La compatibilità tra revocatoria e atto di assegnazione nell'ambito di un'operazione di scissione. Le decisioni della Cassazione e della Corte di Giustizia
Due recenti sentenze (Cass. n. 31654/2019 e Corte di giustizia UE 30 gennaio 2020, n. 394) hanno affermato l'ammissibilità dell'azione revocatoria nei confronti delle assegnazioni patrimoniali in esecuzione di un'operazione di scissione societaria. Il presente contributo analizza le pronunce e i principi ivi espressi, ripercorrendo anche il contrasto in dottrina e giurisprudenza sulla compatibilità tra revocatoria e scissione.
Premessa
Due recenti sentenze (Cass. n. 31654/2019 e Corte di giustizia UE 30 gennaio 2020, n. 394) hanno affermato l'ammissibilità dell'azione revocatoria nei confronti delle assegnazioni patrimoniali in esecuzione di un'operazione di scissione societaria. Il presente contributo analizza le pronunce e i principi ivi espressi, ripercorrendo anche il contrasto in dottrina e giurisprudenza sulla compatibilità tra revocatoria e scissione.
I principi espressi
Il creditore di società che si è scissa può impugnare con l'azione revocatoria le attribuzioni patrimoniali conseguenti all'operazione. Infatti, detta azione mira ad ottenere l'inefficacia relativa dell'atto, che lo rende inopponibile al solo creditore pregiudicato, al contrario di ciò che si verifica nell'opposizione dei creditori sociali prevista dall'art. 2503 c.c. che è finalizzata a farne valere l'invalidità (Cass. sez. I, 4 dicembre 2019, n.31654).
L'azione revocatoria, non determinando alcuna invalidità dell'atto impugnato ma una sua semplice inefficacia relativa a beneficio del creditore pregiudicato, è compatibile con il principio comunitario di irregredibilità dell'atto di scissione societaria e la sussistenza di una disciplina ad hoc e di strumenti specifici di opposizione da parte dei creditori dettati per la scissione non sono di ostacolo all'esperibilità dell'actio pauliana. Pertanto, l'azione revocatoria è ammissibile nei confronti di un atto di scissione ogni qual volta la società debitrice non dimostri che le quote della società di nuova costituzione, assegnatele a fronte della cessione patrimoniale, siano di eguale valore rispetto agli immobili ceduti, non essendo sufficiente il regime di responsabilità solidale ex art. 2506-quater, comma 3, c.c. fra società conferente e conferitaria a escludere il configurarsi dell'eventus damni, posto che quest'ultimo può ritenersi integrato anche mediante una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito e va valutato esclusivamente in relazione alla società debitrice indipendentemente dalla possibilità per il creditore di conseguire aliunde la prestazione, avvalendosi di rapporti con soggetti diversi (Cass. sez. I, 4 dicembre 2019, n.31654).
La normativa europea in tema di scissione delle società per azioni non impedisce che, dopo la realizzazione di una scissione, i creditori della società scissa, i cui diritti siano anteriori a tale scissione e che non abbiano fatto uso degli strumenti di tutela dei creditori previsti dalla normativa nazionale, possano intentare un'azione pauliana al fine di far dichiarare la scissione inefficace nei loro confronti e di proporre azioni esecutive o conservative sui beni trasferiti alla società di nuova costituzione. Inoltre, dopo la realizzazione di una scissione, è ben possibile la presentazione da parte di creditori della società scissa di un'azione pauliana che non intacchi la validità della scissione, ma soltanto consenta di rendere quest'ultima inopponibile a tali creditori (Corte giustizia UE sez. II, 30 gennaio 2020, n. 394).
Le vicende processuali
La sentenza dellea Corte di Cassazione
Una società conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bologna, tre società chiedendo di dichiarare simulato l'atto con il quale una di esse aveva conferito la propria azienda in una altra delle società convenute (con conseguente diritto di agire esecutivamente sui beni conferiti) e, in subordine, di dichiarare inefficace, ai sensi dell'art. 2901 c.c., lo stesso negozio. Inoltre, essendo intervenuto un atto di scissione che vedeva coinvolte le società convenute, l'attrice chiedeva di accertare il carattere assolutamente simulato dell'atto di scissione (e conseguentemente il diritto di agire esecutivamente sui beni che ne costituivano oggetto) e, comunque, in subordine, di dichiarare inefficace ex art. 2901 c.c. lo stesso negozio.
Il Tribunale di Bologna - con sentenza integralmente confermata dalla Corte di appello di Bologna - accoglieva le domande di revocatoria, conseguentemente dichiarando inefficaci,ex art. 2901 c.c., nei confronti di parte attrice, gli atti di conferimento dell'azienda e di scissione parziale.
Nonostante l'inammissibilità del motivo di ricorso in Cassazione (da qui una certa concisione nella motivazione della decisione), la Corte, con la ordinanza in commento, si spinge ad esaminare, nel merito, il rapporto tra azione revocatoria ed atto di scissione o, come meglio si dovrebbe dire, il rapporto tra azione revocatoria ed atto di attribuzione patrimoniale conseguente all'operazione di scissione societaria (la decisione della Corte di legittimità si trova pubblicata in Foro it., 2020, I, 163 con nota di G. Niccolini; in GiustiziaCivile.com con nota di F. Fimmanò, La Cassazione scivola sulla revocatoria “selettiva” della scissione; in Soc., 2020, 471 con nota di P. Pototschnig, Corte di Giustizia e Corte di cassazione convergono sulla revocabilità della scissione; in Not., 2020, 40 con nota di F. Magliulo, La cassazione si pronuncia sull'ammissibilità dell'azione revocatoria nella scissione).
Ebbene, in estrema sintesi, la Corte evidenzia come i mezzi di tutela che l'ordinamento italiano appresta ai creditori della società scissa non sono limitati ai rimedi dell'opposizione alla scissione ex art. 2503 c.c. ed alla responsabilità solidale di cui all'art. 2506 quater, comma 3, c.c. ovvero al risarcimento del danno ex art. 2504 quater, comma 2, c.c. Ai creditori, al contrario, spetta anche la possibilità di esercitare l'azione revocatoria la quale, in particolare, non incide sulla validità dell'atto di scissione essendo, al contrario, limitata ai profili relativi alle attribuzioni patrimoniali intervenute in sede di scissione.
La sentenza della Corte di Giustizia
Una società di costruzioni a responsabilità limitata, nell'ambito di una scissione, trasferiva una parte del proprio patrimonio ad altra s.r.l. di nuova costituzione. I creditori della società scissa - sul presupposto che, attraverso detta operazione straordinaria, la società debitrice fosse stata svuotata di gran parte del proprio patrimonio - convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Avellino, le due società coinvolte nella scissione esperendo, in via principale, una azione revocatoria ordinaria ai sensi dell'art. 2901 c.c. e dunque chiedendo di dichiarare inefficace, nei loro confronti, l'atto di scissione e, in via subordinata, chiedendo la condanna solidale di entrambe le società ai sensi dell'art. 2506-quater c.c.
Con sentenza dell'11 dicembre 2015, il Tribunale di Avellino, in accoglimento della domanda principale, dichiarava l'inefficacia, nei confronti degli attori quali creditori della società scissa, dell'atto di trasferimento dei beni contenuto nell'atto di scissione.
Le società convenute presentavano gravame davanti alla Corte di Appello di Napoli deducendo che l'azione pauliana proposta dai creditori interessati fosse inammissibile, all'uopo rappresentando, da un lato, che i creditori della scissa non avevano proposto l'opposizione all'operazione di cui all'art. 2503 c.c., con conseguente definitività degli effetti della scissione e, dall'altro, che, una volta eseguiti nel registro delle imprese competente tutti gli adempimenti pubblicitari, non sarebbe più possibile dichiarare l'invalidità della scissione in ragione del disposto di cui all'art. 2504-quater c.c., dettato in materia di invalidità della fusione, ma applicabile anche alla scissione in virtù del rinvio dell'art. 2506-ter, comma 5, c.c.
