La decorrenza del trattamento di integrazione salariale in caso di tardività della domanda di CIGS al vaglio della Consulta
31 Maggio 2020
Abstract
La Corte costituzionale ha dichiarato in parte inammissibile ed in parte non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 25, comma 3, d.lgs. 14 settembre 2015, n. 148 che prevede, in caso di presentazione tardiva della domanda di CIGS, la “sanzione” della decorrenza del trattamento di integrazione salariale a partire dal trentesimo giorno successivo alla data di presentazione della domanda. L'accesso al trattamento straordinario di integrazione salariale da parte dei datori di lavoro che hanno la necessità di sospendere o ridurre l'attività di lavoro dei propri dipendenti, a fronte di una delle causali di accesso alla CIGS (crisi aziendale, riorganizzazione aziendale o contratto di solidarietà difensivo) previste dalla legge, è disciplinato dagli artt. 20 e seguenti del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 148 che prevede un procedimento scandito da precise tappe da seguire.
L'impresa che intende richiedere il trattamento straordinario di integrazione salariale deve, innanzitutto, comunicare, direttamente o tramite l'associazione imprenditoriale cui aderisce o conferisce mandato, alle rappresentanze sindacali aziendali o alla rappresentanza sindacale unitaria, nonché alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, le cause di sospensione o di riduzione dell'orario di lavoro, l'entità e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati.
Entro tre giorni dalla data di ricevimento della predetta comunicazione, l'impresa o le organizzazioni sindacali possono presentare domanda di esame congiunto della situazione aziendale.
Tale domanda deve essere trasmessa anche all'autorità amministrativa in quanto, nel procedimento di accesso alla CIGS, non è sufficiente che l'esame congiunto si svolga inter partes essendo necessaria, invece, la mediazione pubblica.
L'individuazione dell'ufficio presso cui si deve svolgere l'esame congiunto, ed al quale occorre dunque inviare la relativa domanda, dipende dall'ubicazione geografica delle unità produttive interessate dal programma di riduzione e/o sospensione dell'attività di lavoro.
Se la CIGS coinvolge una o più unità produttive ubicate tutte nella medesima Regione, la domanda va inoltrata al competente ufficio individuato dalla regione del territorio di riferimento. Se, al contrario, l'intervento richiesto riguarda unità produttive ubicate in più regioni la domanda va presentata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali (segnatamente, alla Direzione Generale Rapporti di lavoro).
L'esame congiunto ha ad oggetto il programma che l'impresa intende attuare, comprensivo della durata e del numero dei lavoratori interessati alla sospensione o riduzione di orario e delle ragioni che rendono non praticabili forme alternative di riduzioni di orario, nonché delle misure previste per la gestione delle eventuali eccedenze di personale, i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, che devono essere coerenti con le ragioni per le quali è richiesto l'intervento, e le modalità della rotazione tra i lavoratori o le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione.
Trattandosi di una procedura di informazione e consultazione sindacale, non è richiesto il raggiungimento di un accordo per la presentazione della domanda di CIGS, essendo sufficiente l'aver esperito la procedura di informazione e consultazione.
Per evitare che l'esigenza di controllo sindacale frustri la necessità aziendale di addivenire quanto prima alla riduzione o sospensione dell'attività di lavoro, la legge prevede un contingentamento temporale della procedura sindacale che deve esaurirsi entro i 25 giorni successivi a quello in cui è stata avanzata la richiesta di esame di congiunto, ridotti a 10 per le imprese che occupano fino a 50 dipendenti.
La legge prevede, altresì, un termine entro il quale deve essere presentata la domanda di concessione di trattamento straordinario di integrazione salariale.
Il termine è di sette giorni e decorre dalla data di conclusione della procedura di consultazione sindacale o dalla data di stipula dell'accordo collettivo aziendale relativo al ricorso all'intervento. Una volta presentata la domanda di CIGS, l'azienda può procedere alla sospensione o alla riduzione dell'orario così come concordata tra le parti entro trenta giorni dalla data di presentazione della domanda.
L'art. 25, comma 3, d.lgs. n. 148 del 2015 prevede una sorta di “sanzione” in caso di presentazione tardiva della domanda. In questo caso, infatti, la disposizione prevede che “il trattamento decorre dal trentesimo giorno successivo alla presentazione della domanda medesima”.
Ciò significa che se l'impresa ha posto in essere la sospensione o la riduzione dell'orario così come concordata tra le parti subito dopo la presentazione della domanda, il trattamento di integrazione salariale interverrà solo per i periodi successivi al trentesimo giorno dopo la presentazione (tardiva) della domanda. Ne consegue che i giorni di sospensione o riduzione dell'orario precedenti a tale data non saranno integrati dall'Inps e saranno a carico del datore di lavoro.
Il datore di lavoro non potrebbe, nemmeno, disporre, per il periodo di sospensione o riduzione dell'orario non coperto dal trattamento di integrazione salariale, la sospensione (totale o parziale) del rapporto di lavoro con esonero dal pagamento della retribuzione. Ciò in quanto l'art. 25, comma 4, d.lgs. n. 148 del 2015 prevede che, qualora dalla omessa o tardiva presentazione della domanda derivi a danno dei lavoratori la perdita parziale o totale del diritto all'integrazione salariale, l'impresa è tenuta a corrispondere ai lavoratori stessi una somma di importo equivalente all'integrazione salariale non percepita. Il TAR Lazio – con ordinanza del 4 luglio 2019 in GU, 1a Serie Speciale - Corte costituzionale n. 43 del 23 ottobre 2019 - ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell'art. 25, comma 3, d.lgs. n. 148 del 2015.
