La “dura” vita di un appropriation artist
26 Maggio 2020
Premessa
L'appropriation art è un'espressione artistica in base alla quale, partendo da preesistenti oggetti reali, immagini o altre opere d'arte, l'artista interviene eseguendo piccole modifiche sugli stessi o, addirittura, nessuna modifica. Non stupisce, quindi, che gli esponenti di questa corrente, tra cui il celebre artista di fama mondiale - Jeff Koons, vengano spesso convenuti in giudizio da parte dei titolari dei diritti d'autore sulle opere oggetto di appropriation, per contestare l'indebito e non autorizzato sfruttamento di quest'ultime. La Corte d'Appello di Parigi ha recentemente confermato la sentenza di primo grado, pronunciata nel 2017, con cui il Tribunal de Grand Instance di Parigi aveva accolto la domanda di risarcimento del danno formulata da parte degli eredi del fotografo Jean-François Bauret. Quest'ultimo, infatti, era l'autore della fotografia denominata “Enfants” (datata 1970), a cui il noto artista statunitense Jeff Koons si era “ispirato” per la realizzazione dell'opera “Naked”. Una battaglia legale la cui soddisfazione consiste più nel riconoscimento del plagio commesso ai danni del fotografo francese, che nella compensazione economica ottenuta (24.000 € in totale, una cifra irrisoria considerato che, nel maggio 2019, Christie's ha battuto la scultura “Rabbit” di Jeff Koons per 91,1 milioni di dollari). L'artista ha fatto registrare nella sua carriera un record (negativo) di cause intentate contro di lui per analoghe motivazioni.
Molte delle condanne finora intervenute hanno riguardato opere ricomprese nel progetto artistico denominato Banality, realizzato da Koons nel 1988 e oggetto di numerose retrospettive, tra cui quella più recente presso il Centre Pompidou nel 2014, ed a seguito della quale molti artisti dalle cui opere Jeff Koons pare aver “attinto” hanno fatto “2+2”, individuando somiglianze con proprie creazioni tutt'altro che gradite.
Risale al 1992, la condanna “record”, pronunciata guarda caso negli Stati Uniti, per il plagio della fotografia realizzata nel 1980 dall'artista Art Rogers attraverso la scultura tridimensionale “String of puppies”: 375.000 $ per danni e 2,5 milioni di dollari liquidati a titolo di punitive damages.
Nel 1993, Koons è stato nuovamente portato in giudizio nel procedimento United Feature Syndicate, Inc. v. Koons dove l'opera “incriminata” – sempre della serie Banality – era “Wild Boy and Puppy”, in cui era colpevolmente ripresa senza autorizzazione l'immagine di Odie, personaggio della striscia fumettistica Garfield. Sempre del 1993 è la condanna dell'artista nell'ambito della causa Campbell v. Koons, in cui l'opera “Ushering in Banality” è stata ritenuta violare i diritti di copyright vantati da Barbara Campbell sull'opera fotografica realizzata da quest'ultima. Non stupisce che questa volta, in entrambi i casi, l'artista abbia preferito raggiungere poi con le controparti accordi stragiudiziali a chiusura delle vertenze.
Koons è stato portato, nel 2015, di fronte alla Federal District Court di Manhattan dal fotografo Mitchel Gray, che lo accusava di aver utilizzato senza autorizzazione la fotografia realizzata da quest'ultimo per la campagna pubblicitaria della ben nota marca di gin Gordon's, per realizzare l'opera “I could go something Gordon's” ricompresa in un'altra serie artistica di Koons, “Luxury&Degradation”, datata 1986.
Con la sentenza dell'8 novembre 2018, il Tribunale di Parigi ha ritenuto che l'opera di Jeff Koons “Fait d'hiver” costruisse plagio della fotografia realizzata nel 1985 da Frank Davidovici per la campagna pubblicitaria del brand d'abbigliamento NafNaf.
Non sempre però le accuse di plagio rivolte all'artista hanno portato alla sua condanna. Nella causa Blanch v. Koons del 2006, la Corte d'Appello di New York infatti ha ritenuto che l'opera dell'artista statunitense “Niagara” - parte della serie “Easyfun-Ethereal” (del 2000) - costituisse una rivisitazione dell'opera fotografica originaria, sufficientemente distante da renderla un prodotto artistico autonomo.
