Contestazione dei crediti in adunanza e raggiungimento delle maggioranze nel concordato con classi

Marco Terenghi
10 Giugno 2020

In sede di approvazione della proposta di concordato preventivo, il momento definitivo per determinare chi siano i soggetti abilitati a votare e quale sia l'entità delle maggioranze necessarie per l'approvazione della proposta coincide con lo svolgimento delle operazioni affidate al giudice delegato nel corso dell'adunanza dei creditori.
Massima

In sede di approvazione della proposta di concordato preventivo, il momento definitivo per determinare chi siano i soggetti abilitati a votare e quale sia l'entità delle maggioranze necessarie per l'approvazione della proposta coincide con lo svolgimento delle operazioni affidate al giudice delegato nel corso dell'adunanza dei creditori. E' quindi preclusa al debitore la possibilità di sollevare per la prima volta la contestazione in ordine ad un credito dinnanzi al tribunale in sede di riesame e verifica dell'esito della votazione, anche laddove l'interesse a contestare sia sorto di fatto successivamente allo svolgimento dell'adunanza dei creditori.

La proposta di concordato preventivo, nel regime introdotto dal D.L. n. 35 del 2005, conv., con modif., dalla L. n. 80 del 2005, è approvata solo se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto e, in caso di suddivisione in classi, anche della maggioranza di queste, in ragione del voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto nel maggior numero di esse, non potendosi distinguere, ai fini della mancanza di un voto favorevole, tra la classe che ha espresso voto contrario e quella che, invece, non ha votato. Va pertanto considerata come respinta la proposta di concordato che, prevedendo l'istituzione di due classi di creditori, sia stata approvata da una sola di esse.

Il caso

Nella vigenza del regime successivo alla L. 7.8.2012, n. 134 ma anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 27.6.2015, n. 83, una società presenta una domanda di concordato preventivo caratterizzata, tra l'altro, dalla formazione di due sole classi di creditori. Nel corso dei venti giorni successivi all'adunanza dei creditori un istituto bancario esprime voto contrario alla proposta, determinando in questo modo il mancato raggiungimento della maggioranza dei crediti e di quella relativa ad una delle due classi. In sede di comparizione dinnanzi al tribunale ai sensi dell'art. 162 l.fall. la società contesta per la prima volta il credito della banca, sollecitando una decisione del collegio sull'inammissibilità di tale voto. Dopo la declaratoria, da parte del tribunale, di inammissibilità della proposta per mancato raggiungimento delle maggioranze e la contestuale dichiarazione di fallimento, la debitrice ricorre alla corte d'appello, che rigetta il reclamo escludendo tanto la sussistenza di un'omissione di pronuncia in ordine alla contestazione del credito, quanto il raggiungimento della maggioranza di classi pur in presenza di un numero pari di esse. La Suprema Corte, con ordinanza in camera di consiglio ex art. 380-bis c.p.c., dichiara inammissibili entrambi i motivi di ricorso presentati dalla società fallita, affermando da un lato che la contestazione del credito ammesso al voto non può venire sollevata dopo lo svolgimento dell'adunanza dei creditori, e dall'altro che, in presenza di due sole classi di creditori, la maggioranza richiesta dall'art. 177 l.fall. presuppone il suo raggiungimento in entrambe le categorie, anche se ciò ne comporta, di fatto, la ricorrenza in tutte le classi istituite.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

La pronuncia della Corte si impernia su due principi che non mancano di suscitare un certo interesse, soprattutto per il loro diretto impatto sulle modalità di strutturazione della proposta concordataria e sulla gestione del relativo procedimento da parte del debitore, in particolare per quanto concerne il comportamento da tenere in adunanza.

L'adunanza dei creditori.

Nell'originario impianto della Legge Fallimentare, l'adunanza dei creditori veniva considerata come uno snodo di importanza centrale all'interno della procedura di concordato preventivo (tra i molti, anche di recente, Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011, 315; Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, 1167 ss.; Ambrosini-Bonfatti-Falcone, Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali - Le altre procedure concorsuali, Torino, 2014, 327). Essa rappresentava, infatti, la sede naturale per la discussione sulla proposta di concordato e per la conseguente formazione, in capo al ceto creditorio, di una volontà collegiale consapevole ed informata, in virtù dell'indispensabile contributo informativo fornito dall'illustrazione della relazione ad opera del commissario giudiziale, destinata in particolar modo ai creditori meno qualificati e “strutturati”, dunque più esposti a subire le conseguenze del principio di maggioranza. Nell'adunanza si condensava quindi una dialettica completa aperta agli organi della procedura ed a tutti i soggetti interessati da quest'ultima (commissario giudiziale, debitore, creditori, pubblico ministero, coobbligati e garanti), ispirata ad un principio di concentrazione processuale che attribuiva al giudice delegato, oltre al potere di direzione dello svolgimento dell'udienza e delle operazioni di voto, anche quello di risolvere immediatamente, ai soli fini della votazione, le contestazioni emerse in ordine alla legittimazione dei vari creditori a parteciparvi (Quatraro-Burchi, La deliberazione e l'omologazione del concordato preventivo, Torino, 2016 – fasc. 17).

