Danni da infiltrazioni, quando uno può pagare per tutti?

Redazione scientifica
01 Giugno 2020

Nel caso di danno da infiltrazioni derivante da cose in custodia ed avente più cause, nessuna delle quali può essere considerata dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento, la parte chiamata in giudizio può essere condannata al risarcimento integrale anche se non è l'unica responsabile, fermo restando il diritto di regresso verso l'altro/gli altri responsabili.

Questa, in estrema sintesi, la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione. Una conclusione non nuova, anzi una conferma dell'interpretazione delle norme che disciplinano le ipotesi di responsabilità extracontrattuale in concorso. Nel caso di specie la condanna è fondata sugli

artt. 2051

e

2055 c.c.

Il caso. Una società, proprietaria di un'unità immobiliare in condominio proponeva azione di risarcimento del danno nei confronti del condominio medesimo. Motivo? Per l'attrice le infiltrazioni dalle quali era afflitto il suo immobile erano da ricondursi a responsabilità della compagine condominiale.
La società chiedeva, pertanto, la condanna alla esecuzione dei lavori utili ad eliminare il lamentato fenomeno, nonché al risarcimento del danno, ivi compreso quello per il mancato godimento dell'immobile. La domanda veniva accolta, tranne che per quest'ultimo aspetto; anche la richiesta di manleva del condominio verso una ditta che aveva eseguito lavori veniva rigettata.
La società, dunque, proponeva appello avverso il rigetto della richiesta di condanna inerente al mancato godimento dell'immobile. La Corte d'appello adita lo rigettava, confermando la sentenza di primo grado. Motivo? Dalla CTU esperita in corso di causa era emerso che l'evento dannoso oltre che dalle tubazioni dell'impianto fognario condominiale e dalla superficie del campo da tennis fosse dovuto alla mancanza di impermeabilizzazione di due giardini privati, appartenenti a ferzi estranei al presente giudizio. In sostanza, dicevano i giudici del gravame ribadendo le conclusioni del giudice di prime cure, se anche il condominio avesse eseguito prontamente i lavori che era stato condannato ad eseguire ciò non avrebbe fratto venire meno l'inutilizzabilità dell'immobile, stante l'unitarietà del fenomeno infiltrativo.
Da qui il ricorso per Cassazione dell'originaria attrice. Ricorso accolto.

Un concorso di cause può portare alla condanna di uno solo dei responsabili. Il giudice di appello, dice la ricorrente in Cassazione, ha errato nell'applicare l'

art. 2055 c.c.


Che cosa dice questa norma?
Essa specifica che quando un fatto dannoso è imputabile a più persone, ciascuna di esse può essere condannata in solido con le altre al pagamento dell'intero risarcimento, salvo il diritto di regresso.
Se non è possibile determinare con chiarezza la misura delle responsabilità delle parti coinvolte, queste, nel dubbio, si presumono uguali.
Per i Supremi Giudici il ricorso ha colto nel segno. Motivo? L'esistenza di un altro soggetto custode di una cosa concorrente nella causazione dell'evento non fa venire meno la responsabilità dell'altro in relazione all'integrale posta di danno ascrivibile al suddetto concorso di cause anche se il processo è incardinato contro uno solo di essi.
Detta diversamente: quando il danno trova la propria ragion d'essere in dei fatti illeciti di natura extracontrattuale – nel caso di specie danno da cose in custodia

ex

art. 2051 c.c.

– causati da più soggetti, queste sono chiamati a risponderne in solido delle conseguenze (nel caso di specie risarcimento del danno per mancato godimento).
Alla fattispecie si applica l'

art. 2055 c.c.

sicché chi agisce per il risarcimento pur contro solamente uno dei danneggiati da diritto all'integrale ristoro del danno occorsogli. Rammentiamo che la solidarietà cui fa riferimento tale norma è quella prevista e disciplinata dall'

art. 1292 c.c.

a mente del quale in tali ipotesi ciascuno degli obbligati «può essere costretto all'adempimento per la totalità».
In sostanza, la presenza di una causa concorrente, dice la Cassazione, così smentendo la conclusione cui era giunta la Corte d'appello, non è di per sé elemento idoneo a fare venire meno l'elemento della solidarietà di cui al più volte citato

art. 2055 c.c.

Ciò non è da escludersi in assoluto, dicono i giudici di piazza Cavour sulla scorta del loro consolidato orientamento, ma per addivenire a tale «conclusione dev'essere accertato che tale condotta sia dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo».
Insomma: se c'è concorso c'è condanna in solido se non c'è allora la responsabilità sarà esclusiva. Tertium non datur.
Parliamo, evidentemente, di un ristoro economico in relazione ad un pregiudizio subito, non di una condanna ad un facere.

È evidente, infatti, che laddove la richiesta di condanna avesse riguardato l'obbligo di eseguire interventi manutentivi da parte del concorrente non chiamato in giudizio, questa sarebbe stata da rigettarsi per carenza di legittimazione passiva del convenuto.

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