati le epidemie di colera o di spagnola o di influenza asiatica per cui si sarebbe potuto tenerne conto all'atto della predisposizione dei contratti. In ogni caso, l'assicuratore non potrebbe sostenere, per avvalersi dell'art. 1898 c.c., che non gli è stata data comunicazione della pandemia in quanto si tratta di fenomeno con estensione mondiale e conseguente divulgazione capillare che quindi doveva essere ad esso noto.

Per quanto riguarda la categoria del rischio anomalo occorre pensare che si tratta di una tipologia di rischio prospettata tempo fa e che la Suprema Corte non ha riconosciuto precisando che in materia di assicurazione «… in mancanza di specifiche clausole de delimitazione del rischio, non si può ritenere limitata la garanzia assicurativa ai soli sinistri che presentino carattere di normalità. Il c.d. - rischio anormale – non è, infatti, configurabile come categoria autonoma rispetto alle tradizionali categorie del rischio (assicurato, inassicurabile, escluso, non compreso, aggravato)» ( Cass. civ., Sez. III, 28 luglio 1967 n. 2015).

É chiaro quindi che al fine di decidere se una polizza infortuni comprenda o meno il rischio da infezione da coronavirus non resterebbe che procedere, di volta in volta, all'interpretazione del singolo contratto con riferimento alle norme in punto previste dal codice civile. Ed al riguardo, è ovvia considerazione la valutazione dell'insieme delle clausole e di eventuali esclusioni magari implicite in particolari descrizioni del rischio, con l'avvertenza, però, che clausole che consentano difformi interpretazioni verrebbero interpretate, per il disposto dell'art 1370 c.c., in senso favorevole all'assicurato.

Si dovrebbe anche prendere in considerazione la comune intenzione delle parti posto che il carattere prioritario dell'elemento letterale non va inteso in senso assoluto. Si tenga infatti presente che il richiamo alla comune intenzione delle parti contenuta nell'art 1362 c.c. «… impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti »(Cass. civ., Sez. III, Ord. 26 luglio 2019 n. 20294; Cass. civ., Sez. II, Ord. 24 aprile 2019 n. 11224; Cass. civ., Sez. I, 28 giugno 2017 n. 16181).

Per il comma 2 dell'art 1362 c.c. si deve poi valutare il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto che però deve essere solo quello di cui siano stati partecipi entrambi i contraenti, non potendo la comune intenzione delle stesse emergere dall'iniziativa unilaterale di una di esse, eventualmente corrispondente solo ai suoi interessi. (Cass. civ., Sez. I, Ord. 8 giugno 2018 n. 15035).

Pertanto, si potrebbe ritenere che in presenza di opposte posizioni tra assicuratore ed assicurato sull'operatività delle garanzie di assicurazione infortuni in relazione alle conseguenze dannose dell'infezione da coronavirus che qui interessa ben difficilmente si potrebbe evidenziare una comune intenzione delle parti vista la presenza di opposti interessi. Al fine di risolvere tale questione parrebbe quindi doversi privilegiare l'esame complessivo delle clausole contrattuali.

È poi, infine, da prendere in considerazione il fatto che l'assicurato che richiede l'indennizzo assicurativo deve dare la prova dell'esistenza di tutti gli elementi richiesti dal contratto. Pertanto, se una polizza privata prende in considerazione gli infortuni professionali dovrà sempre essere fornita la prova del rapporto tra l'infezione e l'attività professionale indicata in polizza, esattamente come nelle ipotesi prese in considerazione dal testo unico dell'assicurazione obbligatoria si prende in considerazione il rapporto con l'occasione di lavoro.

Analogo discorso dovrà essere fatto con le polizze che prendono in considerazione gli infortuni extraprofessionali per cui sul piano probatorio è prevedibile si presentino delle difficoltà.

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