La Consulta estende i poteri cautelari del magistrato di sorveglianza anche alla semilibertà in caso di pena superiore a sei mesi ma non a quattro anni

Leonardo Degl'Innocenti
Francesco Faldi
27 Maggio 2020

È costituzionalmente illegittimo l'art. 50, comma 6 della legge 26 1954 n. 354 e s.m.i. nella parte in cui non consente al magistrato di sorveglianza di applicare…
Massima

È costituzionalmente illegittimo l'art. 50, comma 6 della legge 26 1954 n. 354 e s.m.i. (c.d. ordinamento penitenziario) nella parte in cui non consente al magistrato di sorveglianza di applicare in via provvisoria la semilibertà, ai sensi dell'art. 47, comma 4 della citata legge, anche nell'ipotesi in cui l'entità della pena residua da espiare è superiore a sei mesi ma non a quattro anni.

Il caso

Il magistrato di sorveglianza di Avellino era stato chiamato a decidere ex art. 47, comma 4 ord.penit. sull'istanza di applicazione provvisoria dell'affidamento in prova avanzata da persona detenuta in espiazione di pena superiore a 6 mesi. L'applicazione provvisoria è subordinata, da un lato, alla verifica delle condizioni di ammissibilità previste per la misura alternativa richiesta e, dall'altro, alla condizione che siano “offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova ed al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga”.

Il giudice ha ritenuto che, pur in presenza di elementi positivi, non vi fossero le condizioni per disporre l'applicazione provvisoria dell'ampia misura prevista dall'art. 47 ord.penit. (con conseguente scarcerazione del condannato) e che la gravità dei reati commessi, da un lato, e le risultanze dell'osservazione penitenziaria, dall'altro, inducessero a ritenere preferibile l'applicazione provvisoria della misura alternativa maggiormente contenitiva della semilibertà.

Tale soluzione, rispondente anche al criterio della gradualità nell'accesso alle misure alternative, risultava tuttavia inibita dall'entità della pena residua da espiare in concreto nel caso di specie superiore a sei mesi, e ciò in base al coordinamento degli artt. 50, comma 1 e 6 (riguardanti la semilibertà) e 47, comma 4 ord.penit. (concernente l'affidamento). La prima norma prevede che in caso di mancata applicazione dell'affidamento in prova il condannato può essere ammesso ad espiare la pena in regime di semilibertà a condizione che l'entità della pena da scontare non sia superiore a sei mesi; la seconda prevede che in quest'ipotesi la semilibertà può essere disposta anche dopo l'inizio dell'esecuzione della pena, infine, l'art. 47, comma 4, al quale rinvia l'art. 50, comma 6, attribuisce al magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sull'Istituto di Pena nel quale si trova ristretto il condannato, il potere di disporre l'applicazione della misura in via provvisoria. Il magistrato di sorveglianza, quale sia la decisione adottata, deve trasmettere gli atti al tribunale al quale è riservata la decisione in merito all'applicazione definitiva della misura.

L'impossibilità di disporre l'applicazione provvisoria della semilibertà nel caso in cui l'entità della pena residua da espiare in concreto è superiore a sei mesi è stata ritenuta dal magistrato di sorveglianza di Avellino in contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione. Infatti il detenuto che abbia espiato metà della pena (o due terzi nel caso di condannato per taluno dei reati indicati nell'art. 4-bis ord.penit.), ma che deve ancora espiare una pena superiore a sei mesi può essere ammesso alla semilibertà solo in forza dell'ordinanza del tribunale: in questi casi il condannato dovendo attendere la decisione del Collegio rischia di perdere l'opportunità lavorativa che gli era stata offerta con conseguente vanificazione del finalismo rieducativo della pena.

La Corte Costituzionale con la sentenza in esame ha accolto la questione di legittimità costituzionale con riferimento alla violazione del principio di eguaglianza.

