Contratto di consorzio, partecipazione consortile, RTI e disciplina del contratto pendente. Le ragioni di una riflessione

26 Maggio 2020

Aperta una procedura concorsuale, la partecipazione consortile che faccia capo all'impresa fallita viene vista, ora come asset per il suo valore, ora come effetto/risultato di un contratto pendente. È appunto la vicenda contrattuale, in unione alla nozione concorsuale di pendenza, che determina la necessità di alcune riflessioni che scavino oltre la superficie del fenomeno così da pervenire a conclusioni coerenti con il sistema: conclusioni suscettibili di estensione, attesa la analogia di situazione, al negozio costitutivo del RTI.
L'occasione della riflessione ed il suo perimetro

Le attività consortili, la partecipazione delle società commerciali ad una aggregazione consortile, costituiscono, nell'esperienza comune, un fenomeno via via sempre più esteso sia a livello economico interno, sia sul piano del business internazionale.

Questa circostanza determina, quando si presenti in capo ad uno dei consorziati l'apertura di una procedura concorsuale, tutta una serie di interrogativi. E si tratta di interrogativi che riguardano, ora la valorizzazione della partecipazione ove la si voglia apprezzare come asset a disposizione di una curatela e quindi della massa dei creditori per trarne un'attività a beneficio della stessa; ora la situazione giuridica direttamente discendente dal contratto di consorzio e, pertanto, suscettibile di una valutazione sotto il profilo delle particolari norme che, nella legge fallimentare oggi vigente (ma in prospettiva anche nel Codice della crisi), regolamentano la particolare disciplina del contratto/negozio pendente.

Il tema, oltre che ad essere attuale, è certamente ghiotto sul piano giuridico per le sue implicazioni, come presto si vedrà.

La nozione di consorzio

Il codice civile offre una nozione di consorzio nel libro V, titolo X, capo II, dove all'art. 2602 enuncia che “con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”; in altre parole, e per venire ad una nozione pratica e comune agli operatori del diritto, il contratto di consorzio appare in sé, e da questo angolo visuale, come una sorta di contenitore, posto che il riferimento all'idea di una “disciplina per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese” è assolutamente generale e non sintomatico o caratterizzante di uno specifico affare. Più esattamente: alla nozione comune del contratto di consorzio quale negozio funzionale al coordinamento tra più soggetti di una certa attività, difetta la vocazione ad apparire come causa sufficiente del negozio medesimo, se non come causa immediata, tuttavia funzionale ed a servizio di altra causa contrattuale (cioè di altro obbiettivo) che la stessa istituzione dell'entità consortile si ripromette di soddisfare o realizzare.

La causa negoziale è uno dei temi più trattati nella letteratura civilistica e tutt'altro che esaurito. Ad una lettura “soggettiva”, ovvero “oggettiva”, si è spesso aggiunta una lettura “funzionale” del fenomeno, complice il mare magnum dei contratti innominati o atipici. E d'altro canto le considerazioni circa una causa mediata o immediata nel negozio sono intimamente connesse alla tematica dei contratti correlati, così come alla tematica della presupposizione (per una trattazione istituzionale del tema cfr. R. Sacco, La causa, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, vol. 10, 321 ss., Torino, 2002).

Sempre chiara e attuale, a parere di chi scrive, è poi la nozione (esposta da P. Trimarchi), secondo la quale “la causa consiste nella sintesi degli effetti giuridici” del contratto, di modo che “ogni effetto negoziale trova giustificazione negli altri” (cfr. Istituzioni di diritto privato, Milano, 1991, par. 152).

La sottolineatura del profilo funzionale chiarisce infatti al meglio tutta la discussione sulla causa mediata e immediata del negozio.

Nessuna società, infatti, si immaginerebbe di entrare in una compagine consortile se non per la gestione di un affare già esistente, e quindi per il soddisfacimento di un contratto di appalto (perché questo è) già stipulato: magari anche solo attraverso un contratto preliminare; ovvero in funzione di un affare che ci si ripromette di conseguire, cosicché, in questo caso, il contratto d'appalto, al cui servizio si trova il consorzio, è solo successivo, ma, non di meno, costituisce l'effettiva ragione del contratto consortile.

