Quando va aumentato il compenso per l'avvocato che assiste più parti?

Massimo Vaccari
15 Giugno 2020

Con l'ordinanza in commento la Suprema Corte torna ad esaminare la questione, invero tuttora alquanto controversa, dei presupposti per l'applicazione del parametro che prevede un aumento del compenso per il difensore della parte vittoriosa in giudizio che abbia assistito più soggetti o che abbia assistito un unico soggetto nei confronti di più parti.
Massima

Quando in una causa l'avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, la facoltà riconosciuta al giudice dall'art. 4, comma 2, prima parte, del d.m. n. 55/2014, di aumentare il compenso unico per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, prefigura a carico dello stesso giudice l'onere di motivare, sia nell'evenienza in cui ritenga di riconoscere l'aumento, sia nell'evenienza contraria

Il caso

Due soggetti oppongono davanti alla Corte di Appello il decreto del consigliere designato con il quale era stato parzialmente accolto il ricorso da loro proposto per ottenere l'indennizzo da irragionevole durata di un giudizio.

La Corte d'appello accoglie l'opposizione limitatamente alle spese della fase monitoria (aggiunge l'importo di Euro 27,00) e compensa integralmente le spese della fase di opposizione.

Gli stessi soggetti propongono allora ricorso per cassazione anche avverso quest'ultimo decreto e deducono, tra gli altri motivi, che, poiché le parti vittoriose nella fase innanzi al consigliere designato erano state due, l'importo da liquidarsi a titolo di compenso avrebbe dovuto essere aumentato del 20% per ogni assistito ulteriore rispetto al primo mentre sul punto la corte nulla aveva motivato.

La corte di Cassazione accoglie tale motivo e cassa con rinvio la decisione impugnata, sulla scorta del principio di cui alla massima.

La questione

Con l'ordinanza in commento la Suprema Corte torna ad esaminare la questione, invero tuttora alquanto controversa, dei presupposti per l'applicazione del parametro che prevede un aumento del compenso per il difensore della parte vittoriosa in giudizio che abbia assistito più soggetti o che abbia assistito un unico soggetto nei confronti di più parti (art. 4, comma 2, d.m. n. 55/2014, primo e secondo periodo, modificato dall'art. 1, comma, 1 lett. c) d.m. n. 37/2018).

A ben vedere i dubbi che pone tale previsione sono molteplici. Quelli affrontati dalla pronuncia riguardano: la necessità o meno di una espressa istanza della parte interessata, quale presupposto dell'aumento; l'obbligo per il giudice di motivare sia il riconoscimento dell'aumento che il diniego di esso ed ancora quella se l'aumento vada riconosciuto per la sola circostanza della pluralità di assistiti.

Altro dubbio, non meno rilevante, che però non viene esaminato dalla decisione, è quello di come la previsione di cui si discute si concili con quella, di segno opposto, che stabilisce che: «Nell'ipotesi in cui, ferma l'identità di posizione processuale dei vari soggetti, la prestazione professionale nei confronti di questi non comporta l'esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto, il compenso altrimenti liquidabile per l'assistenza di un solo soggetto è di regola ridotto del 30 per cento» (art. 4, comma 4, d.m. n. 55/2014, modificato dall'art. 1, comma, 1 lett.d) d.m. n. 37/2018).

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento afferma che, sebbene la norma citata attribuisca al giudice la facoltà di riconoscere l'aumento, egli ha l'onere di motivare, sia nell'evenienza in cui ritenga di incrementare il compenso, sia nell'evenienza contraria e tale principio vale anche nel caso, quale pare essere stato quello di specie, in cui le parti non abbiano richiesto espressamente l'aumento.

Infatti i Giudici di legittimità non hanno verificato se i ricorrenti avessero espressamente richiesto la maggiorazione in primo grado, così dimostrando di ritenere che il giudice possa, ed anzi debba, prescindere da tale domanda per verificare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione del parametro.

Orbene, tale posizione risulta in palese contrasto con quella che la Suprema Corte ha espresso in altre occasioni

Occorre infatti tener presente che più volte la Cassazione, a prescindere dalla esistenza o meno di una istanza della parte interessata, ha affermato la «natura discrezionale del potere del giudice, nel pronunciare la condanna del soccombente alle spese, di aumentare la parcella, in caso di pluralità di parti con identica posizione processuale, assistite e difese da uno stesso avvocato» (così già Cass. civ., sez. III, 21 marzo 1994, n.2649 e, più recentemente, negli stessi termini Cass. civ,sez. II, 26 marzo 2019, n.8399).