Con ordinanza del 20 marzo 2018 (che può leggersi in Foro it., 2018, I, 1754, nonché Società, 2018, 1411, con nota di P. Pototschnig, La revocabilità della scissione all'esame della corte di giustizia europea e, infine, in Giur. comm., 2019, II, 147, con nota di F. Fimmanò, La Corte di giustizia chiamata a salvare la scissione societaria dalle revocatorie), la Corte di appello di Napoli riteneva di dovere sottoporre alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali, concernenti l'interpretazione degli artt. 12 e 19 della sesta direttiva 82/891/CEE del Consiglio, del 17 dicembre 1982, art. 12 (di seguito “sesta direttiva”):«1) se i creditori della società scissa, le cui ragioni di credito siano anteriori alla scissione, che non si siano avvalsi del rimedio dell'opposizione ex art. 2503 c.c. (e dunque dello strumento di tutela introdotto in attuazione dell'art. 12 della [sesta direttiva]), possano avvalersi dell'azione revocatoria [o pauliana] ex art. 2901 c.c. dopo che la scissione sia stata attuata, allo scopo di farne dichiarare l'inefficacia nei loro confronti e, quindi, di essere preferiti in sede esecutiva ai creditori della o delle società beneficiarie nonché di essere anteposti agli stessi soci di quest[e] ultime.2) se la nozione di nullità, contemplata dall'art. 19 della [sesta direttiva], si riferisce alle sole azioni incidenti sulla validità dell'atto di scissione ovvero anche a quelle che, pur non incidendo sulla sua validità, ne determinano l'inefficacia relativa o inopponibilità».
Nell'ambito del giudizio così incardinato presso la Corte di Giustizia dell'Unione europea, in senso contrario alla compatibilità tra azione revocatoria e scissione societaria si era espresso l'Avvocato Generale. Questi - pur rilevando che l'art. 12 della sesta direttiva non prevedrebbe un «sistema di tutela chiuso», oltre il quale gli Stati membri non potrebbero istituire misure supplementari di tutela degli interessi dei creditori - rappresentava che l'azione revocatoria «si distingue dagli strumenti previsti dalla sesta direttiva. Essa non è una misura di trasposizione e può essere esercitata solo in un numero limitato di situazioni. Ciò non toglie che l'azione pauliana prevista nel codice civile italiano sia una misura che mira a tutelare i diritti dei creditori quando un atto del debitore è in grado di pregiudicare i loro interessi. Essa consente, così, una protezione più ampia degli interessi dei creditori della società scissa». Inoltre, l'azione revocatoria costituirebbe una misura di tutela supplementare degli interessi dei creditori, da non confondersi con quella di nullità, che l'art. 12 della sesta Direttiva non escluderebbe, ma gli Stati membri non possono adottare misure tali da compromettere i risultati prescritti da detta direttiva e quindi comprometterne l'efficacia.
Tuttavia, posto che l'obiettivo dell'art. 12 della sesta Direttiva è garantire che tutti i creditori delle società partecipanti alla scissione siano tutelati affinché l'operazione non arrechi loro pregiudizio,secondo l'Avvocato Generale «non può essere escluso che l'esercizio di un'azione pauliana da parte di alcuni creditori della società scissa contro la società beneficiaria della scissione possa pregiudicare la tutela degli interessi di altri creditori, che sono, nondimeno, parimenti destinatari della tutela e che hanno fatto affidamento sugli effetti della scissione. Allo stesso modo, non si può escludere che l'esercizio di un'azione pauliana possa intaccare la certezza giuridica dei rapporti tra i terzi e le società partecipanti alla scissione. Se questo fosse il caso, ciò che spetta al giudice del rinvio verificare, l'introduzione dell'azione pauliana risulterebbe tale da compromettere la realizzazione delle finalità della sesta direttiva».
La Corte di Giustizia, tuttavia, è andata di diverso avviso.
Secondo i giudici europei, infatti, il sistema di tutela minima degli interessi dei creditori, previsto all'art. 12, par. 1, della sesta direttiva, in combinato disposto con l'art. 22, par. 1, della stessa, riguarda i creditori della società scissa e non quelli delle società di nuova costituzione o dei soci di queste ultime, in quanto non esistenti prima della scissione. E peraltro dall'art. 12, par. 4, della sesta direttiva, in combinato disposto con l'art. 2, par. 3, della stessa e con l'art. 13, par. 3, della terza Direttiva, risulta che la tutela può essere diversa per i creditori delle società di nuova costituzione e quelli della società scissa. In questa prospettiva, la direttiva europea non richiede che la tutela dei creditori delle società di nuova costituzione prevista dagli Stati membri sia equivalente a quella dei creditori della società scissa. Si potrebbe quindi dedurre dal complesso delle suddette disposizioni che l'armonizzazione minima, operata dalla sesta direttiva, della tutela degli interessi dei creditori delle società partecipanti alla scissione non osta a che, nel contesto di una scissione mediante costituzione di una nuova società, quale avviene nell'ambito del procedimento principale, la priorità sia accordata alla tutela degli interessi dei creditori della società scissa.
Con riferimento alla seconda questione posta dal giudice remittente, la Corte di Giustizia rileva che la direttiva non definisce la nullità ma ne limita i casi, fissa un termine breve per farla valere e assegna un termine per regolarizzare la situazione quando è possibile rimediare all'irregolarità che può portare alla nullità della scissione. In assenza di una definizione, la nozione di "nullità", nel suo senso abituale, deve far riferimento ad azioni dirette all'annullamento di atti, che determinano la sua scomparsa e producono effetti nei confronti di tutti. E ciò, a norma dell'art. 19, par. 1, lett. b), della sesta direttiva, si verifica solo in tre casi: per mancanza di controllo preventivo di legittimità, giudiziario o amministrativo, per difetto di atto pubblico, o infine se è accertato che la deliberazione dell'assemblea generale che ha approvato il progetto di scissione è nulla o annullabile in virtù del diritto nazionale.
In definitiva, il diritto europeo non osta a che, dopo la realizzazione di una scissione, i creditori della società scissa, i cui diritti siano anteriori a tale scissione e che non abbiano fatto uso degli strumenti di tutela dei creditori previsti dalla normativa nazionale in applicazione di detto articolo 12, possano intentare un'azione pauliana al fine di far dichiarare la scissione inefficace nei loro confronti e di proporre azioni esecutive o conservative sui beni trasferiti alla società di nuova costituzione.
Inoltre, il diritto europeo non osta all'introduzione, dopo la realizzazione di una scissione, da parte di creditori della società scissa, di un'azione pauliana che non intacchi la validità della scissione, ma soltanto consenta di rendere quest'ultima inopponibile a tali creditori (la sentenza della Corte di Giustizia può leggersi in Foro it., 2020, IV, 191 con nota di N. De Luca, La revocatoria della scissione secondo la Corte UE. Prime riflessioni; in Soc., 2020, 471, con nota di P. Pototschnig, Corte di Giustizia e Corte di cassazione convergono sulla revocabilità della scissione; in Not., 2020, 115 F. Fimmanò, Corte di Giustizia e revocatoria preferenziale della scissione).
Il contrasto dottrinario e giurisprudenziale in tema di compatibilità tra azione revocatoria e scissione
Le decisioni in rassegna pongono termine al contrasto che ha lungamente diviso, al loro interno, la giurisprudenza (di merito, non riscontrandosi, infatti, pronunzie della giurisprudenza di legittimità anteriori a quella segnalata) e la dottrina, in ordine alla tematica della compatibilità tra azione revocatoria e scissione societaria.
