Le attività in potenziale concorrenza possono costituire oggetto del patto di cui all'art. 2125, c.c.
12 Giugno 2020
Possono costituire oggetto di un valido patto ex art. 2125, c.c. anche attività incluse in un settore non coincidente con quello in cui opera la parte datoriale? In linea generale, le clausole di non concorrenza sono finalizzate a garantire la parte datoriale rispetto a qualsiasi “esportazione” del patrimonio immateriale aziendale presso imprese concorrenti. Il legislatore, tuttavia, mediante l'art. 2125, c.c., pone attenzione anche alla tutela del lavoratore, ovviando al rischio che suddette clausole comprimano eccessivamente la libertà di scelta dello stesso circa la direzione della propria attività lavorativa verso altre occupazioni. Sono previste, infatti, delle limitazioni, sia sotto il profilo spaziale che temporale, alla validità del patto di non concorrenza, dovendo lo stesso prevedere anche un corrispettivo adeguato per il lavoratore, a pena di nullità. In merito all'estensione dell'oggetto di tale patto, la giurisprudenza ha affermato che - in assenza di specifiche indicazioni da parte dell'art. 2125, c.c. – debba aversi riguardo non solo all'attività del lavoratore – ossia alle concrete mansioni svolte in esecuzione del rapporto cessato – ma anche allo specifico settore produttivo o commerciale nel quale opera il datore. Dovranno essere escluse, pertanto, quelle che, in quanto estranee a suddetto settore, sarebbero inidonee a ledere gli interessi del datore. Tuttavia, oggetto del patto potranno essere anche attività lavorative potenzialmente in concorrenza con quella datoriale. Queste andranno identificate in relazione a ciascun mercato, nelle sue oggettive strutture, ove convergono domande ed offerte di beni o servizi identici, oppure reciprocamente alternativi e/o fungibili, e comunque parimenti idonei ad offrire beni o servizi nel medesimo mercato. Cfr.: Cass., sez. lav., 26 maggio 2020, n. 9790; Cass., sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2514.
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