Lo sfruttamento di manodopera nell'epoca delle piattaforme digitali
10 Giugno 2020
Il caso
Lo scorso 27 maggio 2020 il Tribunale di Milano – Sezione Autonoma Misure di Prevenzione con il decreto n. 9 del 2020 ha disposto l'amministrazione giudiziaria, ai sensi del comma 1 dell'art. 34, d.lgs. n. 159 del 2011 come sostituito dalla l. n. 161 del 2017, nei confronti di Uber Italy s.r.l., sussistendo specifici indizi per ritenere che la società abbia carattere ausiliario e agevolatorio rispetto all'attività svolta dalla Flash Road City (ovvero FRC s.r.l.), quest'ultima sottoposta a procedimento penale per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ex art. 603-bis, c.p.
In particolare, il 31 maggio 2018 la FRC stipula con la Uber Portier B.V., società con sede in Olanda facente parte della “galassia Uber”, un contratto di “prestazione di servizi tecnologici” avente ad oggetto l'utilizzo della piattaforma fornita dal colosso americano da parte dei riders che collaboreranno con la Flash Road City, anche identificata talvolta come “Uber Flash”.
Uber opera in Italia nel settore del food delivery mediante Uber Italy s.r.l., la quale su Milano affida le consegne a due società di logistica, tra cui appunto la FRC, cui demanda in particolare il servizio di consegna dei panini di MC Donald's, con cui Uber ha stipulato una collaborazione a livello globale.
Orbene, l'accusa mossa dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano nei confronti della FRC s.r.l. è quella di aver lucrato su un abbattimento abnorme del costo del lavoro a danno dei lavoratori, scelti in aree di particolare fragilità soggettiva e sociale, in quanto provenienti da Paesi territorio di conflitti civili e razziali, richiedenti asilo politico e dimoranti, e dunque approfittando del loro stato di bisogno per imporre un regime di sopraffazione retributivo e trattamentale, in chiara violazione di tutte le norme in tema di lavoro autonomo, gestendo di fatto un rapporto di lavoro subordinato alterato.
Dalle indagini è poi emerso come Uber International Holding P.V. nelle sue diverse articolazioni giuridiche e di fatto italiane quali Uber Italy s.r.l. e Uber Eats Italy s.r.l., in particolare per il tramite di alcuni manager apicali, fosse pienamente consapevole delle modalità entro le quali operava la FRC S.r.l, e l'avesse anzi agevolata, quantomeno sotto un profilo di omesso controllo.
Nel decreto in commento i giudici hanno avuto cura di precisare come detta misura, dal punto di vista oggettivo, non presupponga né che l'attività agevolata abbia carattere illecito, essendo sufficiente che il soggetto agevolato sia anche solo proposto per una misura di prevenzione o sottoposto a procedimento penale, né che l'attività economica avente carattere agevolatorio venga esercitata con modalità illecite, richiedendosi solo che tale attività, seppur esercitata con modalità lecite, abbia offerto un contributo agevolatore. D'altra parte, osserva il Tribunale, l'amministrazione giudiziaria è istituto che si caratterizza per una finalità preventiva più che repressiva, e cioè orientata non a punire l'imprenditore che sia intraneo all'associazione criminale, quanto piuttosto a contrastare la contaminazione antigiuridica di imprese sane, sottoponendole a controllo giudiziario, con l'obiettivo di sottrarle quanto prima all'infiltrazione criminale e restituirle al libero mercato depurate degli elementi inquinanti.
Tant'è vero che sotto il profilo soggettivo, ai fini dell'applicazione della predetta misura, non è necessaria una condotta dolosa, essendo sufficiente una condotta colposa, e quindi negligente, imprudente o imperita rispetto alle normali regole di buona amministrazione imprenditoriale che si sia data (ad esempio un codice etico) o che costituiscano norme di comportamento esigibili sul piano della legalità da un soggetto che opera ad un livello medio – alto nel settore degli appalti di opere e/o servizi. Le questioni giuridiche
Dall'ampio materiale probatorio raccolto e riportato nel corpo del decreto, emergono molti elementi che sconfessano del tutto l'idea secondo cui i cosiddetti gig-worker rendano dei “lavoretti” per il piacere di farlo (il termine “gig” nella sua accezione più tradizionale vorrebbe fare riferimento ad un'attività svolta a scopo ludico, per hobby), e che mettono nuovamente in discussione gli approdi cui era giunta la giurisprudenza in riferimento ai riders di Foodora.