La questione

Come noto la competenza a disporre l'applicazione delle misure alternative alla detenzione e cioè affidamento in prova al servizio sociale (ordinario ed in casi particolari di cui all'art. 94 d.P.R n. 309 del 1990 e s.m.i.), detenzione domiciliare, semilibertà e liberazione condizionale (disciplinata dal codice penale come causa di estinzione della pena, ma da tempo ricondotta al genus delle misure alternative) spetta al tribunale di sorveglianza.

Fa eccezione a questo principio generale la detenzione presso il domicilio istituita dalla legge n. 199 del 2010 (c.d. legge Alfano) la cui applicazione è riservata alla competenza del giudice monocratico. Si tratta di una misura alternativa, assimilabile alla detenzione domiciliare c.d. generica prevista dall'art. 47-ter, comma 1-bisord. penit., che può essere concessa dal magistrato di sorveglianza al condannato che deve espiare una pena non superiore a diciotto mesi e non imputabile ad uno dei delitti indicati nell'art. 4-bisord. penit. Il magistrato di sorveglianza decide, acquisito il parere del Pubblico Ministero, con ordinanza impugnabile con reclamo (mezzo di gravame assimilabile all'appello) al tribunale di sorveglianza che pertanto in questi casi interviene come giudice di secondo grado.

Per completezza occorre rammentare che alla detenzione presso il domicilio istituita dalla legge n. 199 del 2010 si è di recente sovrapposta la detenzione presso il domicilio disciplinata dall'art. 123 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni nella legge 24 aprile 2020, n. 27, misura sempre riservata alla competenza del magistrato di sorveglianza che rappresenta il tentativo messo in atto dal legislatore di fronteggiare, per quanto riguarda il settore penitenziario, l'emergenza sanitaria ed epidemiologica determinata dalla diffusione del COVID-19 (e invero la “nuova” detenzione presso il domicilio è applicabile fino al 30 giugno 2020).

L'ordinamento attribuisce al detenuto la facoltà di chiedere al magistrato di sorveglianza competente per territorio in base al locus detentionis l'applicazione dell'affidamento (sia ordinario che in casi particolari) e della detenzione domiciliare: in caso di accoglimento dell'istanza l'esecuzione della pena prosegue in regime di misura alternativa (affidamento o detenzione domiciliare), in caso di rigetto il condannato continua ad espiare la pena in carcere. In ogni caso, tuttavia, e conformemente alla natura provvisoria del provvedimento, il magistrato di sorveglianza deve trasmettere gli atti al tribunale al quale spetta di decidere, in via definitiva, se concedere o meno la misura alternativa richiesta. Diversamente da quanto accade con riguardo alla detenzione presso il domicilio sopra richiamata, il tribunale non interviene come giudice di appello rispetto alla decisione adottata dal magistrato di sorveglianza, il quale, come detto, una volta adottata la decisione sull'istanza di applicazione provvisoria deve trasmettere gli atti al tribunale. La fase del procedimento davanti all'organo collegiale ha dunque carattere necessario instaurandosi per impulso dello stesso magistrato (mentre nel caso della detenzione presso il domicilio la fase davanti al tribunale presenta carattere eventuale in quanto postula che il condannato, o il Pubblico Ministero, abbiano impugnato la decisione monocratica proponendo avverso di essa reclamo al collegio).

L'applicazione provvisoria è prevista:

a) in materia di affidamento in prova dall'art. 47, comma 4,ord. penit. in forza del quale il magistrato di sorveglianza competente in ragione del locus detentionis può concedere tale beneficio quando “sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova ed al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga”. Il potere di applicazione provvisoria dell'affidamento è stato attribuito al magistrato di sorveglianza dall'art. 3, comma 1 del d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni, nella l. 21 febbraio 2014, n. 10. In precedenza il magistrato poteva disporre la sospensione dell'esecuzione della pena: in tal modo l'espiazione della pena si interrompeva (il condannato riacquistava, anche se solo temporaneamente, la piena libertà) fino alla decisione del tribunale (nel caso di applicazione provvisoria, invece, il condannato continua, in attesa della decisione del collegio, ad espiare la pena anche se in regime extra murario);