Ciò detto, va precisato che non solo su accuse di plagio sono fondate le cause contro Koons. Ultima vicissitudine giudiziaria, il cui esito non è stato ancora reso noto, consiste nel procedimento, incardinato di fronte ai giudici dello stato di New York nel maggio 2019, da parte di Ilona Staller (al secolo, nota anche come “Cicciolina”), pornostar ed ex moglie dell'artista. La Staller, infatti, ha recentemente agito per ottenere un risarcimento da 21 milioni di dollari dopo che la nota casa d'asta Sotheby's New York aveva messo in vendita alcune delle fotografie della serie “Made in Heaven”, scattate da e con Jeff Koons nel corso del loro focoso – ma breve – sodalizio d'amore e che ritraevano l'attrice senza che (stando alle dichiarazioni rilasciate da quest'ultima alla stampa) la stessa avesse mai autorizzato l'uso della sua immagine e, in ogni caso, avesse ricevuto un corrispettivo per tale sfruttamento. Dall'impressionante elenco di vicissitudini giudiziarie si potrebbe pensare che Jeff Koons abbia passato più tempo a difendersi in tribunale che a lavorare alla realizzazione di nuove opere o che, perlomeno, queste vicende abbiano in qualche modo scalfito la sua notorietà ed il suo successo. Tutto all'opposto, la fama di Koons è ad oggi senza precedenti, tanto che l'artista per esempio ha beneficiato di importanti collaborazioni con noti brand del settore del fast fashion come H&M, che ha reso la sua più celebre scultura, “Balloon Dog”, l'elemento iconico della collezione presentata nel 2014. Senza contare che le numerose condanne inanellate dagli anni '90 ad oggi l'hanno costretto al pagamento di importi a titolo di spese legali e risarcimento del danno per cifre che non rappresentano (nemmeno complessivamente) che una minima frazione di quelli che sono stati gli incassi registrati negli ultimi 30 anni di attività. Ciò premesso, verrebbe da chiedersi se Jeff Koons non sia il più sfortunato e perseguitato degli artisti. Sicuramente essere una personalità artistica di spicco nel panorama mondiale rende molto più facile la circolazione e diffusione delle immagini delle sue opere e, quindi, molto più alto il numero di soggetti che potrebbero individuare nelle stesse delle similitudini border line con precedenti work of art di altri artisti meno rinomati. Dall'altra, il fatto stesso che Koons appartenga alla corrente artistica dell'appropriation art rende quasi fisiologico esporsi a questo tipo di rischio, dal momento che la stessa consiste in un'espressione artistica in base alla quale, partendo da preesistenti oggetti reali, immagini o altre opere d'arte, l'artista interviene eseguendo piccole modifiche sugli stessi o, addirittura, nessuna modifica. Ed infatti, Koons non ha mai negato di aver conosciuto, prima della realizzazione delle proprie opere, quelle dei soggetti che poi gli hanno fatto causa. Al contrario, la sua difesa si è sempre basata sul fatto che sussistessero esimenti quali quelle del fair use e della parodia, in forza delle quali l'utilizzo delle opere precedenti fosse del tutto lecito. Con fair use, istituto giuridico statunitense, si intende una eccezione in ragione della quale opere tutelate dal copyright possono essere utilizzate anche in assenza del consenso del titolare dei diritti sulle stesse. I quattro pillarsche devono essere congiuntamente presi i considerazione per valutare se è possibile fare appello all'esimente del fair use sono lo scopo per cui l'opera viene utilizzata (per esempio, finalità didattiche e senza scopo di lucro), la natura dell'opera protetta, la quantità e l'importanza della parte di opera protetta utilizzata in rapporto all'opera nel suo complesso, nonché le conseguenze di tale uso sul mercato potenziale e/o sul valore dell'opera stessa. Le “variabili” riconosciute dal diritto statunitense nonché la loro interpretazione alquanto elastica lasciano, come intuibile, spazio ad ampie argomentazioni difensive circa la sussistenza dell'esimente, tant'è che numerose piattaforme di condivisione di contenuti di terzi (anche peer-to-peer) come Napster e Youtube si sono spesso appellate al fair use (con più o meno successo) per giustificare il meccanismo di fruizione e sfruttamento di opere tutelate attraverso i servizi messi da loro a disposizione degli utenti. Posto che non risulta, allo stato, che Koons sia mai stato convenuto in giudizio in Italia, se ciò accadesse possiamo immaginare che la sua difesa ricadrebbe sull'eccezione della parodia. Quest'ultima, prevista dall'art. 5 della Direttiva 2001/29/CE, non è mai stata espressamente recepita nella normativa nazionale. Tuttavia, è stata spesso riconosciuta in giurisprudenza come esimente il cui fondamento giuridico è stato rinvenuto nei principi di libertà di espressione e di libertà dell'arte e della scienza, tutelati rispettivamente dagli artt. 21 e 33 della Costituzione, sia come manifestazione di quel pensiero critico la cui espressione è garantita dall'art. 70 della legge sul diritto d'autore, secondo cui “il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera”. La parodia consiste in un'evocazione umoristica o canzonatoria di un'opera esistente attraverso la creazione di un'opera “altra” rispetto all'originale ma comunque in qualche modo legata alla stessa in misura tale da rendere evidente nel fruitore l'esistenza di un link con l'originale. L'esigenza di mantenere un legame percettibile con l'opera da cui si prende ispirazione ha, come conseguenza, un abbassamento del livello di creatività che la parodia deve avere per essere considerata autonomamente tutelabile, tant'è che l'originalità a questo scopo richiesta è stata considerata raggiunta anche grazie alla sola presenza di piccole (ma percettibili) differenze rispetto all'opera oggetto di parodia.
In conclusione
Se Koons è il più noto esponente di questa corrente, non è però certo l'unico. Non da ultimo, un interessante esempio di appropriation art è stato fornito dall'artista al centro della maggior attenzione mediatica di questo periodo, ovvero Banksy, che nel 2017, in occasione dell'inaugurazione di una mostra su Jean-Michelle Basquiat a Londra, ha realizzato due murales nei pressi della sede dell'esposizione che – allo scopo di omaggiare l'artista – incorporavano alcune ben note opere di quest'ultimo. Il primo ritraeva il protagonista del famoso dipinto “Boy and Dog in a Johnny pump” mentre veniva perquisito da due agenti della polizia londinese, il secondo incorporava un simbolo ricorrente nelle opere di Basquiat, ovvero la sua celebre corona.
Ciò detto, la carriera artistica (e giudiziaria?) di Koons promette di regalarci altre numerose occasioni di riflessione. Di certo, sarebbe interessante vedere come lo stesso Koons potrebbe reagire nel caso in cui ad essere oggetto di appropriation da parte di un altro artista fossero proprio le sue opere: come si suol dire, chi di appropriation art ferisce… |