A seguito della stagione delle riforme iniziata con il D.L. 14.3.2005, n. 35 (convertito con modificazioni dalla L. 14.5.2005, n. 80), proseguita con il D.Lgs. 12.9.2007, n. 169 e culminata nel D.L. 22.6.2012, n. 83 (convertito con modificazioni dalla L. 7.8.2012, n. 134), la centralità del momento deliberativo è rimasta inalterata (trovando anzi nuova linfa nell'accentuato profilo negoziale impresso all'istituto concordatario), ma il momento più propriamente assembleare intrinseco all'adunanza ha subito un innegabile depotenziamento, rappresentato in modo emblematico dal venir meno del requisito della maggioranza per numero dei votanti e dall'introduzione della regola del cosiddetto “silenzio-assenso” per i creditori non votanti: passaggi questi, interpretati dagli Autori più accreditati come un accrescimento del potere dei grandi creditori “istituzionali” ed una svalutazione del confronto collegiale (si veda in particolare Lamanna, Il civilista, numero speciale 2012; a seguire Fabiani, Corr. Giur. 2012, 1265; Stanghellini, Il Fallimento, 2006, 379; Pajardi-Paluchowski, Codice del fallimento, 2013, 862; Ambrosini, Dir. Fall. 2012, I, 469). Con l'andare del tempo, quindi, le adunanze dei creditori, anche nei concordati di dimensioni più rilevanti (si veda Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011, 495), si sono spesso ridotte a momenti riservati a pochi intimi (gli organi della procedura, il debitore, il P.M. e pochi creditori) e contrassegnati da un carattere perlopiù interlocutorio, in quanto l'attenzione degli interessati, in assenza quasi sempre di proposte concorrenti, si concentrava soprattutto, da un lato, sugli eventuali voti contrari pervenuti in cancelleria nei venti giorni successivi all'adunanza,e correlativamente dall'altro sulle iniziative di convincimento e persuasione attuate in modo bilaterale dal debitore nei confronti dei creditori più rilevanti quanto ad esposizione.

La tendenza “controriformistica” di riaffermazione del momento di eteronomiastatuale sugli aspetti più privatistici el concordato (fondamentale l'analisi di F. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento, Parte II: le modifiche riguardanti il concordato preventivo. “Proposte/piani” ed “offerte” concorrenti, in questo Portale, 2015; Lamanna, La Legge Fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, in Il Civilista, 2015; Greggio, La possibilità di modifica del voto nei 20 giorni successivi all'adunanza dei creditori nel concordato preventivo, in FallimentieSocietà.it, 2016, 3), culminata nel D.L. 27.6.2015, n. 83 (convertito con modificazioni dalla L. 6.8.2015, n. 132), come noto, ha portato tra l'altro ad un rovesciamento del principio del silenzio-assenso attraverso il ripristino della necessità di un consenso palese, facendo orientare la ciclica oscillazione del pendolo nomotetico secondo una direttrice evidentemente dissuasiva rispetto all'utilizzo dello strumento concordatario, quantomeno nella sua declinazione liquidatoria, laddove ha (re)istituito il requisito delle percentuale minima garantita e la necessità dell'apporto finanziario esterno. Il principale punto di tangenza tra la c.d. “miniriforma” ed il momento di aggregazione collettiva dei creditori radunati in assemblea, tuttavia, è risultato essere, almeno indirettamente, l'introduzione delle proposte concorrenti, poiché è proprio durante l'adunanza che queste ultime vengono illustrate dal commissario giudiziale e sottoposte all'approvazione dei presenti (art. 175, commi 2 e 4). Il rinvigorimento che la presenza di più proponenti in competizione avrebbe potuto instillare nella fase ormai asfittica dell'adunanza è rimasto peraltro più sperato che effettivo, a causa della scarsissima frequenza di proposte concorrenti registrata all'interno delle procedure concordatarie. Moderate aspettative erano state riposte nel D.L. 3.5.2016, n. 59 (convertito con modificazioni nella L. 30.6.2016, n. 119), introduttivo della modalità telematica quale possibile forma di svolgimento dell'adunanza (art. 175, comma 2), il quale faceva prevedere una più ampia, ordinata ed efficiente partecipazione da parte dei creditori, a beneficio di tutti i portatori di un interesse correlato alla procedura, ma anche in questo caso l'incidenza concreta della novità si è rivelata statisticamente irrilevante.