b) in materia di affidamento in prova in casi particolari dall'art. 94, comma 2, deld.P.R. n. 309 del 1990 e s.m.i., in forza del quale il magistrato di sorveglianza può disporre l'applicazione provvisoria “se sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda ed al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione, qualora non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza del pericolo di fuga”. Ai fini dell'applicazione, anche in via provvisoria, dell'affidamento in prova in casi particolari occorre, a pena di inammissibilità, che la domanda sia corredata dalla certificazione, rilasciata da una struttura sanitaria pubblica, o da una struttura privata accreditata, attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcol-dipendenza del condannato; la procedura con la quale è stato accertato tale stato e l'idoneità del programma terapeutico concordato ai fini del recupero sociale del reo;

c) in materia di detenzione domiciliare dall'art. 47-ter, comma 1-quater,ord. penit.: che, relativamente alla detenzione domiciliare c.d. umanitaria, alla detenzione domiciliare c.d. generica ed alla detenzione domiciliare sostitutiva del differimento di esecuzione della pena, previste rispettivamente dai commi 1,1-bis ed 1-ter del citato art. 47-ter, rinvia all'art. 47, comma 4, cit. in tema di applicazione provvisoria dell'affidamento.

Con riferimento all'applicazione provvisoria della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento di esecuzione della pena occorre segnalare che l'art. 2 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, ha introdotto nel testo dell'art. 47-ter il comma 1-quinquies in forza del quale il magistrato di sorveglianza investito della richiesta di applicazione provvisoria del beneficio avanzata da persone condannate per taluno dei delitti indicati nell'art. 51-bis, commia 3-bis e 3-quater, ovvero da detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord. penit., deve chiedere, nel primo caso, al Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza, nel secondo, al Procuratore Nazionale Antimafia, il parere in ordine all'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e alla pericolosità sociale del detenuto. La norma puntualizza che il parere deve essere reso al magistrato di sorveglianza nel termine di due giorni dalla richiesta.

In estrema sintesi si può affermare che il magistrato di sorveglianza, che comunque dispone di un potere discrezionale, può accogliere la domanda di applicazione provvisoria quando, accertata la sussistenza delle condizioni di ammissibilità previsti con specifico riferimento a ciascuna misura, e l'insussistenza del pericolo di fuga, ritenga verosimile, o comunque altamente probabile, che la misura richiesta verrà poi applicata dal Collegio.

L'applicazione provvisoria costituisce dunque lo strumento attraverso il quale si attua l'accesso “accelerato” o, se si preferisce “anticipato” (rispetto alla decisione del tribunale), consentendo al condannato detenuto di iniziare a espiare la pena in regime di affidamento in prova o di detenzione domiciliare evitandogli di attendere i tempi, fisiologicamente lunghi, richiesti per la decisione del tribunale, e di subire i pregiudizi connessi a tale attesa. Appare pertanto corretto affermare che il procedimento di applicazione provvisoria è riconducibile alla categoria della giurisdizione cautelare ed appare funzionale a neutralizzare quella particolare forma di periculum in mora che la dottrina processuale civilistica ha individuato come pericolo da tardività (da intendersi correlato, in questa materia, ai tempi necessari per la decisione da parte del tribunale sulla domanda di misura alternativa).

I decreti con i quali il giudice monocratico decide sulla domanda di applicazione provvisoria della misura, conformemente alla natura cautelare e alla funzione interlocutoria rispetto alla decisione del tribunale, non sono soggetti ad alcun mezzo di impugnazione e, in particolare, non sono impugnabili con ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. (cfr. Cass. pen., Sez. I, 6 ottobre 2004, Coletto, in C.E.D. Cass., n. 230296, secondo cui il provvedimento emesso dal giudice monocratico “non è suscettibile di autonomo ricorso per cassazione, stante il principio della tassatività dei mezzi di impugnazione ed in considerazione della sua natura provvisoria volta a soddisfare esigenze urgenti in attesa della decisione del tribunale di Sorveglianza”; e da ultimo Cass. pen., Sez. I, 15.06.2010, n. 24834, Alberti, n.m.).