Potrebbe obiettarsi a questo punto che quella dei riders di Uber sia una fattispecie puramente patologica dalla quale non possano trarsi regole valevoli per la generalità dei platform worker, purtuttavia non è da escludere, a parere di chi scrive, che le condizioni contrattuali descritte nel decreto possano accomunare anche i lavoratori di altre piattaforme digitali e che vengano a trovarsi per diverse ragioni in analoghe condizioni di debolezza contrattuale, inoltre, vale la pena soffermarsi sulle modalità entro le quali il gestore della piattaforma riesca a strumentalizzare quest'ultima per “punire” il lavoratore, ad esempio bloccandogli l'account, oppure per imporgli determinati turni di lavoro ed impedirgli invece la possibilità di lavorare in fasce orarie considerate meno redditizie, privandolo in questo modo di quella libertà di scegliere se e quando lavorare, che pure dovrebbe costituire uno dei corollari della gig-economy. La debolezza contrattuale del riders
Primo elemento valorizzato dai giudici di Milano per configurare il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro riguarda la particolare condizione di bisogno in cui si trovavano i riders reclutati dalla FRC s.r.l.
In realtà già in riferimento al tema della qualificazione giuridica dei ciclo-fattorini di Foodora, la dottrina aveva osservato come una valutazione della fattispecie nella prospettiva della dipendenza economica sostanziale avrebbe probabilmente condotto i giudici di Torino a determinarsi per la qualificazione del loro rapporto di lavoro come subordinato. A questo proposito veniva richiamata la prima sentenza sul caso dei pony express emessa nel 1986 dal Pretore di Milano, il quale partendo dalla constatazione per cui, nel caso sottoposto alla sua cognizione, la prestazione lavorativa di fatto aveva avuto carattere continuativo ed il lavoratore aveva risposto a tutte le chiamate della centrale, essendovi indotto dalla esigenza di guadagnare il necessario per vivere, si era determinato per il riconoscimento della natura subordinata della prestazione lavorativa.
Ora dal materiale probatorio sottoposto all'esame della Sezione Autonoma Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano emerge una situazione drammatica, in cui la FRC s.r.l. reclutava appositamente migranti richiedenti asilo, per lo più dimoranti presso centri di accoglienza straordinaria, che si trovavano in condizioni di vulnerabilità sociale tale da poter richiedere un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Come ha avuto modo di osservare il Tribunale, si tratta di persone provenienti da zone conflittuali del pianeta “La cui vulnerabilità è segnata da anni di guerre e povertà alimentare e lontananza dai propri familiari. Il forte isolamento sociale in cui vivono questi lavoratori immigrati offre l'opportunità di reperire lavoro a bassissimo costo poiché si tratta di persone disposte a tutto per avere i soldi per sopravvivere”.
Ben consapevole dello stato di bisogno in cui si trovavano i riders reclutati, la FRC s.r.l. imponeva loro una retribuzione a cottimo “puro”, quindi senza una base minima garantita, pari a 3 euro a consegna, indipendentemente dalla distanza percorsa, dalla fascia oraria e dalle condizioni meteorologiche. La società aveva poi premura di precisare agli ignari riders di non fare affidamento sui maggiori importi visualizzati sulla app in quanto a suo dire errati, ed avvertiva piuttosto i fattorini con messaggi WhatsApp di non muovere recriminazioni in merito ai pagamenti perché “Non potranno continuare a lavorare tutte le persone che non hanno capito, dopo moltissime spiegazioni, come funzionano i pagamenti (siamo stanchi di essere infastiditi dai messaggi di chi sostiene falsamente di non avere ricevuto i soldi)”.
Dalle somme dovute ai riders, calcolate sul numero di consegne effettuate, venivano poi decurtati taluni importi definiti “malus”, cioè penalità applicate ai compensi qualora i fattorini non si fossero attenuti alle disposizioni impartite. In particolare, se la percentuale di accettazione fosse stata inferiore al 95%, sarebbe stata applicata una penale di € 0,50 per ogni consegna, invece se la percentuale di accettazione fosse stata superiore al 5%, sarebbe stata applicata una penale di € 0,50 per ogni consegna.
