Il caso. Un cittadino straniero, originario del Bangladesh, ricorre per la cassazione della sentenza di secondo grado che ne aveva respinto il gravame per il riconoscimento della protezione umanitaria.
In particolare, il ricorrente denuncia violazione dell'art. 5, Testo Unico Immigrazione, per non aver esaminato correttamente, i giudici di secondo grado, i requisiti richiesti per la protezione umanitaria.
Racconto non credibile. La Corte territoriale definiva il ricorrente un semplice migrante cosiddetto economico, che in Italia era privo di un contesto familiare di sostegno, analfabeta, senza specifiche competenze lavorative. Mentre nel suo Paese d'origine faceva il contadino e che non aveva raggiunto in Italia alcuna forma di integrazione che gli permettesse di sopravvivere in maniera autonoma.
Inoltre, la Corte d'appello rilevava anche che la narrazione offerta dallo straniero per l'ottenimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari era da considerare implausibile e falsa.
Sul punto i Giudici di legittimità ribadiscono che il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere frutto di una valutazione autonoma in relazione a una condizione di vulnerabilità personale; ed inoltre, rispetto a tale condizione, è rilevante, in assenza di prove del racconto dell'interessato e in difetto di sollecitazioni ad acquisizioni documentali, la credibilità soggettiva.
A ciò consegue che, nel caso in cui – come la fattispecie in esame – sia reso un racconto non credibile sulla propria vicenda personale il permesso, basato su fattori di vulnerabilità soggettiva, non può essere riconosciuto.
Da qui l'inammissibilità del ricorso.