Prima della sentenza in commento la possibilità di disporre l'applicazione provvisoria della semilibertà era circoscritta al caso in cui l'entità della pena residua da espiare in concreto non superava i sei mesi. Questa limitazione è sembrata disarmonica con quel particolare tipo di semilibertà costituito dalla c.d. semilibertà surrogatoria dell'affidamento in prova prevista dall'art. 50, comma 2,ord. penit. (modificato sul punto dalla legge 27.05.1998, n.165 - c.d. legge Saraceni-Simeone) alla quale possono essere ammessi i condannati che devono espiare una pena non superiore a quattro anni e non imputabile a taluno dei delitti indicati nell'art. 4-bis, comma 1,ord. penit. (c.d. delitti ostativi di prima fascia ad es. associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis cod. pen.).

La semilibertà consiste nella concessione al condannato “di trascorrere parte del giorno fuori dall'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale” (art.48, comma 1,ord. penit.), attività che possono consistere anche nella prestazione di opera di volontariato. Come affermato in giurisprudenza, la semilibertà “Costituisce una forma tipica di trattamento progressivo individualizzato; la sua funzione è duplice: propedeutica, da un lato, al ritorno del soggetto in libertà e probatoria, dall'altro, dei risultati conseguiti tramite il trattamento risocializzativo svolto. La sua concessione, infatti, è subordinata alla presenza di un preciso requisito soggettivo, definito dal comma quarto dell'art. 50 ord.pen. in termini di "progressi compiuti nel corso del trattamento". Ciò vale a metterne in luce la funzione promozionale ed il carattere premiale: nel connettere la modifica migliorativa dell'esecuzione della pena all'adesione ad un certo modulo comportamentale, la stessa previsione astratta della semilibertà incentiva il condannato all'integrazione della condotta assunta a presupposto della misura, condizionandolo alla collaborazione al trattamento, e la sua concessione ne premia lo sforzo partecipativo concretamente dimostrato. In altri termini, la semilibertà non si fonda tanto su di un giudizio prognostico in ordine al comportamento futuro del condannato, bensì si fonda sulla valutazione positiva di comportamenti già posti in essere e manifestati” (Cass. pen., Sez. I,30 ottobre 2019, n.1788, Mirabella, n.m.).

Come evidenziato anche dalla Corte Costituzionale nella motivazione della sentenza in commento, la legge penitenziaria prevede tre diverse figure di semilibertà:

a) la semilibertà prevista per le pene dell'arresto e della reclusione non superiore a sei mesi (art. 50, comma 1 ord. penit.);

b) la semilibertà, per così dire, ordinaria, applicabile, in ragione dei progressi compiuti nel corso del trattamento, ai condannati che hanno espiato metà della pena, o due terzi se questa è stata inflitta per taluno dei delitti indicati nell'art. 4-bisord. penit., indipendentemente dall'entità della pena residua ancora da espiare (art. 50, comma 4,ord. penit.);

c) la semilibertà c.d. surrogatoria dell'affidamento, prevista, come detto, dall'art. 50, comma 2, e applicabile ai condannati che devono espiare una pena non superiore a quattro anni (limite di concedibilità dell'affidamento in prova), che in concreto non sono ritenuti meritevoli di accedere a tale beneficio ancorché non abbiano ancora espiato metà della pena (sempre che la pena non sia stata inflitta per taluno dei delitti indicati nell'art. 4-bis, comma 1,ord. penit.).