Il possibile conflitto tra la disposizione legislativa gravata e i principi costituzionali è stato paventato nell'ambito di un procedimento avente ad oggetto l'annullamento del decreto ministeriale di autorizzazione della CIGS, concessa con l'applicazione del termine di decorrenza sanzionatorio di cui alla disposizione legislativa impugnata, stante la tardività della domanda presentata dall'impresa.
Secondo il Collegio rimettente, il meccanismo della posticipazione del trattamento di integrazione al periodo successivo al compimento del trentesimo giorno dalla presentazione dell'istanza prodotta oltre il termine prescritto, determinerebbe un'ingiustificata compressione della sfera privata del datore di lavoro, il quale dovrà sopportare i costi del trattamento integrativo per i trenta giorni antecedenti l'inizio del medesimo. Tale sanzione nei confronti del comportamento dell'impresa che ha presentato la domanda oltre il termine di sette giorni dalla data di conclusione della procedura di consultazione sindacale ovvero dalla data di stipula dell'accordo collettivo aziendale, appare, secondo il TAR Lazio, ingiustificatamente onerosa per l'impresa anche considerando la ristrettezza del termine di sette giorni, spirato il quale la presentazione tardiva dell'istanza comporta che il trattamento verrà riconosciuto solo per il periodo successivo al compimento del trentesimo giorno dalla stessa.
La presunta sproporzione della risposta sanzionatoria dell'ordinamento evidenzierebbe un profilo di conflitto con il principio di libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 della Costituzione (nell'ordinanza si fa erroneamente riferimento all'art. 42, Cost.), atteso che verrebbe scaricato sull'imprenditore datore di lavoro un onere che invece lo Sato riconosce, almeno provvisoriamente, come proprio, ma a far tempo dal trentesimo giorno successivo alla data di presentazione della domanda di aiuto.
Il Collegio ravvisa, quindi, anche un potenziale conflitto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3, Cost. determinato dalla presunta sproporzionalità della sanzione comminata al datore di lavoro, “confliggente con il principio di proporzionalità, che è poi un corollario di quello di ragionevolezza, che anche il legislatore è tenuto a rispettare”.
A tal riguardo, nell'ordinanza di rimessione viene richiamata la giurisprudenza della Consulta secondo cui il principio di proporzionalità è un vincolo anche per il legislatore ordinario e deve ricevere osservanza onde scongiurare il rischio che si determinino reazioni ordinamentali di tipo o quantomeno della sostanza sanzionatorie a fronte di violazioni di scarsa consistenza di norme che stabiliscano adempimenti a carico dei soggetti dell'ordinamento.
Secondo il TAR non è dato ravvisare “superiori ragioni di prevalente interesse pubblico militanti a supporto della tratteggiata disposta sperequazione e sproporzione”. La decisione della consulta
La Corte costituzionale, investita della questione, ha giudicato inammissibile la asserita violazione dell'art. 41, primo comma, Cost. in quanto, con affermazione considerata apodittica, il rimettente si sarebbe limitato ad affermare che la disposizione censurata lederebbe la sfera di libertà di iniziativa economica dell'imprenditore, in quanto porrebbe a carico dell'imprenditore stesso un onere che lo Stato riconosce come proprio, ma a far tempo dal trentesimo giorno successivo alla presentazione della domanda di aiuti.
Con riferimento alla dedotta violazione da parte della norma censurata dell'art. 3 Cost. in riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, la Consulta addiviene alla declaratoria di infondatezza della questione proposta alla luce delle seguenti argomentazioni.
In particolare, la Corte afferma che il legislatore nel disciplinare la materia degli ammortizzatori sociali e, nello specifico, nel conformare i correlati procedimenti amministrativi, gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute.
Nel caso di specie tale limite non può ritenersi superato, anche alla luce della ricognizione del complessivo assetto della disciplina in materia e della sua evoluzione.
Inoltre, secondo la Consulta, la sanzione prevista dell'ordinamento in caso di presentazione tardiva della domanda è coerente con la nuova conformazione del procedimento operata dall'art. 25 del d.lgs. n. 148 del 2015, il quale risulta complessivamente finalizzata a evitare che si determinino situazioni di incertezza, sia per i lavoratori e le organizzazioni sindacali interessate che per l'impresa, con effetti tanto più critici ove il procedimento amministrativo si concluda con un diniego della domanda a notevole distanza dalla stipula dell'accordo aziendale che ha dato luogo alla sospensione/riduzione dell'orario di lavoro. In tal senso si richiede all'impresa la massima tempestività nella presentazione della domanda, obbligo cui il datore di lavoro viene chiamato ora a rispondere in termini più rigorosi, per evitare che la sua inerzia incida negativamente sull'attuazione degli interessi coinvolti. In conclusione
Secondo la Corte costituzionale la previsione di un meccanismo sanzionatorio – disposto dall'art. 25, comma 3, d.lgs. n. 148 del 2015 - in caso di ritardo nella presentazione della domanda di CIGS, che determina l'onere del datore di lavoro di farsi carico del trattamento retributivo e contributivo dei lavoratori nei primi trenta giorni successivi alla data di presentazione della domanda di concessione della CIGS, non confligge con il principio di proporzionalità di cui è espressione l'art. 3, Cost.
Per approfondire, cfr. G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca (a cura di), Diritto del lavoro, I, Giuffrè, 2017.
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