Lo scarso successo dei tentativi di rivitalizzare l'istituto dell'adunanza, da un lato, e la crescente esigenza di semplificare i principali passaggi della procedura concordataria” (così la “Relazione allo schema di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali presentata il 29.12.2015 dalla “Commissione Rordorf”, pag. 20), dall'altro, hanno quindi posto fine all'accanimento terapeutico normativo nei confronti dell'adunanza, decretandone la scomparsa già nello “Schema del disegno di legge-delega” del 29.12.2015 (art. 6 – lett. g), e recependone in modo espresso la soppressione all'art. 6, comma 1., lett. f) della Legge-Delega 19.10.2017, n. 155, previa regolamentazione delle modalità telematiche per l'esercizio del voto e la formazione del contraddittorio sulle richieste delle parti”; soppressione salutata con un certo rammarico da chi, pur consapevole dei limiti applicativi dell'istituto, vedeva in questo modo la deliberazione sul concordato privata del dibattito tra i creditori, non senza adombrare nel contempo il rischio di una perdita dell'immediata consapevolezza della situazione economico-finanziaria dell'impresa e, parallelamente, quello di una facilitazione di possibili manovre del debitore dirette ad occultare fatti e comportamenti pregiudizievoli (Lo Cascio, La nuova legge delega sulle procedure concorsuali tra diritto ed economia, Il Fallimento, 2017, 1258).

Il D.Lgs. 12.1.2019, n. 14 (“Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”) ha quindi dato piena attuazione alla Legge Delega, espungendo in via definitiva l'adunanza dall'iter procedimentale del concordato con una previsione la cui portata viene descritta come del tutto innovativa” dalla Relazione Illustrativa. Quest'ultima ha modo di precisare che, venuto meno il luogo “fisico” tradizionalmente “deputato a discutere della proposta di concordato ed a consentire ai creditori di chiedere chiarimenti e fare le loro osservazioni, l'art. 107 del CCII va ormai a disciplinare, attraverso il ricorso allo strumento del contraddittorio telematico, le modalità di interlocuzione tra commissario giudiziale, debitore, eventuali proponenti concorrenti e creditori, nonché di voto da parte di questi ultimi.

L'ammissione al voto e la contestazione dei crediti.

Come noto, nell'ambito del concordato preventivo non ha luogo una verifica sostanziale e giudiziale dei crediti, contrariamente a quanto accade per l'ammissione al passivo nella procedura fallimentare, bensì un ricognizione di natura sostanzialmente “gestionale-amministrativa”, diretta non già ad accertare l'esistenza e la misura di ciascun credito, ma a determinare quali creditori abbiano diritto a partecipare alla deliberazione sulla proposta concordataria (tra le molte e più recenti Cass. 21.12.2018, n. 33345; Cass. 13.6.2018, n. 15495), restando impregiudicata ogni decisione sull'an, sul quantum e sul rango del credito, da pronunciarsi in sede di cognizione ordinaria nel giudizio che, eventualmente, il creditore rimane libero di proporre nei confronti del debitore, o viceversa(ovviamente, l'eventuale inclusione,da parte del debitore, di un soggetto all'interno dell'elenco dei creditori può costituire un riconoscimento dell'obbligazione e produrre quindi gli effetti tipici dell'ammissione nel giudizio ordinario).

Questo tipo di “accertamento” concordatario prende le mosse dall'elenco dei creditori che il debitore, ai sensi dell'art. 161, comma 2, lett. b), ha l'obbligo di depositare insieme al ricorso contenente la domanda di ammissione al concordato. Il commissario giudiziale, sulla scorta delle scritture contabili dell'imprenditore proponente, procede all'esame della varie ragioni creditorie (art. 171 l.fall.) apportandovi le necessarie “rettifiche”, generalmente intese come correzioni di eventuali errori materiali o aggiornamenti dell'elenco dei creditori in base alle risultanze della contabilità, al fine di stabilire, quantomeno in prima approssimazione, quali soggetti abbiano il potere di partecipare alla deliberazione di concordato (Maffei Alberti, Commentario breve, cit., artt. 172 ss.).