Secondo un primo indirizzo (da ultimo, App. Roma 27 marzo 2019, n. 2043, in Foro it., 2019, I, 2919, con osservazioni di G. Niccolini, nonché in Giustiziacivile.com, con nota di L. Sicignano, La dibattuta problematica dell'azione revocatoria dell'atto di scissione: l'interpretazione della norma europea, in attesa della Corte di Giustizia; Vita not., 2019, 1457, con nota di E. Macrì, La revocatoria dell'atto di scissione alla luce della nuova disciplina dettata dal d.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019; Trib. Roma 7 novembre 2016, in Giur. comm., 2018, 1, II, 136 con nota di M. Pin, Scissione e azione revocatoria ordinaria e fallimentare; Trib. Napoli 18 febbraio 2013, in Giur. comm., 2014, II, 1040 con nota di L. Rivieccio, Tutela dei creditori sociali tra azione revocatoria e scissione societaria; Trib. Napoli 4 marzo 2013 e Trib. Napoli 31 ottobre 2013, entrambe in Riv. dir. comm., 2014, II, 111 e 115; in dottrina, A. Serra - M.S. Spolidoro, Fusioni e scissioni di società, Torino, 1994, 112; N. Gasperoni, voce Trasformazione e fusione di società, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 1061; F. Fimmanò, Funzioni, forma ed effetti dell'opposizione alla fusione, in Società, 1998, 433; G. Scognamiglio, Le scissioni, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo - G.B. Portale, 7**, 2, Torino, 2004, 294 e 366; F. Magliulo, La scissione delle società, cit., 579 ss.; F. Magliulo, L'inammissibilità dell'esercizio dell'azione revocatoria nei confronti della scissione, in NDS, 2014, 12, 9; M. Maltoni - M.S. Spolidoro, Revocatoria della scissione e direttiva europea, in Società, 2017, 1091; F. Fimmanò, La irrevocabilità della scissione societaria, in ilcaso.it, 2 agosto 2019; Id., Scissione societaria e tutela dei creditori involontari, in Riv. not., 2019, 43), il diritto societario prevedrebbe un sistema completo ed autosufficiente di tutela dei creditori che possono essere danneggiati da una operazione di scissione.
In estrema sintesi, questo (micro)sistema completo ed autosufficiente si snoderebbe sugli istituti di cui agli artt. 2503, 2504-quater (dettato in materia di invalidità della fusione, ma applicabile anche alla scissione in virtù del rinvio dell'art. 2506 ter, comma 5, c.c.) e 2506-quater, comma 3, c.c.
In particolare, il primo rimedio giuridico a disposizione dei creditori delle società partecipanti a una scissione sarebbe costituito dall'opposizione dei creditori ex art. 2503 c.c.che consente di impedire la stessa stipulazione dell'atto (di scissione) che possa recare pregiudizio ai predetti: il mancato esercizio di tale rimedio, al contrario, renderebbe definitivi gli effetti della scissione nei confronti di tali creditori. Sotto altro profilo, il principio di irretrattabilità degli effetti della scissione di cui all'art. 2504-quater c.c. osterebbe alla dichiarazione di invalidità - nella cui nozione dovrebbe ricomprendersi anche la dichiarazione di inefficacia - di un atto di scissione una volta che siano stati effettuati gli adempimenti pubblicitari.
Decorso il termine di cui all'art. 2503 c.c., poi, i creditori sarebbero tutelati dalla previsione di cui all'art. 2506-quater, comma 3, c.c. a mente del quale ciascuna società coinvolta nella scissione è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico.
Secondo altro orientamento (plasticamente esposto in Trib. Roma, 16 agosto 2016, in questo portale; Trib. Roma 12 giugno 2018, in Foro it., 2018, 10, 1, 3291, nonché Giur. it., 2019, 1583, con nota di V. Sangiovanni, La revocabilità della scissione fra diritto societario e fallimentare; Trib. Benevento 12 ottobre 2017, in Giur. comm., 2019, II, 392, con nota di A. Bello, Revocatoria dell'atto di scissione: una questione ancora aperta; Trib. Venezia 5 febbraio 2016, in Società, 2017, 67, con nota di S. Cassani, Scissione e azione revocatoria nonché in Fallimento, 2017, 51, con nota di P. Pototschnig, Scissione societaria e azione revocatoria: un nervo scoperto per la tutela dei creditori? In dottrina, G. Cabras, Le opposizioni dei creditori nel diritto delle società, Milano, 1978, 166; F. Denozza, La scissione di società, in Impresa e società. Nuove tecniche comunitarie, Milano, 1992, 95; A. Crenca, Scissione societaria e revocatoria fallimentare, in ilcaso.it, n. 131/2008; P. Pototschnig, La revocabilità della scissione all'esame della Corte di Giustizia Europea, in Società, 2018, 1416; T. Di Marcello, La revocatoria ordinaria e fallimentare della scissione di società, Dir. fallim., 2006, I, 62), invece, l'azione pauliana può essere esercitata anche con riferimento alle attribuzioni patrimoniali intervenute in sede di scissione, senza che, per ciò solo, venga ad essere leso il principio della irretrattabilità dell'atto scissorio.
Questo secondo indirizzo, sul quale convergono le decisioni della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell'Unione Europea - e rispetto al quale sembra adeguarsi la giurisprudenza di merito (cfr., Trib. Catanzaro, 14 gennaio 2020, in DeJure) - appare meritevole di seguito per le ragioni che si vanno ad evidenziare.
Merita, infine, di essere segnalato che, recentemente, la giurisprudenza di legittimità è nuovamente intervenuta al fine di affermare che l'azione revocatoria dell'atto di scissione societaria, diretta alla declaratoria di inopponibilità al creditore del negozio (nei termini, peraltro, che verranno chiariti), rientra tra le controversie devolute alla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa poiché riguarda in via diretta le società coinvolte e, in particolare, i fenomeni modificativi ed estintivi del loro assetto (Cass., 5 febbraio 2020, n. 2754).
La scissione di società tra profili traslativi e profili riorganizzativi
Al fine di potere compiutamente impostare il problema in esame, occorre soffermarsi, sia pure brevemente, sulla natura della scissione societaria.
La scissione consiste nell'operazione straordinaria che si realizza mediante l'assegnazione dell'intero patrimonio (scissione totale) o di parte del patrimonio (scissione parziale) di una determinata società (società scissa) a più società, ovvero anche ad una sola società (ma solo nel caso di scissione parziale), preesistenti o di nuova costituzione (società beneficiarie) e mediante la contestuale attribuzione ai soci della prima, sulla base di un criterio predefinito, proporzionale o meno, e, all'occorrenza, di un rapporto di cambio (anch'esso predefinito), delle partecipazioni nella o nelle società destinatarie dell'attribuzione patrimoniale, ovvero nella stessa società scissa (G. Scognamiglio, Scissione: forme, funzioni ed effetti,in AA.VV., Operazioni straordinarie. Patrimoni destinati. Liquidazione ed estinzione, Milano, 2020, 227; A. Stagno d'Alcontres, N. De Luca, Le società, III, Le società mutualistiche. Gli istituti transtipici, Torino, 2019).
In estrema sintesi, con la scissione, il patrimonio di una società (ed i rapporti giuridici ad esso conseguenti) è scomposto ed assegnato, in tutto od in parte, ad altre società, preesistenti o di nuova costituzione, con contestuale assegnazione ai soci della prima di azioni o quote delle società beneficiarie del trasferimento patrimoniale. La scissione, dunque, si caratterizza per il frazionamento dell'organizzazione sociale in più distinte organizzazioni, in conseguenza di un negozio che opera sull'organizzazione sociale e che di riflesso si riverbera sulla posizione dei soci e sul patrimonio della società (P. Lucarelli, Art. 2506, in D.U. Santosuosso (a cura di) Commentario del codice civile. Delle società. Dell'azienda. Della concorrenza, Milano, 2015, 1631).
La riorganizzazione del patrimonio della società scissa e, in particolare, la sua (almeno in parte) assegnazione ad altri enti societari si riverbera necessariamente sulla garanzia patrimoniale generica offerta in favore dei creditori della scissa: è evidente, infatti, che il patrimonio della scissa subisce una decurtazione con la conseguenza che i creditori potranno contare, dopo l'esecuzione della scissione, su una minore garanzia patrimoniale.
