È ritorsivo il licenziamento intimato a seguito dell'azione giudiziaria intrapresa dal lavoratore avverso l'azienda

Marta Filippi
12 Giugno 2020

È ritorsivo, e pertanto nullo, il licenziamento intimato al lavoratore che ha precedentemente adito l'autorità giudiziaria al fine di impugnare dei provvedimenti sanzionatori emessi dalla società datrice di lavoro nei suoi confronti. Tale comportamento si pone, infatti, in aperto e chiaro contrasto con il fondamentale diritto di azione sancito all'art. 24 della Costituzione e non può certo costituire legittima motivazione di licenziamento...
Massima

È ritorsivo, e pertanto nullo, il licenziamento intimato al lavoratore che ha precedentemente adito l'autorità giudiziaria al fine di impugnare dei provvedimenti sanzionatori emessi dalla società datrice di lavoro nei suoi confronti. T

Tale comportamento si pone, infatti, in aperto e chiaro contrasto con il fondamentale diritto di azione sancito all'art. 24 della Costituzione e non può certo costituire legittima motivazione di licenziamento.

Ne consegue che pur essendo citati motivi oggetti e soggettivi a supporto dell'atto di recesso nella lettera di licenziamento il carattere ritorsivo dell'atto datoriale risulta esclusivo e determinate, in conformità con il dettato dell'art. 1345 c.c., ed in quanto tale idoneo da assorbire ogni ulteriore indagine circa gli ulteriori motivi addotti dalla resistente nell'atto di recesso.

Il caso

Con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale di Bari un lavoratore impugnava il provvedimento di licenziamento intimatogli dalla società datrice di lavoro affinché ne venisse dichiarata la reale natura ritorsiva con applicazione della tutela reintegratoria di cui all'art. 18 comma 1 della l. n. 300 del 1970.

A sostegno della propria tesi il ricorrente affermava di aver sollevato delle questioni attinenti al bilancio della Fondazione datrice di lavoro relativo all'anno 2014 e come da tale vicenda fossero poi originati due procedimenti disciplinari terminati con l'irrogazione di due multe nei suoi confronti, successivamente impugnati dal lavoratore avanti al competente giudice del lavoro.

Solo successivamente la società datrice di lavoro, prima con lettera informativa all'ITL e poi con comunicazione diretta al dipendente, procedeva al licenziamento dello stesso per giustificato motivo oggettivo e soggettivo dando conto di ulteriori comportamenti negligenti avvenuti nel corso del 2017, pur mettendo in rilievo l'incompatibilità ambientale sorta tra le parti a seguito dell'impugnazione dei provvedimenti disciplinari avanti l'autorità giudiziaria.

Si costituiva in giudizio la Fondazione chiedendo invece di dichiarare legittimo il licenziamento. All'esito del giudizio il Tribunale dichiarava illegittimo il licenziamento in quanto viziato da motivo illecito determinante e pertanto ritorsivo in quanto posto in essere esclusivamente al fine di rappresaglia contro l'iniziativa giudiziaria intrapresa dal lavoratore.

La questione

La questione giuridica sottesa al presente giudizio riguarda l'accertamento della natura ritorsiva del licenziamento intimato dalla società datrice di lavoro ad un dipendente, che precedentemente aveva adito il giudice del lavoro al fine di contestare l'irrogazione di due multe quale sanzione adottata nei suoi confronti all'esito di due giudizi disciplinari, aldilà dei formali motivi di natura oggettivi e soggettivi posti alla base dell'atto di recesso.

Accertamento che dovrà ad ogni modo rilevare il carattere determinate ed esclusivo del motivo illecito.

Le soluzione giuridiche

Il Tribunale barese nel caso di specie all'esito dell'istruttoria dichiara il licenziamento impugnato illegittimo, nello specifico nullo, in quanto determinato esclusivamente da motivo illecito ex art. 1345 cc, disponendo, così, l'applicazione del regime sanzionatorio di cui all'art. 18 comma 1 dello Statuto dei lavoratori.