Dopo questo controllo iniziale di carattere preliminare, un altro più approfondito viene attuato nel corso dell'adunanza prevista dagli artt. 174 e segg. l.fall. per la deliberazione sulla proposta di concordato, dove il giudice delegato, alla presenza del debitore, del commissario giudiziale e dei creditori concorrenti, procede all'accertamento della sussistenza, dell'entità e della natura di crediti ai fini del voto e del calcolo delle maggioranze. Lo scrutinio dei crediti condotto dal g.d. ha quindi natura esclusivamente amministrativa e non sostanziale, in quanto viene attuato all'unico scopo di ammettere un creditore al voto e di computare il raggiungimento delle maggioranze, senza che esso possa in alcun modo pregiudicare le pronunce definitive sulla sussistenza dei crediti stessi, e senza che, secondo una tesi, la richiesta di ammissione del credito in sede di adunanza determini un effetto interruttivo della prescrizione (così Quatraro-Burchi, cit.).

Si tratta, infatti, di una delibazione meramente incidentale e sommaria, basata su un'istruttoria di natura esclusivamente documentale inidonea alla formazione di un giudicato, dove il potere del giudice delegato in ordine all'ammissione o all'esclusione di uno o più crediti, secondo l'opinione predominante, può venire esercitato d'ufficio, e non solo dietro la sollecitazione o la contestazione di una parte (debitore, creditore), come spesso accade ogniqualvolta il commissario giudiziale giunga a prospettare questioni problematiche in ordine all'esistenza o all'ammontare del credito, oltreché alla ricorrenza di cause di prelazione (Nardecchia, Esercizio di voto, poteri del g.d. e criteri di formazione delle maggioranze nel concordato preventivo, in Fallimento, 2008, 348). In caso di contestazione di un credito, quindi, l'eventuale sua ammissione totale o parziale alla votazione, previa verifica della legittimazione del titolare, ha natura rigorosamente provvisoria, così come la sua esclusione, tanto che il relativo provvedimento reiettivo emesso in adunanza dal giudice delegato, modificabile o revocabile da quest'ultimo sino alla chiusura delle operazioni di voto, non è ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto privo dei caratteri di decisorietà e della definitività (tra le più recenti Cass. 21.11.2019, n. 30456; Cass. 14.1.2019, n. 641).

Se è vero, quindi, che sono le operazioni affidate al giudice delegato in sede di adunanza a rappresentare il momento cruciale per individuare i soggetti legittimati a votare, e quindi determinare l'entità delle maggioranze necessarie per l'approvazione della proposta, è altrettanto evidente che “l''attività demandata al giudice delegato alla procedura rispetto all'ammissione al voto si risolve in un mero accertamento ricognitivo, in senso favorevole o sfavorevole, privo di incidenza su diritti soggettivi, precario e prodromico all'ulteriore sviluppo della procedura, nel corso della quale la parte eventualmente pregiudicata (sia essa il creditore escluso o il debitore che abbia visto disattese le proprie contestazioni sull'ammissione al voto del creditore) potrà far valere le proprie doglianze in merito alla decisione che ha segnato in maniera rilevante le sorti del concordato (il primo tramite l'opposizione, se il suo voto ha assunto rilievo ai fini dell'omologa, il secondo tramite le impugnazioni esperibili avverso la statuizione assunta a conclusione del giudizio)” (così Cass. 21.11.2019, n. 30456).

Le decisioni adottate dal giudice delegato ai sensi dell'art. 176, comma 1, l.fall. e, più in generale, le modalità di svolgimento delle operazioni di voto, sono soggette ad un riesame da parte del tribunale in sede di verifica dell'esito della votazione, che costituisce un accertamento preliminare indispensabile rispetto all'omologazione, indipendentemente dall'esistenza o meno di opposizioni. Si tratta, come rivela l'art. 180, comma 3, l.fall., di un controllo di natura officiosa, dove il provvedimento di esclusione dal voto, o di ammissione parziale, del creditore contestato viene scrutinato anche laddove quest'ultimo non intenda opporsi formalmente all'omologa, dovendo il collegio esprimersi in ordine alla regolarità della procedura ed all'esito della votazione (Nardecchia, cit., 350).

Ovviamente, i creditori non ammessi al voto in occasione dell'adunanza possono opporsi tout court all'esclusione costituendosi nel giudizio di omologazione del concordato ai sensi dell'art. 176, comma 2 l.fall. (Zanichelli, I concordati giudiziali, Padova, 2010, 243), laddove la loro ammissione avrebbe influito sulla formazione delle maggioranze dei crediti ammessi al voto, e ciò anche nella classe di appartenenza qualora il ceto creditorio sia stato classato in sede di proposta (c.d. "prova di resistenza", che in quest'ultimo caso diviene più complessa: Pajardi-Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 864). Correlativamente, e sotto un distinto profilo, non è precluso ai creditori esclusi dal voto l'esercizio delle azioni di accertamento e di condanna in sede ordinaria, e ciò anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione (Cass. 30.3.2005, n. 6672).