Nei termini del nostro esempio, che poi ricalcano quelli della pratica nota, la causa del contratto di appalto (id est: lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese) appare quella immediata, ma è indubbio che la causa mediata (l'adempimento del contratto di appalto già stipulato o da stipularsi) appare essere quella prevalente e condizionante.

Pochi infatti dubiterebbero della inutilità, e quindi della condanna allo scioglimento, di un contratto consortile in assenza della causa o ragione mediata, vuoi perché essa sia venuta meno successivamente alla costituzione del consorzio, vuoi perché essa non sia mai venuta in essere.

(Continua). E quella di contratto pendente

Rispetto ad una partecipazione consortile detenuta dalla società ammessa alla procedura concorsuale, il curatore si trova quindi davanti all'interrogativo se, e a quali condizioni, possa darsi l'esistenza di un contratto pendente in relazione a tale consorzio, così da poterne immaginare una trattazione secondo i principi classici del negozio pendente nel fallimento (o nel concordato preventivo).

Ebbene: la nota fondamentale in materia è data, nella Legge fallimentare, dall'art. 72, che, al primo comma, individua come pendente quel rapporto nel quale nessuna delle parti contrattuali abbia reso la prestazione caratterizzante, ed anzi rispetto alle quali si possa dire che, al momento dell'apertura del concorso, tali prestazioni siano a tutti gli effetti ineseguite.

Il principio è stato poi ripreso anche dal Codice della crisi che, all'art. 172, ripropone sostanzialmente i medesimi canoni, semplicemente aggiungendo che, ove il contratto sia attinente a diritti reali, l'avvenuto trasferimento di un diritto reale impedisce ovviamente di riconoscere il rapporto come pendente.

È quindi solo la pendenza, in questi ristretti termini, che consente al curatore l'esercizio del diritto potestativo di scelta, tra il subentro nel rapporto o, invece, lo scioglimento dal medesimo, se del caso sollecitato mediante diffida da parte del contraente in bonis perché manifesti la sua decisione.

Ma detto ciò, è chiaro che il negozio pendente si caratterizza, al di là del diritto potestativo riconosciuto dalla legge speciale concorsuale all'organo della procedura, per un aspetto fondamentale, vale a dire: la circostanza che l'equilibrio sinallagmatico non viene meno e, quel che più conta, che nessuna delle due parti è sottoposta a uno sforzo economico irreversibile. Il contraente in bonis non è infatti obbligato a rendere la sua prestazione, a meno che il curatore non subentri e subisca a sua volta tutte le regole dettate dalla disciplina del concorso, ivi comprese le conseguenti prededuzioni; così come il curatore non può essere obbligato ad effettuare questo subentro, esercitandolo solo ove lo reputi di convenienza per la massa dei creditori.

Prova di ciò è data da altra norma della legge fallimentare, costituita dall'art. 75 (art. 180 nel Codice della crisi) e avente ad oggetto la “restituzione di cose non pagate”. La norma consente infatti a chi abbia spedito al compratore prima della dichiarazione di fallimento di costui il bene venduto, ma questo non sia entrato ancora nella disposizione del fallito o altri ne abbia acquistato diritti, di riprenderne il possesso, tenendo a suo carico le spese e restituendo gli acconti; salvo che il venditore non preferisca dar corso all'adempimento insinuandosi al passivo o che il curatore non insista per la consegna pagandone integralmente il prezzo.

Ancora una volta, come si vede, l'equilibrio sinallagmatico è perfettamente rispettato e costituisce una sorta di scrupolo da parte del legislatore quando, davvero, possa darsi una posizione di pendenza negoziale.

La ragione del dubbio circa un'interpretazione che individui nella partecipazione consortile una sorta di negozio connotato da una perdurante pendenza

Questa breve disamina chiarisce immediatamente le ragioni di un dubbio, di un interrogativo, che viene alle mente quando ci si avvicini al contratto di consorzio e si sia trascinati dalla tentazione di considerare la partecipazione consortile come una sorta di contratto pendente, quasi un contratto di durata. Accade infatti che la curatela analizzi solo economicamente la partecipazione consortile, e così il contratto di consorzio, come suscettibile o insuscettibile di portare attivo alla massa dei creditori; e conseguentemente sia incoraggiata ad esercitare il subentro o, viceversa, a manifestare il proprio diritto potestativo di scioglimento partendo da questo angolo visuale.