Tuttavia, come è stato efficacemente affermato, la riduzione della garanzia per i creditori è un effetto naturale dell'operazione soltanto per la società che resta direttamente debitrice, con una serie di specifiche; ogni altra forma di depauperamento è meramente eventuale, visto che il patrimonio delle società beneficiarie può essere persino incrementato, laddove non siano di nuova costituzione (F. Fimmanò, Corte di Giustizia e revocatoria preferenziale della scissione, cit., 119).
Ciò posto, il dibattito che vede contrapposte le opzioni interpretative in merito alla compatibilità tra la revocatoria e la scissione trova il suo retroterra - ancorché non del tutto necessitato - nella valutazione della stessa operazione di scissione come atto di disposizione in senso tecnico ovvero come operazione di modificazione riorganizzativa delle strutture societarie coinvolte nell'operazione.
Come è noto, a seguito della riforma del diritto societario, l'art. 2506 c.c. non prevede più, come era invece disposto dal precedente art. 2504-septies c.c., che la scissione si attua mediante «trasferimento» di elementi patrimoniali della società scissa alle società beneficiarie, disponendo, invece, che l'operazione di scissione si svolge mediante la «assegnazione» di elementi patrimoniali.
La scissione, in questa prospettiva, è stata così spiegata (non già come atto di attribuzione patrimoniale, ma soltanto) in termini di riorganizzazione societaria, meramente modificativa dell'assetto personale e patrimoniale della società. È stato, infatti, affermato che, trattandosi di vicende evolutive e modificative dello stesso soggetto, che conserva la propria identità con un nuovo assetto organizzativo, non è possibile individuare nella fattispecie un soggetto alienante ed uno acquirente con la conseguente inapplicabilità delle regole peculiari dei trasferimenti dei singoli beni (E. Paolini, Scissione di società, in Contr. e impr., 1991, 850; P. Lucarelli, Scissione e circolazione dell'azienda, in Il nuovo diritto delle società - Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa - G.B. Portale, 4, Torino, 2007, 441).
Se si può condividere l'assunto secondo il quale l'attribuzione patrimoniale, nella scissione, trova ogni ragion d'essere, sia dal punto di vista causale sia dal punto di vista effettuale, nella modifica strutturale delle società partecipanti (così, F. Magliulo, La Cassazione si pronuncia sull'ammissibilità dell'azione revocatoria nella scissione, cit., 45; P. Lucarelli, Art. 2506, cit., 1643), ciò non è sufficiente ad escludere ogni profilo traslativo nell'ambito della scissione.
Ed invero, sembra potersi affermare che si sia in presenza, pur indubbiamente all'interno di una più ampia vicenda di riorganizzazione sociale ed imprenditoriale, di un fenomeno (latamente) traslativo di un compendio di beni e diritti, costituenti tutto (nel caso di scissione totale) o parte (nel caso di scissione parziale) il patrimonio della società scissa, con conseguente successione, rispettivamente a titolo universale ovvero a titolo particolare, delle beneficiarie o della beneficiaria nei rapporti giuridici originariamente facenti capo alla società scissa. E, infatti, appare innegabile - oltre ad un profilo di «negoziazione» fra le società partecipanti che si esprime nella determinazione di uno o più rapporti di cambio - un effetto circolatorio, in ragione della circostanza che, «per effetto dell'operazione, beni e diritti che, anteriormente alla esecuzione dell'operazione, erano intestati o si imputavano alla società scissa vengono a trovarsi, dal momento in cui la scissione prende efficacia, nella titolarità di un diverso soggetto (una delle società beneficiarie)» (così, G. Scognamiglio, Scissione: forme, funzioni ed effetti, cit., 232). Così, lo spostamento patrimoniale a favore delle società beneficiarie (sia esso considerato un effetto ovvero uno strumento attuativo) produce comunque una forma di subentro nell'intero patrimonio o in quote dell'intero patrimonio attivo e passivo (F. Fimmanò, Corte di Giustizia e revocatoria preferenziale della scissione, cit., 121; in giurisprudenza, Trib. Roma, 16 agosto 2016, cit., secondo il quale l'operazione straordinaria in questione, certamente di natura organizzativa, ha dunque quale effetto normale quello del mutamento della titolarità soggettiva, dalla scissa alla beneficiaria, di una parte del patrimonio della società che l'operazione ha deciso; l'atto di scissione è, sotto questo profilo, atto dispositivo ed è, quindi, revocabile (recte, relativamente inefficace per i creditori, anche di massa, della società scissa, ricorrendone i rispettivi presupposti, tanto ai sensi degli artt. 64 e 67 l.fall., quanto ai sensi dell'art. 2901 c.c.). Il fenomeno è, dunque, oggettivamente caratterizzato dalla continuità dei rapporti e delle situazioni giuridiche dalla scissa alla beneficiaria, la quale subentra nella stessa posizione giuridica della scissa, prendendone il posto in relazione al bene ed al rapporto attivo e passivo assegnatole (F. Fimmanò, ivi; P. Pototschnig, Corte di Giustizia e Corte di cassazione convergono sulla revocabilità della scissione, cit., 475 il quale osserva che è assorbente la constatazione che il passaggio di elementi patrimoniali dalla titolarità di un soggetto giuridico ad un altro, anche sotto forma di assegnazione, rimane un effetto ineludibile di una operazione che, a differenza della fusione, non si risolve in una concentrazione patrimoniale).
Tale profilo è stato ben colto anche da un noto arresto delle Sezioni unite della Corte di cassazione secondo il quale la scissione societaria disciplinata dagli artt. 2506 e ss. c.c., come modificati dal d.lgs n. 6 del 2003 con effetti dall'1 gennaio 2004, consistendo nel trasferimento del patrimonio ad una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, contro l'assegnazione di azioni o di quote delle stesse ai soci della società scissa, produce effetti traslativi, che, sul piano processuale, non determinano l'estinzione di quest'ultima ed il subingresso di quella o di quelle risultanti dalla scissione nella totalità dei rapporti giuridici della prima, ma una successione a titolo particolare nel diritto controverso, che, ove intervenga nel corso del giudizio, comporta l'applicazione della disciplina di cui all'art. 111 c.p.c., con conseguente facoltà per il successore di resistere con controricorso all'impugnazione ex adverso proposta, davanti alla Suprema Corte, nei confronti del suo dante causa, pur quando non abbia partecipato al processo nei gradi precedenti (Cass, sez. un., 15 novembre 2016, n. 23225).
In questa prospettiva, deve necessariamente concludersi che, se si ha riguardo alla organizzazione societaria, la scissione svolge una funzione modificativa, ma se si presta attenzione alla destinazione del patrimonio, la scissione adempie invece ad una funzione, verrebbe da dire: naturalmente, traslativa (in questi esatti termini, F. Fimmanò, Corte di Giustizia e revocatoria preferenziale della scissione, cit., 120). L'assegnazione - e, dunque, il trasferimento - dei beni nell'ambito della scissionenon può essere considerato oggetto di autonomo e distinto negozio giuridico, ma costituisce un effetto insito nella fattispecie procedimentale complessa a formazione progressiva.
Proprio in ragione dell'effetto latamente traslativo si spiegano quelle norme - quali, ad es., l'art. 2506-bis c.c. - che prevedono che, nel progetto di scissione, debba essere data indicazione da parte degli amministratori della «esatta descrizione degli elementi patrimoniali da assegnare» a ciascuna delle società beneficiarie e dell'eventuale conguaglio in danaro. Conseguentemente, è stato affermato in giurisprudenza, che non può essere iscritto nel registro delle imprese il trasferimento di partecipazioni di una s.r.l. assegnate alla beneficiaria a seguito di una scissione parziale, ove tali partecipazioni - benché individuate nel progetto di scissione - non siano indicate né nell'elenco contenente gli elementi patrimoniali attribuiti alla beneficiaria di nuova costituzione allegato alla decisione di scissione né all'atto di scissione (Giud. Registro Roma, 24 aprile 2015, in Riv. Not., 2015, II, 655 con nota di A. Ruotolo - D. Boggiali, Scissione, descrizione degli elementi patrimoniali da assegnare alla beneficiaria e iscrizione del trasferimento delle partecipazioni sociali).