La semilibertà surrogatoria dell'affidamento può essere concessa dal tribunale sia al condannato libero, vale a dire a colui che dovendo espiare una pena non superiore a quattro anni ha beneficiato, ricorrendone le condizioni in ragione della natura del reato commesso, della sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ordine di carcerazione ex art. 656, commi 5 e 6 c.p.p., sia al condannato detenuto. Tuttavia il condannato detenuto che deve espiare una pena non superiore a quattro anni può chiedere al magistrato di sorveglianza la concessione dell'applicazione provvisoria dell'affidamento, mentre, come detto, l'applicazione provvisoria della semilibertà è circoscritta al caso in cui l'entità della pena da espiare non superi i sei mesi.

Tale diversità di trattamento ha indotto il magistrato di sorveglianza di Avellino a dubitare della legittimità Costituzionale dell'art. 50, comma 6 ord. penit. che si porrebbe in aperta contraddizione col criterio della gradualità nella concessione dei benefici penitenziari in generale e delle misure alternative in particolare.

Secondo il Costante e consolidato orientamento della giurisprudenza “il criterio di gradualità nella concessione del benefici penitenziari, pur non costituendo una regola assoluta e codificata, risponde ad un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il principio stesso del trattamento penitenziario; e ciò vale particolarmente quando il reato commesso sia sintomatico di una non irrilevante capacità a delinquere e della verosimile contiguità del condannato con ambienti delinquenziali di elevato livello”(Cass. pen., Sez. I, 14 gennaio 2015, n.27264, Sicari, n.m.; Cass. pen., Sez. I, 5 giugno 2015, n.36314, Leardi, n.m.: Cass. pen., Sez. I,19 aprile 2018, n.35217, Brusca, n.m.; Cass. pen., Sez. I, 17 gennaio 2019, n. 22443, Froncillo, n.m.; Cass. pen., Sez. I,4 giugno 2019, n.33162, Habili, n.m.; Cass. pen., Sez. I, 26 settembre 2019, n. 50030, Cicognini, n.m.). In applicazione del criterio di gradualità il giudice “anche quando siano emersi elementi positivi nel recente comportamento tenuto dal condannato, può legittimamente ritenere necessario un ulteriore periodo di osservazione, con applicazione a tal fine nel frattempo di misure meno ampie di quelle richieste in modo da saggiare concretamente l'attitudine del soggetto ad adattarsi progressivamente alle prescrizioni imposte. Il complessivo giudizio di merito, se motivatamente rappresentato considerando le prudenziali coordinate di verifica idonee a favorire il ragionevole bilanciamento delle esigenze di difesa sociale e di quelle rieducative, non può essere fatto oggetto di censure in sede di legittimità”(Cass. pen., Sez. I,26.02.2020, n.13447, Turcaloro, n.m.).

Nella prospettiva del giudice remittente, la logica gradualistica che presiede all'applicazione delle misure alternative comporta che la semilibertà preceda e per così dire prepari “l'affidamento in prova che è misura evidentemente più ampia, in quanto recide ogni rapporto tra il condannato e l'istituto penitenziario, traducendosi in un regime di libertà assistita e controllata. Sarebbe, perciò, irragionevole che l'accesso alla misura minore resti soggetto, per l'aspetto considerato, a un regime più restrittivo di quello valevole per la misura maggiore” (§5 del Considerato in diritto della motivazione della sentenza della Corte). L'irragionevolezza di tale assetto normativo si risolverebbe dunque nella violazione del principio di eguaglianza.

Le soluzioni giuridiche

La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della norma censurata dal magistrato di sorveglianza di Avellino.