Ove infatti si ragioni in termini di causa immediata del contratto di consorzio, il tenore della norma di cui all'art. 2602 c.c. sopra richiamata, parrebbe consentire un'interpretazione, in virtù della quale il consorzio appare accostabile ad un negozio di durata, e conseguentemente suscettibile di uno scioglimento o di un subentro, con tutte le normali conseguenze concorsuali senza altre considerazioni.

Sennonché, una simile interpretazione pare eccessivamente frettolosa e non rispettosa dell'effettività dei fenomeni giuridici; o almeno, essa appare corretta solo a certe condizioni, e così:

  1. al momento “zero”, cioè quando il consorzio sia stato appena costituito ma, nei fatti, non abbia esercitato ancora delle attività;
  2. quando il consorzio sia stato costituito nella prospettiva/aspettativa di attività future, tuttavia non ancora concretizzatesi.

È solo a queste condizioni, infatti, che si può assumere che nessuna delle parti abbia reso una prestazione caratterizzante, e che, pertanto, l'esercizio del potere di scioglimento o di subentro non incida in maniera irragionevole, con inaccettabile squilibrio sinallagmatico, nei rapporti con gli altri contraenti.

Detto altrimenti, è solo quando il negozio portatore della causa mediata (id est l'appalto), ma che nei fatti costituisce il presupposto della pattuizione consortile e ne condiziona l'effettività, non sia venuto ad esistenza, e soprattutto non abbia ricevuto almeno in parte esecuzione, che si può parlare di un momento “zero”, e quindi di un negozio consortile pendente, in modo da poter applicare le conseguenze concorsuali tipiche.

Che così stiano le cose si è visto, anche di recente, in una pronuncia resa dal Tribunale di Modena con Decreto 10 gennaio 2016 (v. in Pluris). Nell'ambito di un concordato preventivo e richiesto dal debitore di potersi sciogliere da un contratto consortile, correttamente il Tribunale si è infatti astenuto da una applicazione automatica del diritto di scioglimento, di cui all'art. 169-bis l.fall., sulla premessa che il contratto di consorzio sarebbe sempre e per definizione un contratto pendente. Al contrario: il Tribunale di Modena si è invece interrogato sull'esistenza di un contratto d'appalto già acquisito ed in corso di esecuzione, vale a dire sull'esistenza di un negozio la cui causa, mediata rispetto a quella del negozio consortile, costituiva tuttavia la ragione della stessa stipulazione consortile. E solo in difetto di un contratto di appalto già stipulato ed in corso di esecuzione, ha concesso all'imprenditore di sciogliersi dal contratto di consorzio.

Corretta impostazione del caso attraverso l'individuazione della causa effettiva o rilevante del negozio

Si capisce allora che la pattuizione consortile non è fine a sé stessa, ma è invece connotata da una causa derivata, che trova il suo presupposto, la sua ragione d'essere, in diverso ed esterno contratto, rispetto al quale la struttura consortile rappresenta a tutti gli effetti un mero strumento organizzativo.

Nella pluralità dei casi questo contratto è costituito da un normalissimo appalto, e la struttura consortile ha semplicemente la funzione, nei rapporti con il committente, di suddividere gli adempimenti funzionali alla realizzazione dell'appalto medesimo tra i consorziati, secondo le specifiche peculiarità di ciascuno.

La causa del contratto esterno, cioè del contratto d'appalto, è indiscutibilmente la causa prevalente, ed è ad essa che si deve avere riguardo quando ci si interroga se, nel caso di specie, possa davvero assumersi l'esistenza di un contratto pendente o, invece, l'esistenza di un contratto dove prestazioni caratteristiche siano già state rese.

Questa è la ragione, per la quale nella pluralità dei casi gli statuti ed i regolamenti consortili prevedono, davanti all'accesso del consorziato ad una procedura di fallimento o comunque liquidatoria, un caso di esclusione dalla compagine consortile, con ripartizione della relativa quota in capo agli altri consorziati ed in proporzione al valore delle quote detenute. Così recita infatti l'art. 2609, 1 comma, cod. civ.

Ma la correttezza del ragionamento potrebbe essere apprezzata anche da un diverso angolo visuale.