In estrema sintesi, la progressione che caratterizza l'iter accertativo dei crediti nell'ambito del procedimento concordatario può venire efficacemente riassunta attraverso la scansione che ne ha di recente puntualizzato la Corte di Cassazione: “ai fini del voto, i crediti restano accertati così come indicati dal debitore, in caso di mancanza di rettifiche o contestazioni; ovvero così come rettificati dal commissario giudiziale, in caso di mancanza di contestazioni; ovvero, infine, così come accertati dal giudice delegato, risolvendo le contestazioni sorte in sede di adunanza (così Cass. 26.10.2018, n. 27302, in questo Portale, 29.10.2018; Cass. 1.6.2016, n. 11403).

Le classi e le maggioranze.

E' opinione largamente condivisa quella che vede nella possibilità di suddivisione dei creditori in classi (art. 160, comma 1, lett. c) uno strumento per agevolare il tentativo del debitore di raggiungere il consenso necessario al raggiungimento dell'omologa (per tutti Lo Cascio, Classi di creditori e principio di maggioranza nel concordato preventivo, Il Fallimento, 2010, 385, dove ulteriori riferimenti).Ciò avviene attraverso l'introduzione di una parziale deroga al principio generale previsto dall'art. 2741 c.c., poiché attraverso le classi il proponente è abilitato ad offrire un trattamento differenziato a creditori che, applicando in modo rigido il principio della par condicio, avrebbero invece diritto ad essere trattati in modo eguale tra loro (Bozza, Formazione delle classi e alterabilità delle gradazioni legislative, n Il Fallimento, 2009, 423; si veda anche la Bussola di Jeantet-Vallino, Classi e categorie di creditori, in questo portale). Viene così consentita una “distribuzione asimmetrica” (Fabiani-Carmelino, Il concordato preventivo, in Le riforme delle procedure concorsuali, a cura di Didone, Milano, 2016, 1690 ss.) delle risorse provenienti dal patrimonio del debitore inteso come “garanzia generica” ai sensi dell'art. 2740 c.c., funzionale al modello concordatario in sé considerato quale strumento di risanamento dell'impresa, il cui raggiungimento viene ritenuto quale obiettivo prevalente rispetto all'integrale riaffermazione della parità di trattamento dei creditori, o comunque tale da richiedere un parziale sacrificio di quest'ultima.

Da un punto di vista sostanziale, la giustificazione delle classi scaturisce dalla consapevolezza del fatto per cui il ceto creditorio racchiude in sé una serie di situazioni tra loro disomogenee e non sovrapponibili a quelle normalmente regolate dall'ordine dei privilegi, poiché rivenienti non tanto dall'astratta posizione giuridica degli interessati, quanto dai concreti interessi economici di questi ultimi, insuscettibili di una classificazione sistematica (Rolfi, Sui criteri di formazione delle classi nel concordato preventivo, in Il Fallimento, 2018, 1420). Da qui la prescrizione normativa che richiede, all'interno delle classi, “posizione giuridica ed interessi economici omogenei”, anche al fine di evitare possibili strumentalizzazioni del classamento in funzione di una “inertizzazione” dei creditori più problematici attraverso la loro riconduzione ad una classe “unitaria” non per omogeneità di posizione, ma per il denominatore comune rappresentato dallo loro prevedibile riottosità nei confronti della proposta. Se, quindi, la facoltà di prospettare trattamenti differenziati consente al debitore di intercettare con maggior facilità ed in modo più “mirato” l'approvazione delle varie categorie che vanno a comporre il novero dei destinatari della proposta, essa non può tuttavia venire attuata in modo da privare il creditore classato del potere di concorrere, insieme ai suoi “simili”, nella selezione delle modalità attraverso le quali si realizzano le sorti dell'impresa debitrice in sede concordataria. In questo senso, il principio maggioritario all'interno della classe, idoneo a giustificare la deroga alla par condicio, ha senso e cogenza solo nella misura in cui costituisce l'espressione di una pluralità di soggetti realmente omologhi tra loro, e viene quindi declinato in modo conforme all'obbiettivo del loro miglior soddisfacimento (Patti, Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo? in Il Fallimento, 2013, 1105).

Questo è dunque il terreno in cui devono necessariamente misurarsi e coesistere, senza arrivare al contrasto insanabile, l'esigenza di (relativa) protezione dei creditori inseriti nelle varie classi e l'interesse dell'imprenditore ad articolare queste ultime in modo da catturare il maggior numero possibile di consensi, attraverso la strutturazione di categorie ontologicamente coerenti ma al tempo stesso di agevole gestione concreta sotto il profilo del numero e della tipologia, secondo linee-guida venutesi nel tempo a coagulare quale emersione delle best practices del settore.