Ai compensi veniva altresì sottratta la somma di € 80 in caso di perdita o rottura della borsa di lavoro, mentre per quanto riguardava le mance, stando alle dichiarazioni dei riders: “Funzionava così: se il cliente me le consegnava direttamente in fase di consegna, in contanti, quelle erano direttamente per me e le mettevo in tasca; se, invece, tali mance erano versate sull'applicazione, queste venivano trattenute dall'azienda, con la promessa di accreditarle dopo sei mesi; questo non è mai avvenuto ed i soldi delle mance non li ho mai visti, nemmeno 1 euro”.
In effetti Uber vieta ai riders di accettare la mancia in contanti, e consente piuttosto al cliente di elargire l'importo on line, tuttavia questo meccanismo non solo fa sì che la piattaforma abbia il controllo su ogni aspetto della transazione, ma ha permesso di fatto alla FRC di trattenere dette somme, sottraendole ai riders ignari dei propri diritti, e raccontando piuttosto loro che gli importi visualizzati sull'app erano errati.
Vale la pena soffermarsi fin da ora su un aspetto determinante ai fini dell'applicazione dell'amministrazione giudiziaria: Uber Italy s.r.l., in particolare nelle persone di alcuni manager, non solo era ben a conoscenza delle condizioni lavorative praticate da FRC, ma le assecondava ed addirittura incoraggiava.
Dalle chat WhatsApp riportate nel decreto è possibile ricostruire un episodio in cui il titolare della FRC convince uno dei rider a lavorare, promettendogli un bonus extra di 50 euro, che comprensibilmente ha un impatto economico importante sul basso compenso solitamente percepito dal lavoratore, che infatti malgrado sia ammalato decide di uscire ed accettare le consegne. La manager di Uber non solo approva la spregiudicatezza di D.D., ma gli chiede di trovare altri fattorini tra gli amici di David, presumibilmente nelle stesse condizioni di indigenza e quindi di debolezza contrattuale.
In un'altra occasione la stessa manager indirizza il collega di FRC s.r.l. verso un migliore impiego dei fattorini a disposizione, proprio approfittando del loro bisogno di guadagnare anche pochi euro: G.B. (Uber): “Devi impostare la relazione con i corrieri in modo che si connettono quando servono. Corrieri che si connettono quando non servono sono uno spreco di soldi, secondo me se tu il pomeriggio non li paghi e loro per mangiare devono connettersi la sera, vedrai che si connettono”.
Addirittura quando uno dei rider scopre che anziché lavorare per il tramite della FRC s.r.l. potrebbe accreditarsi direttamente sull'app di Uber e guadagnare in questo modo di più, il signor D.D. preoccupato che il fattorino trascini dietro di sé tutta la manodopera, chiama la manager di Uber che lo tranquillizza dicendogli che quand'anche il fattorino si fosse accreditato direttamente sulla piattaforma, gli avrebbero dato poche consegne e lo avrebbero fatto tornare alla FRC s.r.l. “con la coda tra le gambe”. Quindi Uber aveva interesse ad indirizzare la manodopera verso la società FRC s.r.l., ben consapevole del fatto che quest'ultima praticasse delle condizioni contrattuali deteriori per i riders, ma probabilmente più convenienti per il colosso americano. Premesse brevemente le condizioni lavorative dei riders ingaggiati dalla FRC s.r.l., occorre chiedersi chi sia il soggetto che effettivamente riveste il ruolo datoriale nella fattispecie appena descritta.
Generalmente il datore di lavoro viene individuato nel soggetto che esercita sul lavoratore il potere direttivo, di controllo e disciplinare. Inoltre, la giurisprudenza nelle ipotesi di interposizione illecita di manodopera individua il datore di lavoro nel soggetto che effettivamente utilizza la prestazione resa dal lavoratore ( Cass. , sez. un., n. 22910 del 2006 Cass. n. 25270 del 2011
Con specifico riferimento alla possibilità che le piattaforme digitali rivestano il ruolo datoriale, si è affermata in dottrina (F. Lunardon su ADL - Argomenti di Diritto del Lavoro n. 2/2018, Cedam) la necessità di una tripartizione a seconda del ruolo svolto dalla piattaforma nell'erogazione del servizio oggetto della prestazione. Ad un livello minimale si collocano quelle piattaforme che si limitano a fungere da luogo di incontro tra il fornitore e l'utilizzatore di un servizio, mentre ad un livello intermedio ci sono le piattaforme che svolgono un'attività di mediazione nonché di selezione dei lavoratori, infine ad un livello più alto si trovano quelle piattaforme che interferiscono nell'esecuzione delle prestazioni: solo allorquando la piattaforma stabilisca oltre al prezzo del servizio anche le condizioni contrattuali relative alla prestazione di lavoro potrà assurgere alla figura di datore o committente di lavoro.