La causa del negozio che si è definito mediato, causa prevalente, esplica tutti i suoi effetti sulla stessa causa consortile e, pertanto, se davvero si intende rinvenire una soluzione all'atteggiamento da tenersi da parte del curatore davanti ad una partecipazione consortile detenuta dalla fallita, si dovrebbe piuttosto guardare alla disciplina speciale dettata per il tipo di contratto mediato. E la disciplina del contratto d'appalto, dettata dall'art. 81 dell'attuale legge fallimentare, ma di fatto immutata anche nel Codice della crisi (art. 186), è ben diversa rispetto a quella applicabile dove, davvero, si sia in presenza di un negozio pendente e di un rapporto sinallagmatico non inciso per entrambe le parti. La disciplina dettata è infatti nel senso dello scioglimento del rapporto, a meno che il curatore, con le autorizzazioni dovute, non dichiari nei sessanta giorni dall'apertura del concorso di voler subentrare; e sempre che, quando il fallimento sia in capo all'appaltatore, la sua qualità soggettiva non sia stata determinante del consenso, salvo che il committente consenta comunque alla sostituzione da parte della curatela.

Conclusioni relativamente al contratto di consorzio

Crediamo che gli spunti di cui sopra siano sufficienti a far intuire la profonda differenza tra una situazione negoziale gestibile, dagli organi della procedura, alla stregua dei principi del negozio pendente, e la situazione determinata dalla detenzione, in capo alla fallita, di una partecipazione consortile. La valutazione della pendenza è, in questo caso, una circostanza di fatto, ma soprattutto essa non è in alcun modo generalizzabile e assumibile per definizione. Anzi e piuttosto: ove il consorzio non sia al suo stadio iniziale, l'esistenza di un contratto di appalto pendente e la prevalenza della sua causa rispetto a quella consortile (di cui condiziona l'esistenza) impongono una riflessione ben diversa, nel senso di escludere una pendenza e, nella mancanza di un subentro della curatela alla stregua dei rigorosi principi dettati dall'art. 81 l.fall., di determinare semplicemente uno scioglimento del rapporto limitatamente alla parte (consorziato) assoggettata alla procedura.

Tale conclusione è in qualche modo obbligata a seguito dell'oggettiva analisi dei rapporti, e della principale considerazione, per la quale lo stesso sistema concorsuale non tollera, in tema di rapporti pendenti, uno squilibrio sinallagmatico con ingiusto e certo danno per la parte in bonis a vantaggio della curatela.

Conseguentemente, ogniqualvolta il curatore non possa o non sia in grado di subentrare efficacemente nel contratto consortile, per il fatto di non essere in grado di rendere le prestazioni necessarie al corretto adempimento del contratto d'appalto, il contratto di consorzio non può che sciogliersi relativamente alla fallita, proseguendo invece tra gli altri consorziati; dopo di che, le ragioni di debito e di credito inerenti alla partecipazione consortile in sé saranno gestite alla stregua dei criteri concorsuali usuali.

Estensione delle riflessioni al caso di RTI

Le conclusioni sopra svolte offrono il destro per dilatare un poco i termini della questione e interrogarsi, così, in ordine alle conseguenze dell'apertura della procedura concorsuale in capo ad un soggetto costituito in RTI (Raggruppamento temporaneo di Impresa) o ATI (Associazione Temporanea di Impresa), dizione diversa per indicare un medesimo fenomeno. In altri termini, per misurare il grado di adattabilità dei principi concorsuali sui contratti pendenti alla figura giuridica richiamata.

Sul piano della tipologia, il Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 50/2016), al pari di quanto avveniva con il D.Lgs. 136/2006, distingue tre tipi di aggregazione di imprese finalizzate all'esecuzione di un appalto (art. 48):

  • il Raggruppamento orizzontale, dove le imprese associate operano nella stessa categoria di qualificazione, e tutte concorrono ad eseguire la medesima prestazione. In questa ipotesi esse hanno responsabilità solidale nei confronti della Stazione Appaltante;
  • il Raggruppamento verticale, dove le imprese associate hanno differente qualificazione. Di norma la capogruppo (mandataria) esegue la prestazione principale, ovvero per le opere complesse cura l'esecuzione dei lavori della categoria prevalente. Le altre imprese (mandanti) si occupano invece delle prestazioni secondarie delle varie categorie scorporabili. In questa figura, ciascuna impresa risponde della propria attività, mentre la capogruppo ha una responsabilità solidale per l'intero appalto;
  • il Raggruppamento misto, dove l'organizzazione è particolarmente complessa, atteso che alla base dell'aggregazione vi è un raggruppamento verticale ma, a propria volta, ogni categoria è costituita da sub-aggregazioni di tipo orizzontale.