Il principio maggioritario trova una logica proiezione anche all'esterno della singola classe, poiché l'approvazione della proposta concordataria passa necessariamente attraverso il consenso di un numero di classi tale da rappresentare la maggiorità di queste ultime. La ratio del classamento, infatti, si esprime anche nella non infrequente ipotesi in cui la proposta riceva il voto favorevole dei creditori rappresentanti la maggioranza dei crediti ammessi, ma il concordato non venga approvato poiché analoga maggioranza non è stata raggiunta nel maggior numero di classi: si tratta, per quanto brevemente visto, di una ben precisa scelta normativa ispirata dalla volontà di presidiare la posizione di quei creditori che, collocati in classi separate,risultano assoggettati alla possibilità di venire interessati dalla proposta concordataria in modo differenziato rispetto agli altri.

Scelta normativa che, per quanto non certo esplicita nel prevedere ipotesi di classamento obbligatorio (anzi leggibile prima facie in senso diametralmente opposto, stante il tenore letterale dell'art. 160, lett. c), l.fall.), ha finito per orientare alcuni interpreti proprio nel senso di ravvisarne gli estremi, giungendo a predicare l'imperatività della suddivisione in classi ogniqualvolta, al di là del trattamento loro offerto (che può anche essere il medesimo pur in presenza di classi differenti), i destinatari della proposta siano in concreto portatori di interessi tra loro così divergenti da poter trovare sintesi e tutela solo nell'alveo di una dinamica maggioritaria attuata all'interno di categorie informate alla “prossimità sostanziale” (per tutti Fabiani, Brevi riflessioni su omogeneità degli interessi e ed obbligatorietà delle classi nei concordati, in Il Fallimento, 2009, 437; Rolfi, Sui criteri, cit., 1424). Quasi superfluo, oggi, aggiungere che il grado di persuasività riconducibile a questo tipo di lettura ha trovato precisa rispondenza dapprima nella Legge Delega 15.10.2017, n. 155, e successivamente nel CCII, il cui art. 85, pur ribadendo la regola generale della suddivisione in classi come “eventuale”, tipizza una serie di classi obbligatorie quali i creditori fiscali e previdenziali non integralmente soddisfatti, quelli portatori di garanzie collaterali, quelli tacitati anche solo parzialmente con utilità diverse dal denaro e quelli proponenti il concordato (insieme alle parti ad essi correlate).

La valenza “intercategoriale” del principio di maggioranza nella proposta caratterizzata dalla ripartizione in classi del ceto creditorio trova espressione nell'art. 177, comma 1, primi due periodi, a mente del quale “Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi”. Il significato della norma, reso palese dal suo poco equivocabile tenore letterale, esprime la necessità che venga raggiunta non solo la maggioranza assoluta dei crediti ammessi al voto con riferimento all'intero plateau dei crediti concordatari, ma anche la maggioranza all'interno del maggior numero di classi, vale a dire che nell'ambito della maggioranza delle classi i voti favorevoli devono rappresentare più del 50% dei crediti ammessi al voto ed inseriti in ciascuna classe. Ciò equivale a dire, in altre parole, che le classi in cui si raggiunge la maggioranza dei crediti ammessi al voto devono risultare in numero superiore rispetto a quelle in cui tale maggioranza non viene raggiunta, pena la mancata approvazione della proposta di concordato: si tratta di un principio ovvio, che una volta di più risponde all'esigenza di vincolare i creditori dissenzienti rispetto all'offerta concordataria solo in presenza di una prevalente volontà in senso contrario, ottenuta attraverso il susseguirsi di scansioni procedimentali formalmente ineccepibili fondate su presupposti sostanziali altrettanto rigorosi ed orientati al miglior soddisfacimento del ceto creditorio.

Osservazioni

Alla luce della rapida panoramica di cui sopra, risulta evidente come i temi affrontati con grande precisione dalla pronuncia in commento vadano a collocarsi in un territorio particolarmente nevralgico per la corretta configurazione della proposta e l'avveduta conduzione del procedimento concordatario ad opera dell'imprenditore in crisi.

a) La contestazione dei crediti da parte del debitore.

Per quanto si evince dall'art. 175 l.fall., l'adunanza rappresenta dunque il momento istituzionalmente riservato tanto al debitore, quanto agli stessi creditori, per la contestazione dei crediti concorrenti, sia relativamente all'all'an ed al quantum, sia nel rango, sia nel diritto di partecipazione alla votazione. Si tratta, nella sostanza, di una contestazione priva di carattere formale, espressa perlopiù oralmente e messa a verbale dal g.d., diretta ad instaurare l'eventuale contraddittorio con il soggetto contestato, che ammette l'adduzione di prove soprattutto documentali e comunque non di lunga indagine, laddove si intenda dare ingresso a quelle costituende.