Calando questi principi nella fattispecie qui esaminata, sembra potersi affermare come Uber Italy s.r.l. non si limitasse a fungere da mera piattaforma di incontro tra domanda e offerta di un servizio, ma si ingerisse nella gestione dei lavoratori, nonché nell'attività di controllo e disciplinare sugli stessi, servendosi a tal fine della “longa manus” costituita dalla FRC s.r.l.
Innanzitutto, sotto il profilo della gestione dei lavoratori, emerge dalle indagini come i manager di Uber stabilissero la pianificazione settimanale degli slot orari, con l'indicazione del numero di fattorini necessari per ciascuna zona in determinate fasce orarie, e sollecitassero altresì la FCR s.r.l. ad impedire ai riders di discostarsene. Ciò significa che l'autonomia lavorativa dei riders era in realtà vincolata e coordinata da Uber per il tramite della società FRC s.r.l.
La tecnica più efficace a tal fine era quella di bloccare gli account negli orari meno performanti, quali la mattina o il pomeriggio, oppure l'applicazione di penalità a quanti non si fossero conformati alle direttive impartite, ad esempio bloccandogli i pagamenti, in modo tale da costringerli a lavorare nelle fasce orarie in cui c'era maggiore bisogno di manodopera. A questo proposito, il sig. D.D. della FRC s.r.l. in un dialogo con la manager Uber: “Questo oggi non era nei turni e ha acceso l'applicazione senza doverlo fare, nessuno lo ha messo nei turni questo N., è da stamattina che mi telefona e è da stamattina che gli dico: - non devi lavorare - e questo è andato lo stesso online, ecco perché… bloccalo, bloccalo”. In risposta la manager: “Cerca di metterlo su un affiancamento stasera così non spreca la giornata che c'ha fame”.
Inoltre, sempre la FRC s.r.l. veicolava sui gruppi WhatsApp condivisi con i riders messaggi di questo tenore: “Tutte le persone che non hanno un comportamento adatto per fare questo tipo di lavoro smetteranno di lavorare alla fine di questa settimana. Non potranno continuare a lavorare tutte le persone che: non rispettano l'orario di lavoro che comunicano; si inventano delle scuse false per non andare a lavorare; si mettono online in una zona lontana da dove si svolge il lavoro; non rispondono ai messaggi e in generale non sono collaborativi nella organizzazione de lavoro; non rispettano le percentuali richieste da Uber: accettazione superiore al 95% e cancellazione inferiore al 5%”.
Queste sopraffazioni psicologiche creavano un regime di intimidazione tale da indurre i riders ad osservare i turni e le disposizioni impartite, nel timore di vedersi bloccato l'account, e di perdere conseguentemente anche quei pochi guadagni necessari per vivere.
A ciò si aggiunga che Uber chiedeva alla FRC. s.r.l. di effettuare una vera e propria attività di controllo sui riders. Tanto emerge dalle conversazioni in cui uno dei manager di Uber chiede al sig. D.D. della FRC quali misure abbia assunto per risolvere il problema legato ad atteggiamenti “indecorosi” di alcuni riders dinanzi al McDonald di Buonarroti (Milano). Il D.D. risponde dicendo di aver messo due sentinelle che fotograferanno chi avrà atteggiamenti poco adeguati, e conclude: “Direi che in questo week end tale azione di controllo verrà eseguita”.
Dal tenore delle conversazioni, ed in particolare dal fatto che il sig. D.D. debba costantemente rendere conto ai manager di Uber del proprio operato in termini di controllo e gestione della manodopera, emerge come la piattaforma non sia affatto estranea alla organizzazione del personale, e questo tipo di ingerenza travalica i confini del contratto di fornitura di servizi stipulato con la FRC.
Ma il campo su cui si manifesta appieno il potere della piattaforma è costituito senza dubbio dal potere disciplinare, esercitato in particolare mediante il blocco degli account.