Ora, quale che sia il tipo di raggruppamento prescelto, il Codice dei Contratti Pubblici (art. 48) chiarisce che esso non determina la nascita di un nuovo e distinto soggetto giuridico, mentre ciascuna impresa continua a godere della propria autonomia e indipendenza.

La costituzione di una RTI si caratterizza infatti per la stipula di un mandato, sia pure per atto pubblico o scrittura privata autenticata, dove il ruolo di mandante, ovvero di mandataria (nei rapporti con la Stazione Appaltante) corrisponde allo svolgimento di obbligazioni prevalenti o non al fine di far conseguire all'appaltatore il bene voluto.

In altre parole: l'impresa che adempie l'obbligazione principale richiama in capo a sé, per definizione, la veste di mandataria.

Fatte queste premesse, appare essenziale la mancanza di un soggetto distinto dalle imprese raggruppate per radiografare il fenomeno in chiave concorsuale: ciò che rileva è infatti il mandato che lega le imprese raggruppate, dove la causa immediata è costituita dall'organizzazione dei ruoli per il soddisfacimento dell'obbligazione dedotta nell'appalto, e quella mediata (ma presupposta per la nascita della RTI) è la causa dello stesso contratto di appalto.

Con maggior facilità si raggiunge quindi la soluzione sopra evidenziata in tema di consorzio e partecipazione consortile, applicando per l'appunto le norme sul contratto pendente di appalto all'apertura del concorso. Ed in questo caso è la stessa norma speciale a prevedere chiaramente le soluzioni. Recita infatti l'art. 48 che, laddove l'apertura del concorso riguardi il mandatario, “la Stazione Appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente Codice…” mentre laddove l'apertura del concorso riguardi uno dei mandanti “…il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto all'esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavoro o servizio o forniture ancora da eseguire” (in questo senso l'art. 48, commi 17 e 18).

Egualmente, spostando lo sguardo dall'ipotesi del fallimento (o liquidazione giudiziale) a quella di apertura della procedura di concordato preventivo, si possono evidentemente cogliere i termini di applicabilità del rimedio della sospensione/scioglimento dei contratti pendenti oggi previsti dall'art. 169-bis l.fall. e ripresi dall'art. 97 del Codice della crisi. Si dovrebbe infatti considerare sempre lo stadio dell'appalto e le particolari prestazioni in ipotesi già rese dal soggetto, parte della RTI, a cui la procedura concorsuale si applichi, per comprendere se uno scioglimento o una sospensione siano giuridicamente invocabili.

Sennonché, rispetto ai principi generali sopra enunciati, nel caso del Codice dei Contratti Pubblici, la norma speciale (art. 48) pare propendere, come si è visto, per una prevalenza dello scioglimento del mandato in parte qua con sostituzione di altra impresa ai fini dell'adempimento delle prestazioni ancora mancanti; e ciò al precipuo fine di garantire in ogni caso gli interessi anzitutto del committente, anche quando il rapporto possa dirsi certamente pendente secondo i canoni (id est: per non essere iniziate le prestazioni).

In questi termini, e per ricercare una soluzione che consideri, da un lato, il tenore della norma speciale e, dall'altro lato, lo spirito che governa le norme concorsuali al fine di garantire, per quanto possibile, la continuità aziendale, si potrebbe immaginare la seguente soluzione, ed in questo senso si enuncia un'ipotesi interpretativa: lo scioglimento del mandato dovrebbe reputarsi la regola, e con esso la sostituzione nell'adempimento delle relative obbligazioni dell'impresa colpita da procedura concorsuale, a meno che il curatore non subentri con tutte le garanzie di corretta esecuzione del mandato (art. 81 l.fall. e art. 186 CCI); mentre l'ipotesi della sospensione potrebbe operare nei limiti temporali oggi previsti dall'art. 169-bis (e analogamente dall'art. 97 del CCI), ovvero dall'art. 211, 8° comma, CCI in tema di esercizio provvisorio dell'impresa del debitore, solo a condizione che l'appalto non sia ancora iniziato e che, per la sua natura, i termini di inizio non appaiano oggettivamente essenziali per la Stazione Appaltante.

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