La Corte muovendo dalla premessa secondo la quale l'affidamento in prova e la semilibertà sono misure distinte non solo sul piano dei presupposti, ma anche su quello dei contenuti, ha escluso che tra le due misure sia ravvisabile una sorta di “rapporto di continenza”a fronte del quale sarebbe senz'altro irragionevole precludere la misura alternativa meno ampia (la semilibertà) al condannato chepotrebbe, astrattamente, aspirare alla misura più ampia (principio che la Corte aveva enunciato con la sentenza n. 338 del 2008 con la quale aveva affermato che non poteva essere ritenuta irragionevole e lesiva del principio di eguaglianza l'esclusione della semilibertà, ma non anche dell'affidamento in prova, nei riguardi dei condannati per taluno dei reati indicati nell'art 4-bisord. penit. che non avevano ancora espiato i due terzi della pena, anche quando l'entità della pena residua da espiare non superava i tre anni, limite di pena illo tempore previsto per la concedibilità dell'affidamento in prova).

Nella prospettiva della Corte ciò che assume rilievo nel caso di specie non è la disciplina dei presupposti sostanziali per l'applicazione della misura, ma la possibilità di beneficiare, tramite la procedura dell'applicazione provvisoria riservata alla competenza funzionale del giudice monocratico, di un accesso accelerato alla semilibertà. Pertanto, nell'ambito di una disciplina che consente al giudice di sorveglianza di applicare tanto l'affidamento in prova quanto la semilibertà “surrogatoria” al condannato che deve espiare una pena non superiore a quattro anni, indipendentemente dalla quota di pena espiata (esclusi, secondo quanto stabilisce expressis verbis l'art. 50, comma 2 ord. penit., i reati ostativi indicati nell'art. 4-bis, comma 1 ord. penit.), non vi sono ragioni “per lasciare contraddittoriamente disallineato in pejus il beneficio minore, quanto alla possibilità di accesso anticipato e provvisorio al beneficio in presenza di un pericolo di grave pregiudizio, tramite provvedimento dell'organo monocratico” (§7 del Considerato in diritto).

D'altra parte, prosegue la Corte, la mancata estensione della procedura prevista dall'art. 47, comma 4, ord. penit. alla semilibertà “surrogatoria” aveva una giustificazione con riferimento alla disciplina vigente anteriormente alla modificazione introdotta dall'art. 3, comma 1 deld.l. 23.12.2013, n. 146, convertito, con modificazioni nella l. 21.02.2914, n. 10. Come detto tale intervento normativo ha rimodulato il potere cautelare attribuito al magistrato di sorveglianza sostituendo al potere di ordinare la sospensione dell'esecuzione della pena (con la conseguenza che il condannato veniva a beneficiare, in attesa della decisione del tribunale sull'applicazione o meno dell'affidamento, della integrale remissione in libertà), il potere di disporre l'applicazione provvisoria dell'affidamento.

Anteriormente alla citata modifica normativa appariva inopportuno estendere il meccanismo della sospensione pura e semplice anche ai condannati “privi dei requisiti di affidabilità richiesti per l'accesso all'affidamento in prova e condannati a una pena che, per la sua entità, non poteva dirsi sicuramente indicativa di una ridotta pericolosità. Analoga giustificazione non è più rinvenibile, per converso, in relazione alla procedura di applicazione provvisoria della misura, in presenza di situazioni di urgenza e sulla base di un filtro di merito del magistrato di sorveglianza, introdotta dal d.l. n. 146 del 2013, come convertito, in sostituzione del predetto meccanismo” (§7 della motivazione).

Osservazioni

L'estensione del potere di applicazione provvisoria alla semilibertà “surrogatoria” di cui all'art. 50, comma 2 ord. penit. presenta due aspetti indubbiamente positivi.

In primo luogo, tenuto conto dei tempi necessari per la decisione del tribunale in merito all'applicazione della semilibertà, la possibilità di ricorrere a tale istituto consente al detenuto di beneficiare di un “accesso accelerato” alla misura, sottraendosi al rischio di perdere la opportunità lavorativa in relazione alla quale è stata formulata l'istanza di semilibertà. In secondo luogo, l'applicazione provvisoria della semilibertà risulta maggiormente funzionale al criterio della gradualità nella concessione delle misure alternative, che appare tanto più importate in ragione del limite di pena (quattro anni) particolarmente elevato previsto (forse troppo …) per l'applicazione dell'affidamento in prova.

