Spese di riscaldamento: al proprietario spetta la manutenzione dei componenti radianti del proprio appartamento

Maurizio Tarantino
27 Maggio 2020

In tema di condominio, per quelle delibere emesse prima dell'adozione dei sistemi di misurazione del calore e, dunque, precedenti alla normativa nazionale e comunitaria sul risparmio energetico, ai fini della ripartizione delle spese di riscaldamento, è considerato valido il criterio base della superficie radiante in quanto conforme al principio generale di cui all'art. 1123, comma 2, c.c. In caso di malfunzionamento del proprio impianto, spetta al proprietario curare la manutenzione dei componenti radianti del proprio appartamento.

La vicenda. A causa del malfunzionamento dell'impianto di riscaldamento centralizzato, Tizio (condomino) impugnava la deliberazione assembleare del 1994 in relazione all'approvazione delle superfici radianti di riscaldamento e del riparto spese. In primo grado, il Tribunale adito dichiarava inammissibili tutte le domande, ad eccezione di quella inerente ai criteri di ripartizione delle spese di riscaldamento. Per tali motivi, Tizio propose appello in via principale, mentre il Condominio, rappresentato dall'amministratore, avanzò appello incidentale quanto alla tabella millesimale delle spese di riscaldamento. Si costituirono in appello altresì tutti gli altri condomini. Nel giudizio di secondo grado, la Corte d'Appello, accogliendo parzialmente il gravame incidentale del Condominio, dichiarò che le tabelle millesimali per il riparto delle spese di riscaldamento dovevano essere quelle redatte dal geometra Sempronio, avendo il Tribunale fatto erroneo rinvio a quelle elaborate dal consulente di parte attrice basate sulla non condivisibile esclusione dai valori proporzionali di un calorifero non funzionante nella proprietà dell'attore. Avverso tale decisione, Tizio ha proposto ricorso in Cassazione eccependo, tra i vari motivi, la limitata rappresentanza processuale dell'amministratore, le tabelle realizzate dal CTU nonché la violazione dell'art. 1123, comma 2, c.c. e della normativa speciale sul risparmio energetico negli edifici condominiali.

La legittimazione dell'amministratore. Secondo la S.C., deve escludersi che, come sostenuto dal ricorrente, l'operata citazione individuale dei condomini nel giudizio di impugnazione della deliberazione assembleare abbia avuto l'effetto di limitare o negare la rappresentanza processuale dell'amministratore, occorrendo addirittura procedere all'estromissione dello stesso. Né, in una controversia avente ad oggetto l'impugnativa di deliberazioni dell'assemblea condominiale, la legittimazione esclusiva ad agire e quindi a proporre gravame spettante all'amministratore può essere perciò inficiata dall'acquiescenza di uno o più condomini evocati in giudizio.

La presunzione di proprietà comune dell'impianto di riscaldamento. Nella specie, il ricorrente eccepiva al relazione tecnica del CTU poiché non era stato dato rilievo al mancato funzionamento del calorifero del proprio appartamento. Su tale aspetto, a parere della S.C., la presunzione di proprietà comune dell'impianto di riscaldamento di un immobile condominiale, ex art. 1117, n. 3, c.c., non può estendersi a quella parte dell'impianto ricompresa nell'appartamento dei singoli condomini, e, di conseguenza, nemmeno ai componenti radianti che vengono installati nelle unità immobiliari di proprietà individuale, anche se collegati tramite tubi alla caldaia comune, sicché è il proprietario dell'appartamento che deve curarne la manutenzione.

Il criterio della superfice radiante. Il ricorrente, inoltre, contestava la normativa sul risparmio energetico negli edifici condominiali, da ultimo espressa nel d.lgs. n. 102/2014 in quanto, a suo dire, "un calorifero che non cede calore all'ambiente e quindi non consuma, va considerato, ai fini della ripartizione della spesa per il consumo del combustibile, tamquam non esset". A tal proposito, i giudici di legittimità hanno evidenziato che la validità della deliberazione assembleare del 1994 andava ovviamente valutata avendo riguardo alle norme vigenti al momento della sua approvazione. Ad ogni modo, l'art. 26, comma 5, della l. n. 10/1991, applicabile ratione temporis (prima ancora delle modifiche apportate dall'art. 28, comma 2, della legge n. 220 del 2012), stabiliva la disciplina di approvazione delle innovazioni relative all'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore, prescrivendo il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato. Successivamente, la contabilizzazione dei consumi di calore e la suddivisione delle spese in base ai consumi effettivi sono state poi prescritte come obbligatorie soltanto dall'art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 102 del 2014, modificato dal d.lgs., n. 141 del 2016 e dal d.l. n. 244 del 2016. Tuttavia, seguendo la pronuncia (Cass. Sez. 2, 26/01/1995, n. 946), ai fini della ripartizione delle spese di riscaldamento, prima dell'adozione dei sistemi di misurazione del calore, l'unico criterio base conforme al principio generale di cui all'art. 1123, comma 2, c.c. doveva intendersi proprio quello della superficie radiante, seguito nella deliberazione assembleare del 1994.
In conclusione, per i motivi esposti, il ricorso di Tizio è stato rigettato.

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