D'altra parte, anche a volere ritenere la scissione come atto meramente riorganizzativo, non potrebbe per ciò solo dirsi esclusa l'ammissibilità della revocatoria, avendo la giurisprudenza enucleato diversi casi in cui essa si rivolge ad atti non chiaramente traslativi. In particolare, la revocatoria è stata ritenuta ammissibile nei confronti di un contratto preliminare trascritto (Cass., 5 luglio 2019, n. 18181; mentre è stata dichiarata non esperibile nei confronti di un contratto preliminare non trascritto, cfr., Cass., 12 giugno 2018, n. 15218; Cass., 26 giugno 2019, n. 17067); nei confronti di atti costitutivi di vincoli di destinazione non aventi natura traslativa, quale la costituzione di un fondo patrimoniale (Cass. 6 marzo 2019, n. 8450; Cass. 9 aprile 2019, n. 9798); nei confronti di atti costitutivi di cause legittime di prelazione (art. 2901, comma 2, c.c.; art. 67, comma 2, l.fall.).
In definitiva, come osservato anche dalla dottrina che nega la compatibilità tra scissione e revocatoria, non appare indispensabile che l'azione revocatoria sia diretta alla caducazione di un effetto traslativo in senso proprio di un atto compiuto dal debitore, essendo, invece, sufficiente che l'effetto che detta azione è diretta ad eliminare derivi, anche per legge, da un comportamento volontario del debitore che arrechi danno al creditore sul piano della garanzia patrimoniale (F. Magliulo, La Cassazione si pronuncia sull'ammissibilità dell'azione revocatoria nella scissione, cit., 46).
È, dunque, evidente che la risposta ai problemi in esame debba trovarsi non già nella natura e nella finalità della scissione, ma nella sua struttura e nei sistemi di tutela predisposti dall'ordinamento (complessivamente ed unitariamente considerato).
I rimedi «societari» come sistema «chiuso» di tutela. L'indirizzo contrario all'ammissibilità della revocatoria
Escluso, dunque, che la soluzione della problematica in esame possa essere rintracciata nella natura riorganizzativa dell'atto di scissione, secondo l'indirizzo contrario, la incompatibilità tra revocatoria e scissione deriverebbe dalla circostanza che il legislatore ha voluto, con riferimento alle operazioni straordinarie, costruire un sistema «chiuso» ed «autosufficiente» di tutele. In altre parole, si afferma che sarebbe stato previsto un compendio normativo a tutela dei creditori sociali per le ipotesi di scissione, che assume carattere assorbente rispetto all'istituto civilistico dell'azione revocatoria, in quanto idoneo a coprire ogni possibile ipotesi di pregiudizio della posizione creditoria (L. Rivieccio, Tutela dei creditori sociali tra azione revocatoria e scissione societaria, 1050; F. Fimmanò, Corte di Giustizia e revocatoria preferenziale della scissione, cit., 121 ss.; Trib. Roma, 19 ottobre 2015).
Come già sopra accennato, i mezzi di tutela - strettamente societari - sarebbero, precisamente, costituiti, in primo luogo, dall'opposizione esperibile dai creditori sociali ai sensi dell'art. 2503 c.c.; in secondo luogo, dal regime di responsabilità solidale di ciascuna delle società coinvolte dalla scissione per i debiti della società scissa, previsto dagli artt. 2506-quater, comma 3, e 2506-bis, comma 3, c.c. ancorché nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto; infine, nel diritto dei soci e dei terzi danneggiati dalla scissione al risarcimento dei danni cagionati dal compimento dell'operazione (art. 2504-quater, comma 2, c.c., richiamato per la scissione dall'art. 2506-ter, u.c., c.c.).
In altre parole, in ragione della peculiarità dell'istituto della scissione, il legislatore ha apprestato peculiari e autosufficienti strumenti di tutela dei terzi, procedendo, già in astratto, ad un bilanciamento degli interessi coinvolti:la tutela dei creditori, da una parte,le esigenze di certezza dei traffici giuridici, particolarmente sentite in ambito societario, dall'altra. Secondo i fautori di una simile ricostruzione, questo sistema non tollera l'«intrusione» di ulteriori mezzi di tutela approntati dall'ordinamento civilistico che avrebbero come effetto quello di «sbilanciare» l'equilibrio a favore (solo) dei creditori della scissa, ignorando gli altri interessi e le altre aspettative coinvolte nell'operazione.
Proprio sulla scorta di tali argomentazioni, la decisione della Corte di cassazione qui commentata è stata dai primi annotatori criticata. Secondo tale impostazione, essa appare pesantemente condizionata da un approccio metodologico incline a conferire prevalenza agli aspetti civilistici della questione, sottovalutando ingiustamente i profili attinenti al diritto societario (cfr., sul punto, F. Magliulo, La Cassazione si pronuncia sull'ammissibilità dell'azione revocatoria nella scissione, cit., 43).
L'argomentazione non appare condivisibile.
Essa, infatti, appare criticabile già sotto il profilo metodologico in quanto immagina la possibilità di scomporre in compartimenti stagni, non dialoganti tra loro, l'ordinamento giuridico, il quale, al contrario, è (necessariamente) unitario e si fonda sul principio di non contraddizione. Così, l'argomentazione si traduce in una aprioristica affermazione di supremazia dell'ordinamento (speciale) rispetto agli istituti ordinari ed in una, altrettanto aprioristica, negazione della possibilità di un coordinamento tra i vari segmenti dell'ordinamento (sul punto, P. Pototschnig, Corte di Giustizia e Corte di cassazione convergono sulla revocabilità della scissione, cit., 476).
Ma, anche a prescindere dalla precedente considerazione, e per come è stato affermato in giurisprudenza, appare estremamente difficile, sia dal punto di vista teorico che da quello pratico, ritenere che le poche norme dettate in materia di fusione e scissione societaria possano essere sufficienti a disciplinare ogni aspetto o problematica che, in concreto, possa presentare un'operazione di scissione o di fusione societaria; gli strumenti dell'opposizione dei creditori (art. 2503 c.c.), del risarcimento del danno (art. 2504-quater, comma 2, c.c.) e della responsabilità solidale delle società beneficiarie (art. 2506-bis c.c.), non appaiono pienamente soddisfacenti rispetto alle esigenze di tutela sottese all'azione revocatoria. Conseguentemente, non si può affermare che, con le suindicate norme, il legislatore abbia inteso delineare un microsistema di tutela dei creditori in grado di soddisfare anche le (residuali) esigenze sottese all'azione revocatoria fallimentare e ciò per due ordini di ragioni: nessuna disposizione si esprime espressamente in tal senso; i particolari strumenti di tutela previsti o hanno un oggetto diverso o producono effetti più limitati rispetto a quello della revocatoria fallimentare (così, Trib. Palermo, 25 maggio 2012).
E, infatti, mentre tanto il rimedio preventivo dell'opposizione alla scissione quanto il regime di responsabilità solidale delle società coinvolte nella scissione operano con esclusivo riguardo ai creditori anteriori alla scissione (S.F. Marzo, La controversa revocabilità della scissione societaria, cit., 1144; P. Pototschnig, Corte di Giustizia e Corte di cassazione convergono sulla revocabilità della scissione, cit., 476), l'azione revocatoria può essere utilmente esperita anche dai creditori posteriori all'atto pregiudizievole, nel concorrere, ovviamente, dei relativi presupposti. Se, al contrario, non si ammette la compatibilità tra revocatoria e scissione, ai creditori posteriori alla scissione resterebbe l'unica tutela rappresentata dalla domanda risarcitoria exart. 2504-quater,comma 2, c.c. Tuttavia, appare lecito dubitare della equiparabilità tra «danno revocatorio» e danno ex art. 2504-quater c.c., definendo ciascuna norma entità sostanzialmente diverse: il primo (indiretto) deriva dalla lesione della garanzia patrimoniale, il secondo dalla lesione diretta del patrimonio del creditore (in questo senso, ancora Trib. Palermo, 25 maggio 2012).
