La configurabilità della bancarotta c.d. “riparata” in ipotesi di società ammessa al concordato preventivo e poi fallita

Enrico Corucci
10 Giugno 2020

Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il pregiudizio ai creditori deve sussistere al momento della dichiarazione giudiziale di fallimento o del decreto di ammissione al concordato preventivo e non già al momento della commissione dell'atto antidoveroso.
Massima

Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il pregiudizio ai creditori deve sussistere al momento della dichiarazione giudiziale di fallimento o del decreto di ammissione al concordato preventivo e non già al momento della commissione dell'atto antidoveroso. Pertanto, non integra fatto punibile come bancarotta per distrazione la condotta, ancorché connotata da frode, la cui portata pregiudizievole risulti annullata per effetto di un atto o di una attività di segno inverso capace di reintegrare il patrimonio dell'impresa fallita prima della soglia cronologica costituita dall'apertura della relativa procedura concorsuale.

Il caso

Nella vicenda sottoposta all'attenzione della Suprema Corte all'imputato, quale amministratore unico di una società a responsabilità limitata prima ammessa a concordato preventivo in continuità e poi dichiarata fallita, erano contestati più fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale per avere distratto la cassa e le rimanenze di magazzino nonché per avere sottratto le scritture contabili.

Tra le molte censure mosse alla sentenza di appello merita ricordare come la difesa ne deducesse la nullità ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in riferimento alla affermazione di penale responsabilità avente ad oggetto la distrazione delle rimanenze di magazzino, la quale non sarebbe stata oggetto di contestazione nell'imputazione, criticasse l'omessa considerazione in termini di favore per l'imputato del conferimento da parte di questi della somma di euro 40.000 al liquidatore del concordato, dubitasse dell'esistenza del dolo della bancarotta fraudolenta documentale ed ancora criticasse la valutazione circa la ritenuta insussistenza dei presupposti di applicabilità dell'esenzione di cui all'art. 217-bis l. fall. in proposito di pagamenti effettuati fuori dalle previsioni del piano e purtuttavia giustificati da esigenze di una migliore valutazione dell'attivo e da una più ampia soddisfazione dei creditori.

Le argomentazioni difensive in argomento erano tuttavia ritenute prive di fondamento dalla Corte di Cassazione, che rigettava il ricorso.

La questione

Le questioni sottoposte all'attenzione della Suprema Corte concernono dunque censure mosse dal ricorrente verso tutti i reati contestati, delineandosi un articolato oggetto di analisi:

1) in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, se sia possibile giungere alla prova del reato, nelle figure tipiche della distrazione o dell'occultamento di beni, tramite la condotta dello stesso imputato costituita dall'avere omesso, nell'ambito della procedura concorsuale, di dare conto della destinazione di quei beni che siano stati nella sua disponibilità e che, di seguito, non siano stati consegnati al curatore o comunque da questi rinvenuti;

2) in quali termini sia configurabile la c.d. “bancarotta riparata” nel caso in cui la società prima sia ammessa al concordato preventivo e successivamente fallisca;

3) come si configuri l'elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale;

4) quale sia l'ambito applicativo delle ipotesi di “esenzione” disciplinate dall'art. 217-bis l. fall.

Le soluzioni giuridiche

1) La Corte di Cassazione nella sentenza qui annotata ancora una volta risponde positivamente, sia pure implicitamente, al ricorrente quesito sub 1), ove si osservi che sono state ritenute immuni da vizi le conclusioni dei giudici di merito che avevano ritenuto sussistente il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in ragione del mancato ed ingiustificato rinvenimento della cassa (per una somma di circa euro 17.000 derivante da crediti incassati dall'imputato) e di merce di magazzino. A proposito di quest'ultima, privo di pregio in particolare era ritenuto l'argomento difensivo secondo cui la relativa condotta distrattiva non sarebbe stata oggetto di contestazione in quanto, al contrario, nell'imputazione si faceva riferimento alla distrazione “dell'intera consistenza della rimanenza della società”, non comprendendosi il motivo per cui in tale dizione omnicoprensiva non dovesse rientrare anche la citata rimanenza di magazzino.

2) Il motivo di ricorso avente ad oggetto la ritenuta omessa valorizzazione nelle pronunce di merito della dazione da parte dell'imputato della somma di euro 40.000 al liquidatore del concordato assume particolare rilievo, prospettandosi la sussistenza di una ipotesi di c.d. “bancarotta riparata” in un caso in cui il fallimento riguardava una società ammessa precedentemente a concordato preventivo.