Il magistrato di sorveglianza al quale è stata rivolta la richiesta di applicazione provvisoria dell'affidamento potrà, considerate le risultanze dell'osservazione penitenziaria, la gravità del reato commesso, i precedenti del condannato e l'entità della pena residua da espiare in concreto, ritenere più opportuna l'applicazione provvisoria della semilibertà ed il tribunale, chiamato a decidere in via definitiva quale misura alternativa applicare al condannato, potrà disporre di un ulteriore elemento di valutazione costituito dalla condotta tenuta dal condannato in regime di semilibertà alla quale è stato ammesso in via provvisoria dal magistrato di sorveglianza.

Deve ritenersi che, anche nel caso in cui l'ammissione dal regime di semilibertà avvenga in forza del provvedimento di applicazione provvisoria emesso dal magistrato di sorveglianza, debba trovare applicazione la disciplina dettata dall'art. 101 del d.P.R. n. 230 del 2000 (c.d. Regolamento penitenziario) che subordina l'attuazione della semilibertà alla formulazione di un “particolare programma di trattamento”. Nel programma, redatto dal Direttore dell'Istituto di Pena ed approvato dal magistrato di sorveglianza, “sono dettate le prescrizioni che il condannato si deve impegnare per iscritto ad osservare durante il tempo da trascorre fuori dall'istituto, anche in ordine ai rapporti con la famiglia e con il servizio sociale, nonché quelle relative all'orario di uscita e di rientro”.

Deve comunque ritenersi, come già affermato dalla giurisprudenza con riguardo all'applicazione provvisoria della detenzione domiciliare, che se dopo l'ammissione provvisoria alla semilibertà il condannato viola le prescrizioni imposte col programma di trattamento, ovvero commette ulteriori reati, il giudice che ha emesso il provvedimento di applicazione provvisoria sia legittimato a disporre la sospensione della misura ordinando il ripristino dell'esecuzione della pena in regime detentivo ordinario. In questo caso non opera il termine perentorio di 30 giorni stabilito dall'art.51-terord. penit. Tale termine riguarda infatti il solo procedimento di revoca di una misura alternativa alla quale il condannato sia già stato ammesso in via ordinaria dal tribunale di sorveglianza e non è quindi applicabile all'ipotesi di applicazione provvisoria della misura (Cass. pen., Sez. I, 14 settembre 2018, n.57450, D'Antonio, n.m.). Ne consegue che il condannato che ha subito la sospensione della misura (nel caso di specie la semilibertà) applicata in via provvisoria dovrà attendere in carcere la data dell'udienza fissata davanti al tribunale, così come avrebbe atteso la data dell'udienza se il magistrato avesse deciso di non concedere l'applicazione provvisoria della misura.

Come già accennato la semilibertà “surrogatoria” in forza del divieto stabilito expressis verbis dall'art. 50, comma 1 ord. penit. non è concedibile al condannato detenuto in espiazione di pena inflitta per uno taluno dei delitti indicati nell'art. 4-bisord. penit., comma 1 ord. penit. (c.d. delitti ostativi di prima fascia).

La semilibertà “surrogatoria” è viceversa applicabile ai condannati per reati ostativi diversi da quelli previsti nel comma 1 dell'art. 4-bis: trattasi dei delitti elencati nel comma 1-ter (c.d. delitti ostativi di seconda fascia) e di delitti sessuali indicati nel comma 1-quater, fermo restando, in quest'ultimo caso, la necessità di acquisire e valutare “i risultati dell'osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell'art. 80” della legge (con l'ulteriore precisazione che l'osservazione annuale non è necessaria in caso di condanna per il reato di violenza sessuale ove sia stata applicata la circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3, c.p. in forza del quale “nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”).