Ma sotto un profilo più generale (che inerisce, dunque, alla posizione anche dei creditori anteriori alla scissione) non può negarsi la funzionalità della ammissione della revocatoria.
Come è noto, per giurisprudenza costante, in tema di revocatoria, ai fini dell'integrazione del presupposto dell'eventus damni, è sufficiente la maggiore difficoltà del creditore a soddisfare il proprio diritto; in particolare, il creditore si ritiene pregiudicato non solo quando il patrimonio del debitore diventi incapiente, ma anche nell'ipotesi in cui il creditore, a seguito dell'atto di disposizione compiuto dal debitore, sia costretto ad intraprendere procedure maggiormente dispendiose, aleatorie o lunghe, ovvero quando sussista un pericolo di danno derivante dall'atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta l'esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità (Cass., 17 luglio 2007, n. 15880). Ciò in quanto l'azione revocatoria ha la funzione, non solo di ricostituire la garanzia generica del patrimonio del debitore assicurata al creditore, ma anche di garantire uno stato di maggiore fruttuosità e speditezza dell'azione esecutiva diretta a far valere la detta garanzia, con la conseguenza che non èrichiesta la prova della totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soloil compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito (Cass., 6 dicembre 2007, n. 25433; Cass., 20 ottobre 2008, n. 25490) e può essere sufficiente una modificazione qualitativa del patrimonio del debitore, a seguito della dismissione di cespiti immobiliari, con conversione del patrimonio in denaro o beni facilmente occultabili (nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma, 1 agosto 2019; Trib. Milano, 13 febbraio 2020, Trib. Brescia, 8 gennaio 2020, tutte in DeJure).
Orbene, non vi è dubbio che, in molti casi, la disarticolazione del patrimonio della scissa in favore delle beneficiarie, da un lato, comporti una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta l'esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità e, dall'altro, imponga al creditore intraprendere procedure maggiormente dispendiose, aleatorie o lunghe.
In altre parole, non può essere dimenticato che la responsabilità solidale della società scissa e delle beneficiarie ai sensi dell'art. 2506-quater, ultimo comma, c.c. (al pari dell'art. 2506-bis, comma 3, c.c., per i debiti non espressamente assegnati) è, in ogni caso, limitata al valore effettivo del patrimonio netto assegnato o rimasto a ciascuna delle società interessate dalla scissione. In questa prospettiva, sebbene le richiamate norme tendano a ricostruire l'unitarietà della garanzia patrimoniale con conseguente invarianza di essa, se riguardata dal punto di vista del complessivo patrimonio destinato ai creditori (sul punto, insiste particolarmente,F. Magliulo, L'inammissibilità dell'esercizio dell'azione revocatoria nei confronti della scissione, cit., 32; in giurisprudenza, Trib. Modena, 22 gennaio 2010 secondo il quale la responsabilità solidale delle società coinvolte è idonea a sterilizzare il profilo dell'eventus damni), la ripartizione del patrimonio medesimo tra più soggetti - e, in taluni casi, tra parecchi soggetti - implica, di per sé, un pregiudizio per il creditore (S.F. Marzo, La controversa revocabilità della scissione societaria, cit., 1145).
La «irretrattabilità» degli effetti della scissione. Un (necessario) chiarimento non meramente terminologico
L'argomento principale sul quale si fonda l'orientamento contrario alla compatibilità tra azione revocatoria e scissione fa riferimento alla irretrattabilità dell'atto di scissione.
Come è noto, l'art. 2504-quater,comma 1 c.c., dettato in tema di fusione e richiamato per la scissione dall'art. 2506-ter, quinto comma, c.c., prevede che, eseguite le iscrizioni dell'atto a norma del secondo comma dell'art. 2504 c.c., l'invalidità dell'atto non può più essere pronunciata.
Il principio della pubblicità sanante della fusione, e della scissione, invalida, introdotto nell'ordinamento italiano con il d.lgs. 16 gennaio 1991, n. 22, trova la sua origine nella terza direttiva comunitaria (dir. 78/855/CE del 9 ottobre 1978):il legislatore comunitario, al fine di garantire la sicurezza giuridica nelle relazioni sia fra le società interessate che fra queste ed i terzi nonché fra gli azionisti, aveva invitato gli Stati a limitare i casi di nullità della fusione ed a prevedere la sanatoria dei vizi ogni volta che ciò fosse possibile e, comunque, un termine breve per l'esercizio dell'azione di nullità.
La scelta del legislatore italiano è stata più drastica, in quanto ha ricollegato la preclusione della dichiarazione di nullità della fusione (così come della scissione), una volta intervenuta la pubblicità nel registro dell'imprese dell'atto di fusione, ad ogni vizio attinente al procedimento che a quella fusione (così come della scissione) ha condotto. La relazione di accompagnamento al testo legislativo precisa che il principio espresso dalla disposizione in esame è stato inserito in ragione delle gravissime difficoltà che nascerebbero qualora si fosse dichiarata nulla una fusione già attuata: difficoltà inerenti sia alla suddivisione dei patrimoni ormai unificati, e nel tempo intercorrente fino alla formazione del giudicato, modificati magari profondamente, sia alla ricostituzione delle compagini dei soci partecipanti all'operazione.
Sebbene, peraltro, la sanatoria sia formalmente riferita soltanto alla invalidità dell'atto di fusione o di scissione, essa ha ad oggetto tutto il percorso che conduce a quell'atto il quale costituisce atto esecutivo delle deliberazioni assembleari di fusione (e, dunque, anche di scissione). Infatti, in giurisprudenza, si afferma che la sanatoria di cui all'art. 2504-quater c.c. si estende a tutto il procedimento di fusione ed è comprensivo di ogni ipotesi di vizio dell'atto. La sanatoria, dunque, opera sia con riferimento a vizi che comportano l'inefficacia dell'atto sia con riferimento ai vizi della delibera di approvazione del progetto di fusione contro cui il creditore ha proposto opposizione (Trib. Milano, 8 settembre 2003, in Giur. comm., 2005, II, 198; Trib. Milano, 11 gennaio 2007, in Soc., 2008, 481; Trib. Roma, 23 settembre 1998, in Soc., 1999, 458; in particolare, si veda, Cass., 1 giugno 2012, n. 8864 a mente della quale la preclusione della declaratoria di invalidità dell'atto di fusione, sancita dall'art. 2504-quater c.c. quale effetto dell'iscrizione nel registro delle imprese, tutela l'affidamento dei terzi e la certezza dei traffici, sicché, quando l'iscrizione di un atto di fusione nel registro delle imprese sia avvenuta in base ad una sequenza procedimentale priva di significative e riconoscibili anomalie esteriori, pur se si voglia, e nei limiti in cui si possa, ipotizzare una ragione d'inesistenza giuridica di una delle deliberazioni assembleari propedeutiche assunte dalle società interessate all'operazione, non ne consegue la giuridica inesistenza anche dell'atto di fusione ormai iscritto nel registro, e resta perciò esclusa la possibilità d'impugnarlo al fine di farne venir meno gli effetti o di mettere in discussione gli effetti da esso già prodotti. Donde il difetto, in simili situazioni, dell'interesse a far accertare non solo la nullità o l'annullabilità, ma anche la pretesa inesistenza giuridica dell'anzidetta deliberazione assembleare).