Tuttavia, mentre per i creditori l'adunanza costituisce l'unico momento in ambito concordatario dove poter oppugnare in contraddittorio le ragioni vantate dai concorrenti, per il debitore essa rappresenta solo una delle sedi in cui gli viene accordata la possibilità di contrapporsi ad una pretesa creditoria altrui (Cass. 7.3.2017, n. 5689). Egli, infatti, può anzitutto non includere il creditore nell'elenco allegato alla domanda di concordato previsto dall'art. 161, comma 2, lett. b), l.fall., promuovendo contestualmente un giudizio ordinario di accertamento negativo del relativo credito, onde evitare che possa altrimenti configurarsi una causa di revoca dell'ammissione ai sensi dell'art. 173 l.fall.. Ancora, il debitore può formalizzare la contestazione al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo, inserendo il credito tra quelli contestati (se del caso previa creazione di un'apposita classe) ed indicando i motivi dell'opposizione "con l'analisi e la prospettazione delle eventualità di successo delle contestazioni e l'indicazione della misura di soddisfo", onde informare adeguatamente i creditori e consentire loro di esprimere, in adunanza, un voto cosciente e meditato (Cass., 26.7.2012, n. 13294).

Infine, lo svolgimento dell'adunanza rappresenta per il proponente l'ultima occasione di contestare il credito ai fini della votazione e del conseguente raggiungimento delle maggioranze, poiché va escluso che la contestazione possa venire sollevata per la prima volta davanti al collegio in sede di riesame. Ciò non tanto (o non solo) perché, in un'ottica ricostruttiva strettamente privatistica del rapporto tra debitore e creditore contestato, la mancata opposizione in adunanza equivale a riconoscimento di debito, impugnabile solo per vizi della volontà, incapacità o nullità, quanto perché essa influisce sulla regolarità stessa della procedura in rapporto all'art. 180 l.fall., come la pronuncia in commento chiaramente afferma. Il principio fondamentale enunciato da quest'ultima, infatti, prende spunto da una precisa considerazione di base: la facoltà di contestazione dei crediti che l'art. 175 l.fall. attribuisce al debitore non riveste tanto una funzione strettamente pertinente alla dialettica bilaterale tra creditore contestato e proponente, ma si correla in modo diretto all'interesse della massa dei creditori ad un'esatta rappresentazione della situazione debitoria concordataria. In particolare, il potere di contestare concretizza l'occasione di attivare un sub-procedimento come quello previsto dall'art. 176 l.fall., il cui esito può modificare non tanto il rapporto intersoggettivo di debito-credito, quanto la rappresentazione contabile emergente dal piano o dalle rettifiche del commissario giudiziale, e come tale è suscettibile di configurare, prima dell'inizio delle operazioni di voto, un differente assetto, qualitativo o quantitativo, della massa creditoria di riferimento ammessa alla votazione. In quest'ottica, la parentesi procedimentale di cui all'art. 176 l.fall. si inserisce a tutti gli effetti nel percorso che conduce all'organizzazione dell'adunanza dei creditori ed integra gli adempimenti prescritti dall'art. 175 l.fall. per un'adeguata preparazione alla consapevole espressione del voto in adunanza.

Alla luce del profilo pubblicistico che necessariamente vi è sotteso, di conseguenza, la facoltà di contestazione non va ricostruita come una prerogativa esercitabile dal debitore a seconda dell'opportunità concretamente ravvisata nel singolo caso, e modulabile in relazione all'atteggiamento di volta in volta tenuto da un determinato creditore (come accadeva, tipicamente, in regime di “silenzio-assenso”, quando l'apparente disinteresse del creditore stesso rappresentava in genere una buona notizia per il proponente). Al contrario, essa si configura come un vero e proprio onere, a carico del proponente, di contestare la pretesa al più tardi nel corso dell'adunanza dei creditori, anche laddove il creditore titolare di quest'ultima non abbia votato e sia stato ritenuto consenziente (in virtù della disciplina applicabile prima della “miniriforma” del 2015), o anche qualora egli preveda (infondatamente) che il creditore medesimo esprimerà un voto favorevole nei venti giorni successivi all'adunanza. Alla luce di ciò, la contestazione non può dunque venire sollevata per la prima volta dinnanzi al tribunale in sede di riesame, in quanto il suo concretizzarsi dopo l'adunanza avrebbe il potenziale effetto di inficiare ex post una situazione numerico-contabile sulla quale gli altri creditori hanno tempestivamente formato il proprio consenso (o dissenso) nella sede rituale a ciò deputata.