A ben guardare la questione era stata già sottoposta al Tribunale di Torino dai riders di Foodora, i quali avevano rappresentato come la piattaforma escludesse i riders dalla chat aziendale o dai turni di lavoro, al solo scopo di sanzionare insubordinazioni e lamentele, o comunque comportamenti non graditi all'azienda. In quell'occasione il Tribunale si era espresso nel senso che questo tipo di provvedimenti non potessero intendersi quali vere e proprie sanzioni disciplinari, in quanto le sanzioni disciplinari applicate ai lavoratori subordinati, sulla base dell' art. 7 , l . n. 300 del 1970
Se questa è stata la prospettiva adottata dal Tribunale di Torino, ben diverso è il decreto del Tribunale di Milano, che sembra adottare una posizione più sostanzialista allorquando punta i riflettori su “Come Uber partecipi, attraverso alcuni suoi dipendenti, a sanzionare i riders e come, al di là delle apparenze, incida pesantemente sui turni lavorativi degli stessi. Ciò appare in netto contrasto con la vulgata che vede Uber come una informale piattaforma con nessun rapporto con i riders e che si limita a mettere in contatto ristoratori e clienti”.
Ed in effetti tutto il provvedimento è un susseguirsi di conversazioni tra i manager di Uber ed il titolare di F.R.C. s.r.l. su quali lavoratori sanzionare. Tra le più significative una conversazione in cui il sig. D.D. della F.R.C., rivolgendosi ad un manager di Uber: “A T. diamo un giorno cioè oggi di punizione così capisce”.
In un'altra occasione il manager di Uber, pienamente a conoscenza delle modalità con cui opera il sig. D.D., è suo connivente allorquando bisogna oscurare il profilo di un lavoratore che ha rappresentato delle rimostranze dopo aver subito ripetuti incidenti sul lavoro.
In altre parole, su segnalazione della FRC, Uber, in quanto titolare del potere disciplinare, strumentalizza il funzionamento della piattaforma per sanzionare i riders, privandoli della possibilità di lavorare e guadagnarsi da vivere, inducendolo in questo modo a sottostare alle avvilenti condizioni lavorative.
Tali “punizioni” venivano impartite da Uber non solo nel caso in cui i lavoratori avessero manifestato lamentele rispetto alle condizioni di lavoro, ma anche nel caso in cui gli stessi non avessero rispettato gli standard di efficienza imposti. Ed infatti, Uber effettuava ogni due settimane una analisi sulla quality, affidata ai seguenti parametri: valutazioni, accettazione, cancellazioni pre-pickup e cancellazioni post-pickup e completate fake. Era Uber ad inviare direttamente una notifica ai riders invitandoli a migliorare le proprie performance, dopodiché seguivano due settimane di “grace-period”, cioè di periodo di prova a conclusione delle quali la piattaforma effettuava un nuovo controllo qualità e, nel caso non ritenesse soddisfatti i parametri indicati, provvedeva al blocco dei fattorini esaminati. Osservazioni conclusive
Da quanto fin qui esposto sembra potersi affermare che la fattispecie realizzata dalla F.R.C. s.r.l. con la complicità della piattaforma Uber va ben oltre la gig-economy intesa nella sua accezione più pura, e cioè come economia fondata su “gigs” svolti per il piacere di farlo, in quanto i lavoratori coinvolti hanno piuttosto l'esigenza di svolgere questi lavori per guadagnarsi lo stretto necessario per sopravvivere, né hanno la libertà di scegliere se e quando lavorare, in quanto sono indotti da un meccanismo distorto di gestione della piattaforma a rispettare le direttive e gli standard produttivi imposti da quest'ultima, pena l'applicazione di penalità sui corrispettivi, la sospensione dei pagamenti o la chiusura dell'account.
In secondo luogo da questa fattispecie emerge una chiara strumentalizzazione dell'innovazione tecnologica per perseguire uno scopo illecito quale è lo sfruttamento di manodopera contrattualmente debole per imporre condizioni lavorative deteriori. Questo dato deve indurre a riflettere sulla potenzialità lesiva della piattaforma che non è solo luogo di incontro tra domanda e offerta di servizi ma può arrivare a ricoprire un vero e proprio ruolo datoriale, e quindi un potere direttivo, di controllo e disciplinare in maniera anche più invasiva di quanto possa fare un normale datore di lavoro. |