Ebbene, va in primo luogo osservato come la compatibilità tra revocatoria e scissione non potrebbe essere predicata in ragione della restrizione del campo di operatività del principio di irretrattabilità dell'atto alle sole ipotesi di invalidità e con esclusione delle ipotesi di inefficacia dell'atto medesimo (così, invece, S.F. Marzo, La controversa revocabilità della scissione societaria, cit., 1139) e ciò in ragione di una presunta natura eccezionale della norma di cui all'art. 2504-quater c.c., come tale non suscettibile di interpretazioni analogiche (così, invece, Trib. Palermo, 24 gennaio 2004).
Infatti, a parte la circostanza che il principio di irretrattabilità sembra rappresentare l'espressione di un vero e proprio principio di carattere generale in materia di operazioni straordinarie (così, F. Magliulo, La cassazione si pronuncia sull'ammissibilità dell'azione revocatoria nella scissione, cit., 49), appare del tutto evidente come dichiarare l'inefficacia dell'atto di scissione vorrebbe dire paralizzare l'efficacia dell'atto e, quindi, impedire che si protragga nel tempo l'articolazione organizzativa societaria uscita dalla scissione medesima. Si raggiungerebbe, per tale via, un risultato del tutto analogo a quello della dichiarazione di nullità e, forse, anche deteriore per l'organizzazione societaria la quale, pur rimanendo ferma a livello di atto (non venendo posto nel nulla l'atto di scissione), non sarebbe più idonea a produrre i suoi propri effetti. In altre parole, una situazione di vera e propria stagnazione (per l'organizzazione societaria) dalla quale sarebbe ben difficile uscire.
Ciò posto, a parere di chi scrive, occorre valutare (non già se il concetto di inefficacia rientri nella nozione di invalidità posta dall'art. 2504-quater c.c., ma) se l'esperimento dell'azione revocatoria sia idoneo a lambire i profili di efficacia dell'atto di scissione.
A ben vedere, quando si parla di revocatoria dell'«atto di scissione» si commette un errore terminologico e concettuale dal quale consegue una modifica della prospettiva di esame della problematica. Infatti, se l'azione revocatoria fosse davvero rivolta nei confronti dell'«atto di scissione» e se la finalità fosse effettivamente quella di far dichiarare dal giudice l'inefficacia di detto «atto», dovrebbe necessariamente concludersi per la sua inammissibilità, per le ragioni appena esposte.
Tuttavia, la revocatoria non si dirige affatto contro l'«atto di scissione», ma, esclusivamente, nei confronti delle assegnazioni patrimoniali ad esso conseguenti. Invero, la dichiarazione di inefficacia dell'atto dispositivo consistito nell'assegnazione alla società beneficiaria di parte del patrimonio della società scissa non interferisce sulla validità dell'atto di scissione bensì, in considerazione della natura relativa dei suoi effetti, consente ai creditori della società scissa ovvero al curatore del fallimento della società scissa di recuperare all'attivo del fallimento i beni che dal patrimonio della scissa sono usciti (nel caso di pronuncia ex art. 64 l. fall. ovvero ex art. 67 l. fall.), oppure, ottenuta declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c., di esercitare sui beni stessi, appartenenti alla società beneficiaria, azione esecutiva ex art. 2902 c.c. (in questo senso, Trib. Roma, 16 agosto 2016, cit.).
In altre parole, per impostare correttamente il problema occorre distinguere i profili organizzativi dai profili patrimoniali connessi all'operazione di scissione ed ammettere che il principio di irretrattabilità degli effetti della scissione ha riguardo esclusivamente ai primi, restando insensibile al contenuto specifico degli atti di assegnazione patrimoniale.
L'art. 2504-quater c.c. impedisce quella che è stata definita la «scomparsa della scissione» per tale intendendosi la scomparsa dell'organizzazione a cui si imputa il patrimonio assegnato con la scissione: ciò che non può scomparire è l'organizzazione creata e,più precisamente, il soggetto di diritto distinto dalla scissa (N. De Luca, La revocatoria della scissione secondo la Corte UE. Prime riflessioni, cit., 205). Così, il principio della irretrattabilità degli effetti della scissione riguarda soltanto gli effetti riorganizzativi, incidenti sulla scomposizione e ricomposizione degli assetti contrattuali e statutari delle società coinvolte nell'operazione, e non anche quelli meramente patrimoniali, consistenti nell'assegnazione di porzioni del patrimonio da un soggetto ad un altro.
D'altra parte, è stato efficacemente affermato che l'operazione di scissione «non consiste in un atto di disposizione del patrimonio (essa non incide, cioè, sul “contenuto”) bensì nella divisione della società cui detto patrimonio appartiene (essa incide, cioè, sul “contenitore”): lo spostamento di una porzione del patrimonio ne è solamente una conseguenza e a questo proposito si deve parlare, più correttamente, di assegnazione (…) della porzione patrimoniale al nuovo ente sorto dalla scissione» (così, S. Buonocore, La scissione societaria e i reati di bancarotta, in Giur. comm., 2016, 85).
Proprio una simile affermazione conferma, dunque, che validità dell'atto ed inefficacia dell'attribuzione patrimoniale (ovvero dello spostamento di una porzione del patrimonio) si pongono necessariamente su piani del tutto distinti.
L'irretrattabilità dell'atto di scissione non viene ad essere incisa dall'esperimento dell'azione revocatoria in quanto la prima si rivolge, appunto, all'atto di scissione - che, effettivamente, a seguito dell'adozione delle formalità pubblicitarie eseguite nel registro delle imprese, non può più essere posto in discussione tramite azioni rivolte al suo annullamento (utilizzando quest'ultimo termine in senso lato) - mentre la seconda incide soltanto sullo spostamento patrimoniale conseguente a quell'atto.
In questa prospettiva, se l'atto di scissione è «garantito» dalla irretrattabilità dei suoi effetti, nessuna norma garantisce l'irretrattabilità di una certa consistenza patrimoniale delle società coinvolte nella scissione, quasi come, a seguito della stipulazione dell'atto di scissione, le diverse consistenze patrimoniali dovessero essere fotografate e cristallizzate.
Sulla base di tali considerazioni, l'azione revocatoria (sia quella ordinaria che quella fallimentare) può ritenersi ammissibile anche ove diretta contro un atto di scissione (rectius: contro gli effetti patrimoniali scaturenti dall'atto di scissione), proprio perché mediante tale azione non si mira a ricostituire l'assetto societario preesistente all'atto di scissione, ma solo alla reintegrazione della garanzia patrimoniale del debitore inciso da tale operazione mediante la declaratoria di inefficacia dei trasferimenti patrimoniali scaturiti dalla stessa (S.F. Marzo, La controversa revocabilità della scissione societaria, cit., 1142).
D'altra parte, in diversi campi, l'ordinamento conosce la separazione tra effetti organizzativi e patrimoniali (così, N. De Luca, La revocatoria della scissione secondo la Corte UE. Prime riflessioni, cit., 205; in senso contrario,C. Angelici, La revocatoria della scissione nella giurisprudenza, cit., 121 e, successivamente, A. Paciello, La revocatoria della scissione, cit., 536 secondo il quale «è indubbio che la norma [sulla invalidità della scissione] intenda assicurare la stabilità degli effetti complessivi dell'operazione e quindi anche delle porzioni patrimoniali che in una prospettiva dinamica, propria del diritto societario, sono oramai entrate a far parte degli assets di un'altra impresa»).
Ad es., il conferimento in una società può essere dichiarato nullo senza che ciò importi la nullità della società (da ultimo, Trib. Roma, 27 gennaio 2020, in Foro it., 2020, I, 1072 ed in Soc., 2020, 4, 425, con nota di N. de Luca, A. Gentile, Dalla cessione al conferimento (senza poteri) dell'intera azienda) e ciò in ragione della presenza di una norma, quale quella cristallizzata nell'art. 2332 c.c., che limita la possibilità di pronunziare la nullità della società a solo talune cause tassativamente previste.