Conforme a tale indirizzo è poi una pronuncia di alcuni anni fa (Cass. civ., sez. III,8 luglio 2010, n.16153) che, con riguardo alla corrispondente previsione della tariffa forense, aveva ribadito la discrezionalità della applicazione della maggiorazione per l'assistenza e difesa di ogni altro soggetto oltre il primo ma aveva anche precisato che: «…come è strutturata la norma, il principio generale è costituito dalla non maggiorazione dell'onorario, in assenza di specifiche ragioni. Tale onorario può essere maggiorato dal giudice: se c'è tale esercizio del potere discrezionale, il giudice deve darne motivazione adeguata. … Un obbligo di motivazione sussiste altresì se la parte abbia non solo espressamente richiesto tale maggiorazione di cui al cit. art. 5, comma 4, d.m. n. 585/1994, ma anche abbia sottoposto al giudice le ragioni che la giustificano (che non possono consistere nel solo fatto della pluralità di assistiti). In questo caso, se il giudice non ritenga di far proprie quelle argomentazioni e neghi la richiesta maggiorazione dell'onorario, deve indicare la ragioni per cui non ha aderito alla motivata richiesta».

Ancora non va dimenticato che un'altra pronuncia ha affermato che nell'ipotesi in esame «l'unico onorario può essere percentualmente aumentato soltanto se la prestazione abbia comportato l'esame di particolari situazioni di fatto o di diritto» (Cass. civ., sez. II, 26 agosto 2015, n.17147).

Osservazioni

La pronuncia in esame non merita di essere condivisa sia perchè non ha ritenuto rilevante, ai fini dell'accoglimento del ricorso, la verifica in ordine al dato formale dell'esistenza di una domanda di aumento del compenso da parte degli interessati sia perché non ha valutato il profilo sostanziale delle eventuali peculiarità delle difese svolte in favore delle due parti.

A ben vedere la diversità di posizioni dei due ricorrenti in Cassazione probabilmente avrebbe potuto essere esclusa poiché essi avevano entrambi patito la medesima irragionevole durata del giudizio originario.

Nel caso esaminato dalla Corte non si era invece posta la questione, altrettanto controversa, di come la previsione che consente l'aumento del compenso per la difesa di più parti si concili con l'esistenza di un altro parametro, contemplato dall'art. 4, comma 4, d.m. n. 55/2014, che prevede la riduzione del compenso «nell'ipotesi in cui, ferma l'identità di posizione processuale dei vari soggetti, la prestazione professionale nei confronti di questi non comporta l'esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto…».

Apparentemente i due parametri sono applicabili cumulativamente cosicchè il procedimento che si dovrebbe seguire sarebbe il seguente:

  • prima di tutto di dovrebbe individuare il compenso liquidabile per l'assistenza di un solo soggetto in base ai parametri;
  • l'importo così ottenuto andrebbe aumentato del trenta per cento tante volte quanti sono i soggetti assistiti oltre al primo e il risultato andrebbe poi diminuito del trenta per cento.

Tale meccanismo comporta però due operazioni di segno contrario di cui sfuggono sia il senso che l'utilità.

Le due norme devono quindi avere funzioni diverse.

L'apparente contrasto tra esse non pare altrimenti risolvibile che ritenendo che il primo parametro trovi applicazione ai fini della liquidazione delle spese giudiziali a carico del soccombente ed il secondo ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore, tenuto conto che esso fa riferimento alla “prestazione professionale resa” in favore dei soggetti assistiti.

A conforto di tale interpretazione va evidenziato che nella tariffa forense era presente una disposizione simile (art. 5, comma 5, d.m. 8 aprile 2004), che stabiliva che: «Nella ipotesi in cui, pur nell'identità di posizione processuale dei vari clienti, la prestazione professionale comporti l'esame di loro situazioni particolari di fatto o di diritto rispetto all'oggetto della causa, l'avvocato ha diritto, al compenso secondo tariffa, ridotto del 30%».

Con riguardo al regime allora vigente la Cassazione aveva evidenziato che: «L'art. 5 d.m. n. 585/1994, relativo ai criteri generali per la liquidazione degli onorari degli avvocati, fa riferimento a seconda dei casi alla liquidazione a carico del soccombente od a quella nei confronti del cliente. La disciplina dei primi due commi, per espressa previsione normativa, riguarda certamente la liquidazione a carico del soccombente. Non così, invece, la disposizione del comma 5, dove si parla in modo esplicito della identità di posizione processuale "dei vari clienti" e dove, quindi, viene enunciato un criterio destinato a regolare il diritto al compenso dell'avvocato non nei confronti del soccombente, ma nel rapporto con il cliente» (Cass. civ., 10 settembre 2007, n. 18941).

Quel parametro peraltro ricollegava la riduzione del compenso alla circostanza che l'assistenza non avesse richiesto l'esame di questioni distinte per ciascuno dei clienti, dovendo ritenersi che nella sua formulazione fosse stato omesso un “non” prima di “comporti”.

Tale limitazione è stata invece esplicitata nel testo dell'art. 4, comma 4, del d.m. n. 55/2014 cosicchè la sua applicazione comporta che la riduzione va effettuata, anche se, a seguito della modifica di cui dall'art. 1, comma, 1 lett.d) d.m. n. 37/2018, il compenso «è ridotto in misura non superiore al 30 per cento».