Una ricostruzione in termini anche “pubblicistici” dell'interesse sotteso alla facoltà di contestazione, dunque, sconsiglia la possibile adozione da parte del proponente di comportamenti opportunistici (intesi come modalità di perseguimento di obiettivi strategici legate all'opportunità scaturita dalla fattispecie concreta), come può accadere nel caso in cui il debitore abbia deciso di non contestare in adunanza, presumendone il mancato voto anche successivamente, il credito di un soggetto non comparso che tuttavia, entro i venti giorni successivi, finisca poi per votare contro la proposta di concordato.

b) La maggioranza delle classi.

Il tema della maggioranza di classi presenta delle connotazioni peculiari ogniqualvolta nella proposta sia prevista l'istituzione di un numero pari di esse, e ciò sulla base dell'ovvia ragione per cui, in questo caso, per assicurarsi la maggioranza richiesta dall'art. 177 l.fall. il debitore ha necessità di acquisire un'unità in più rispetto a quelle normalmente necessarie in caso di numero dispari (tre su quattro; quattro su sei, e così via). Da ciò deriva, necessariamente, che se il piano concordatario presenta un numero pari di classi, la maggioranza non potrà ritenersi raggiunta laddove aderisca alla proposta concordataria soltanto la metà delle stesse (Vitiello, Il concordato preventivo con classi nella prospettiva liquidatoria e nella prospettiva del risanamento, in questo portale; Bersani, Il concordato preventivo: giudizi di fattibilità, formazione delle “classi dei creditori”, transazione fiscale, Milano, 2012, 290). Per questo motivo, onde evitare il rischio di provocare la paralisi del meccanismo dell'approvazione o di precludersi addirittura il raggiungimento della maggioranza, nel caso di suddivisione dei creditori in classi viene suggerita in concreto la creazione di queste ultime in numero dispari (Memento Pratico, Milano 2014; De Matteis-Graziano, Manuale del concordato preventivo, Rimini, 2013, 261. Sul punto App. Bologna 27.1.2006, inedita, e Trib. Milano 9.2.2007, secondo cui il giudice di merito non può sindacare, tra l'altro, il numero delle classi).

Problemi ancora maggiori suscita l'istituzione di due sole classi di creditori, poiché in questo caso il concetto di “maggioranza” finisce per sovrapporsi a quello di “unanimità”, con la conseguenza per cui un eventuale risultato paritario del voto per classi determina il mancato raggiungimento della maggioranza. La pronuncia della Suprema Corte in commento esprime tale (intuitivo) principio in modo inequivocabile, richiamando un proprio precedente (erroneamente menzionato come “Cass. 10819/2018”, quando in realtà si tratta di Cass. 26.5.2016, n. 10819) dove l'omologazione era stata negata a fronte della formazione di quattro classi, di cui due erano risultate favorevoli, una dissenziente e la quarta (formata dai creditori tributari e previdenziali) non aveva fatto registrare voti, astenendosi (questo prima della L. n. 134/2012).

In quel caso, nel ricercare validazioni normative circa la correttezza della propria conclusione, la Corte aveva rintracciato una “risolutiva conferma” ex post proprio nell'evoluzione del testo dell'art. 177 l.fall., la cui attuale formulazione sarebbe stata novellata rispetto a quella previgente (secondo cui “ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto nella classe medesima”) con la specifica finalità di fugare ogni dubbio in ordine al proprio significato, e non certo con lo scopo di “dar luogo ad un'inversione di marcia, del che non emerge alcun indizio”.

Per tornare brevemente, quindi, all'impatto che il principio enunciato dalla Corte può determinare nell'ambito del sistema di cautele ed accortezze tipicamente proprie dell'advisor incaricato di configurare una proposta concordataria caratterizzata dalla presenza di classi, non rimane che citare conclusivamente le parole di un Autore sempre assai espressivo, oltreché lucidissimo, secondo cui “la configurazione di due classi, è soluzione operativa che sfiora il demenziale, ed in misura minore anche la configurazione di un numero pari di classi; eppure non vi è un divieto normativo di strutturare il numero delle classi in modo da porsi nell'impossibilità (o nella grave difficoltà) di conseguire la maggioranza delle stesse” (Galletti, Classi obbligatorie? No, grazie!, in Giur. comm. 2010, 358).

Minimi riferimenti normativi e giurisprudenziali

Per ragioni di comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto preferibile inserire i riferimenti giurisprudenziali e dottrinali direttamente all'interno del commento.

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