In altre parole, una volta intervenuta l'iscrizione nel registro delle imprese, la società si distacca dalla sua fonte negoziale, ossia dal contratto costitutivo, per assumere la personalità giuridica che la rende autonoma dai suoi soci (artt. 2330 e 2331 c.c.). Così, con l'iscrizione la legge assegna a quanto convenuto dai soci quel determinato carattere che ne rende irrilevanti gli originari elementi, volitivi o di altra natura, sottostanti all'accordo negoziale, conferendo autonoma consistenza al dato organizzativo ed alla attività programmata che può così esplicarsi in tutte le sue forme. Inoltre, l'art. 2332 c.c. prevede non solo il principio di tassatività delle nullità, ma sancisce anche che il motivo di nullità si risolve in una causa di scioglimento della società. In questo contesto, la dichiarazione di nullità del conferimento implica che - ferma restando l'intervenuta costituzione della società - quel conferimento dovrà considerarsi come mai entrato nel patrimonio della società neo-costituita ed ancora di proprietà del socio conferente. Spetterà, poi, all'organo gestorio della società conferitaria valutare le ricadute della dichiarazione di nullità del conferimento in punto (non già di validità della società, ma) di reale consistenza del capitale sociale e, dunque, di eventuale scioglimento della società medesima.
Sempre nell'ambito di tali considerazioni, va anche ricordato che nessuno dubita della esperibilità dell'azione revocatoria che abbia ad oggetto un conferimento. Come correttamente osservato nella giurisprudenza di legittimità, l'azione revocatoria avente ad oggetto il negozio di conferimento è ammissibile, non interferendo sulla validità del contratto costitutivo della società e quindi non ostandovi l'art. 2332 c.c., riguardante (solo) la nullità di quel contratto e non i vizi della singola partecipazione, che restano regolati dalle norme generali, né subendo alcun vulnus il principio di separazione del patrimonio societario rispetto a quello dei soci, non determinando l'esito favorevole della stessa alcun ritorno del bene nella disponibilità del debitore, salva l'esposizione ad eventuali azioni esecutive e conservative, né, infine, precludendola la disciplina in tema di trascrizione (Cass., 22 ottobre 2013, n. 23891;Cass., 9 febbraio 2016, n. 2536;Cass., 22 novembre 1996, n. 10359; nella giurisprudenza di merito, da ultimo: Trib. Latina, 17 aprile 2020 in corso di pubblicazione su Foro it.; Trib. Torino, 20 febbraio 2015, in questo portale; Trib. Bologna, 22 febbraio 2019, secondo il quale il conferimento di un bene in una società di capitali è atto (traslativo) idoneo a pregiudicare le ragioni del creditore del conferente, dato che sostituisce nel suo patrimonio al bene ceduto un titolo di partecipazione a "capitale di rischio" e, pertanto, è impugnabile con azione revocatoria, tenendosi conto che questa non interferisce sulla validità del contratto costitutivo della società (e quindi non trova ostacolo nelle disposizioni dell'art. 2332 c.c.), né si riverbera in danno dei creditori sociali, i quali sono tutelati dal comma ultimo del citato art. 2901 c.c. sulla salvezza dei diritti acquistati dai terzi in buona fede; in dottrina, F. Briolini, Le azioni restitutorie dei conferimenti in natura, Torino, 2008, 151 s.; M. Campobasso, L'imputazione di conoscenza nelle società, Milano, 2002, 209 ss.; F.S. Martorano, La revocatoria dei conferimenti in società di capitali, Milano, 2000, 120 ss.).
Ma se così è, le medesime considerazioni devono valere, a fortiori, anche per le attribuzioni patrimoniali eseguite in sede di scissione (il punto, è lucidamente colto da N. De Luca, La revocatoria della scissione secondo la Corte UE. Prime riflessioni, cit., 205). L'atto di scissione resterà (sempre) fermo e, dunque, irretrattabile, mentre le assegnazioni patrimoniali eseguite potranno essere dichiarate inefficaci limitatamente, peraltro, alla posizione del creditore attore in revocatoria. Successivamente all'aggressione dell'assegnazione patrimoniale da parte del creditore che ha utilmente esperito l'azione revocatoria, spetterà agli amministratori della società beneficiaria di quell'assegnazione valutare la consistenza patrimoniale della società stessa (privata del bene aggredito) ed intraprendere tutte le misure conseguenti.
Sulla base di queste coordinate, sebbene la decisione della Corte di cassazione in commento sembri adombrare una limitazione dell'operatività dell'art. 2504-quater c.c. alla sola categoria della invalidità e con esclusione della inefficacia dell'atto, appare corretta l'affermazione, ivi proposta, secondo la quale la regola della irretrattabilità mira ad evitare la demolizione dell'operazione straordinaria e la reviviscenza delle società originarie, ma appare pienamente compatibile con la natura e gli effetti dell'azione revocatoria, strumento di conservazione della garanzia patrimoniale, che agisce sul registro della mera inopponibilità dell'atto al creditore pregiudicato.
Né coglie nel segno, ad avviso di chi scrive, la considerazione che, avendo il legislatore creato il sistema normativo a tutela di tutti i creditori, la revocatoria del patrimonio, inteso comeun unicum di attività e passività,pregiudicherebbe tra l'altro i creditori delle beneficiarie posteriori alla scissione che - nelle more - abbiano fatto affidamento sulla situazione patrimoniale delle società senza valutare la potenziale assenza di patrimonio, neppure segnalabile in bilancio in quanto solo eventuale ed indeterminabile (così, F. Fimmanò, Corte di Giustizia e revocatoria preferenziale della scissione, cit., 133).
E, invero, tale pericolo è insito in qualsiasi azione revocatoria laddove coloro che siano diventati creditori dell'acquirente del bene oggetto dell'atto da revocare dopo la stipulazione di tale atto abbiano fatto affidamento su quell'acquisto e non si vede la ragione per cui questo «rischio» dovrebbe essere sottostimato per le tutte le ordinarie revocatorie e, al contrario, sovrastimato, fino a renderla inammissibile, per la revocatoria che abbia ad oggetto le attribuzioni patrimoniali conseguenti alla operazione di scissione.
In conclusione
In definitiva, Corte di cassazione e Corte di Giustizia dell'Unione europea convergono sull'ammissibilità dell'azione revocatoria nei confronti delle assegnazioni patrimoniali poste in essere in esecuzione di una operazione di scissione societaria.
Le conclusioni cui giungono le due Corti meritano di essere condivise in quanto, se da un lato, rispettano nei limiti del possibile l'esigenza di certezza dei traffici giuridici (che, tuttavia, non può essere assunta a «monolite inscalfibile» dell'assetto patrimoniale conseguente alle assegnazioni stabilite con l'atto di scissione, come efficacemente osservato da P. Pototschnig, Corte di Giustizia e Corte di cassazione convergono sulla revocabilità della scissione, cit., 478), dall'altro, apprestano ai creditori danneggiati dall'operazione di scissione un importante mezzo di tutela.
L'azione revocatoria, infatti, per come evidenziato nei precedenti paragrafi, non si rivolge nei confronti dell'atto di scissione e non lede il principio di irretrattabilità degli effetti di essa, avendo ad oggetto (soltanto) le assegnazioni patrimoniali conseguenti a quell'atto: in questa prospettiva, essa opera esclusivamente, al pari di altre ipotesi, sui profili patrimoniali dell'operazione straordinaria, laddove quell'operazione ponga in pericolo il soddisfacimento del credito.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.
Sommario
Il contrasto dottrinario e giurisprudenziale in tema di compatibilità tra azione revocatoria e scissione
La scissione di società tra profili traslativi e profili riorganizzativi
I rimedi «societari» come sistema «chiuso» di tutela. L'indirizzo contrario all'ammissibilità della revocatoria
La «irretrattabilità» degli effetti della scissione. Un (necessario) chiarimento non meramente terminologico