A tale conclusione il giudice arriva attraverso l'esame degli atti di causa ed un'articolata motivazione. Infatti osserva come sia nella comunicazione inviata all'ITL sia nella successiva lettera di licenziamento siano adotti quali cause giustificativi del recesso da un lato motivi soggettivi riferiti a comportamenti negligenti e di insubordinazione e dall'altro quale motivo oggettivo esclusivamente quello attinente ad una incompatibilità ambientale sorta tra il lavoratore e la datrice di lavoro. Ebbene, afferma il giudice come dalla stessa nota inviata all'ITL emerga che tale incompatibilità sia originata a sua volta dai due giudizi instaurati dal lavoratore avverso i pregressi provvedimenti disciplinari, venendo messi in secondo piano i successivi comportamenti negligenti neppure specificati.

Allo stesso modo la lettera di licenziamento riporta le medesime motivazioni e lo stesso riferimento all'incompatibilità ambientale. Ancora sottolinea il Tribunale come anche nelle note difensive depositate dalla Fondazione venga messa in risalto la connessione tra l'incompatibilità ambientale e l'azione giudiziaria attivata dal lavoratore nel corso del 2015.

Risulta evidente allora come il motivo ritorsivo sia l'unico che abbia effettivamente determinato il licenziamento avendo vissuto la società la scelta di adire il giudice del lavoro, in luogo di instaurare il procedimento arbitrario, alla stregua di un gesto di irreparabile conflitto.

Tuttavia, l'aver intrapreso un giudizio avverso la propria società datrice di lavoro non può certo rappresentare una valida motivazione di licenziamento posto che il diritto di azione rappresenta un principio fondamentale dell'ordinamento giuridico costituzionalizzato all'art. 24 della nostra Carta Fondamentale, che assume inoltre ancor più valore quando diretto alla tutela di un bene giuridico di primaria importanza come il posto di lavoro.

Argomenta ancora il giudice, in aderenza con la giurisprudenza maggioritaria che richiede al magistrato di accertare il carattere esclusivo e determinante del motivo illecito, che nel caso di specie l'evidenza del motivo contra ius derivi con chiarezza precisione e concordanza oltre che dagli atti di causa anche dalle dichiarazioni della Fondazione, le quali assumo carattere di confessione stragiudiziale, assorbendo la necessità di ogni ulteriore indagine.

Dall'analisi di quanto affermato appare, dunque, indubbio come l'iniziativa datoriale trovi la propria ragione solamente nella volontà di rappresaglia contro l'iniziativa giudiziale del lavoratore. Infine, evidenzia il giudice come il motivo ritorsivo prescinda dalle motivazioni formalmente addotte a sostegno dello stesso.

Osservazioni

Correttamente il giudice nel caso di specie individua nel licenziamento intimato al lavoratore la natura di atto ritorsivo in quanto derivante esclusivamente dalla decisione assunta dallo stesso di rivolgersi all'autorità giudiziaria al fine di veder annullati i provvedimenti disciplinari antecedentemente irrogatigli. Come tale essa non può certo rappresentare una motivazione valevole ai fini della legittimità del recesso datoriale in quanto in pieno contrasto con i diritti costituzionalmente tutelati di diritto all'azione e alla tutela giudiziaria e pertanto palesemente contra ius.

Del resto, in accordo, con l'ordinanza emessa dal tribunale adito, la determinanza del motivo illecito appare palesarsi proprio in quel costante richiamo operato dalla resistente all'incompatibilità ambientale sorta a seguito delle due impugnazioni giudiziali e più volte dalla stessa ammesso. Che dunque il licenziamento sia dovuto a tale decisione del lavoratore emerge chiaramente e ciò assorbe ogni ulteriore verifica, tanto più che gli ulteriori motivi di incompatibilità ambientale, seppur citati nella lettera di licenziamento, non vengono specificati e conseguentemente sfuggono alla valutazione giudiziaria.

Principio cardine dell'ordinamento è infatti quello in base al quale il licenziamento sia giustificato da un motivo di natura oggettiva o soggettiva, laddove tali siano pretestuosi, l'atto dovrà ritenesi nullo per violazione dell'art. 1345 c.c, con conseguente applicazione della tutela reale ex art. 18, St. lav., come modificato dalla l. n. 92 del 2012, che al primo comma nell'elencare le ipotesi di nullità del licenziamento fa espresso riferimento al motivo illecito determinante.

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