Il significato offensivo della condotta distrattiva, infatti, risulta “disinnescato” da azioni di segno contrario poste in essere anteriormente alla apertura della procedura concorsuale ed in effetti la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che, ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che si qualifica in termini di reato di pericolo concreto, il pregiudizio ai creditori deve sussistere non già al momento della commissione dell'atto antidoveroso bensì al momento della dichiarazione giudiziale di fallimento ovvero del decreto di ammissione al concordato preventivo. Il reintegro del patrimonio dell'impresa avvenuto anteriormente a tali momenti consente invero di evitare che il pericolo per la garanzia dei creditori assuma effettiva concretezza, ed in ciò si sostanzia dunque la bancarotta c.d. “riparata”.

In applicazione di tali principi, nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto ininfluente, al fine di eccettuare la rilevanza penale delle distrazioni, la dazione della somma di euro 40.000 da parte dell'imputato in quanto condotta restitutoria tenuta successivamente al decreto di ammissione al concordato preventivo, in proposito anche richiamando la seguente massima: “la distrazione di somme da una società ammessa al concordato preventivo configura un'ipotesi di bancarotta fraudolenta postfallimentare in relazione alla quale la restituzione della somma distratta non realizza una forma di cosiddetta bancarotta “riparata” poiché, per determinare l'insussistenza della materialità del reato, l'attività di segno contrario che annulla la sottrazione deve reintegrare il patrimonio dell'impresa prima della dichiarazione di fallimento o del decreto che ammette il concordato preventivo, evitando che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca effettiva concretezza (Cass., 7 luglio 2015, n. 50289, in CED rv 265903-01).

3) Il reato di bancarotta fraudolenta documentale prefallimentare disciplinato dall'art. 216,comma 1n. 2) l.fall. consiste nella sottrazione, distruzione, falsificazione, totale o parziale, dei libri o delle altre scritture contabili con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori o ancora nel tenerli in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari; l'ultima ipotesi si definisce anche bancarotta documentale “generica” o “generale” mentre le altre si definiscono bancarotta documentale “specifica”. La distinzione in argomento si riflette, all'evidenza, anche sul piano dell'elemento soggettivo in quanto la bancarotta “specifica” per quanto appena riportato è reato a dolo specifico mentre quella “generica” è a dolo generico.

Nel caso di specie si è detto come fosse contestato il reato di bancarotta documentale “specifica” per avere l'imputato sottratto le scritture contabili da questi tenute in ultimo in costanza del concordato preventivo in continuità ed anche successivamente nel periodo intercorso tra la revoca del concordato e la dichiarazione di fallimento avvenuta quasi un anno dopo quella revoca. In proposito la Corte di Cassazione ha ritenuto come la sentenza impugnata avesse correttamente svolto l'indagine finalizzata alla verifica della sussistenza del dolo specifico, desunto dalla complessa condotta dell'imputato in prossimità del fallimento volta, anche previa strumentalizzazione della procedura concordataria, ad una totale spoliazione delle attività sociali in danno dei creditori.

4) Com'è noto l'indroduzione dell'art. 217-bis l. fall. costituisce timido tentativo di collegamento tra la disciplina sanzionatoria e quella prettamente concorsuale avente ad oggetto nuove forme di soluzione volontaria e condivisa della crisi d'impresa tramite accordi tra imprenditore e creditori ovvero, comunque, tramite manifestazioni dell'autonomia privata che permettano di garantire continuità operativa all'impresa.

Il motivo di ricorso costituito dalla ritenuta erronea mancata applicazione nel caso di specie della “esenzione” di cui all'appena citato art. 217-bis l.fall. -il quale statuisce che le disposizioni di cui agli artt. 216, comma 3 e 217 l. fall. non si applicano, tra gli altri casi, anche ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all'articolo 160 l. fall.- era tuttavia disatteso dalla Suprema Corte con motivazione ineccepibile. Infatti, in estrema sintesi, si ricorda come la citata “esenzione”, qui intesa dalla Suprema Corte quale clausola di non punibilità, escluda la rilevanza penale di fatti di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice mentre le condotte ascritte all'imputato sono state ritenute tali da integrare più gravi ipotesi di bancarotta fraudolenta, né peraltro comprendendosi come quanto distratto, del quale in realtà risulta essersi persa traccia, avrebbe potuto trovare giustificazione, secondo l'impostazione difensiva, in ragione di una più ampia soddisfazione dei creditori.

Osservazioni

Le conclusioni appena riassunte cui è giunta la Suprema Corte non danno luogo ad alcun particolare novum interpretativo circa le questioni analizzate ai punti 1), 3) e 4) del paragrafo che precede.

In riferimento alla questione concernente la eventuale sussistenza di un caso di bancarotta “riparata”, si impongono invece alcune osservazioni giacché quanto statuito sul punto dalla Suprema Corte nella sentenza in commento appare discutibile.

Il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale si contraddistingue per una diminuzione indebita del patrimonio dell'impresa fallita, individuale o collettiva, cui consegue un nocumento alle ragioni creditorie giacché detto patrimonio ne costituisce garanzia secondo il principio generale di cui all'art. 2740 c.c. La lettera dell'art. 216, comma 1 n. 1) l. fall. peraltro non richiede l'esistenza di un nesso eziologico tra la condotta ed il fallimento, per cui quest'ultimo non costituisce evento del reato; si delinea piuttosto un reato di pericolo concreto in ragione del rilievo attribuito a qualsivoglia condotta che determini un nocumento anche potenziale alle ragioni creditorie.

Nell'analisi della reale dimensione offensiva delle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale si comprende dunque come assuma significato la verifica dell'esistenza di eventuali azioni che, anteriormente alla dichiarazione di fallimento o al decreto di ammissione al concordato preventivo, annullino gli effetti pregiudizievoli delle pregresse condotte che si assumono distrattive tramite una reintegrazione del patrimonio dell'impresa.

Il diverso termine cronologico entro il quale quest'ultima debba avvenire rappresentato dalla dichiarazione di fallimento ovvero dal decreto di ammissione al concordato, tuttavia, non può che riferirsi ai reati di bancarotta la cui condizione obiettiva di punibilità sia costituita da quel fallimento ovvero da quel concordato preventivo ed invero l'azione di carattere restitutorio può determinare l'insussistenza del solo fatto delittuoso derivante dall'accertamento giudiziale dell'insolvenza o dello stato di crisi che costituiscano presupposto di quella contestazione. Ne deriva, quale ulteriore conseguenza, che il riferimento alla soglia cronologica costituita dal decreto di ammissione al concordato preventivo assume significato soltanto in relazione ad imputazioni di bancarotta concordataria ai sensi dell'art. 236, comma 2 n. 1) l. fall. che concernano quella procedura di concordato e non altro, dovendosi compiere il giudizio circa l'offensività del fatto contestato, si ripete, in relazione alla (sola) procedura concorsuale che ne costituisca presupposto quale condizione di punibilità verificatasi. Ed ancora, pur non essendo certo infrequente la “consecuzione” delle procedure di concordato e fallimento discendenti dalla situazione di difficoltà dell'impresa, non è consentito omologarle a tutti gli effetti, a maggior ragione nel caso di specie ove successivamente alla revoca del concordato l'imputato aveva continuato ad amministrare la società per quasi un ulteriore anno prima che sopraggiungesse il fallimento. In tema la Suprema Corte ha più volte sostenuto tra l'altro che, nel caso in cui alla ammissione alla procedura di concordato segua la dichiarazione di fallimento, il termine di prescrizione del reato di bancarotta la cui condizione di punibilità sia costituita dalla sentenza di fallimento decorre da quest'ultima e non già dal precedente decreto di ammissione al concordato (ex multis cfr. Cass., 12 marzo 2014, n. 15712, in CED rv 260220-01).

In ragione di quanto fin qui esposto si comprende dunque come anche la citazione della massima sopra riportata (Cass., 7 luglio 2015, n. 50289, in CED rv 265903-01) meriti migliore contestualizzazione giacché nella fattispecie concreta sottoposta all'attenzione della Corte in quel caso vi era, per l'appunto, proprio una imputazione di bancarotta concordataria per cui certamente poteva sostenersi, nell'occasione, come la restituzione di somme avvenuta dopo il decreto di ammissione a quel concordato fosse incapace di evitare che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisse effettiva concretezza.

Così non è accaduto nel caso di specie ove la condotta restitutoria era avvenuta successivamente al decreto di ammissione ad un concordato preventivo ma anteriormente alla dichiarazione di fallimento di seguito sopraggiunta sulla quale -e non già sul decreto di ammissione al precedente concordato- trovava fondamento la contestazione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con la conseguenza che la restituzione della somma di euro 40.000 meglio avrebbe dovuto essere valutata al fine di verificare se avesse eventualmente avuto effettiva capacità di eccettuarela tipicità dei fatti distrattivi contestati.

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