Porta via due pennelli dell’azienda: legittimo il licenziamento

La Redazione
15 Giugno 2020

Fatale, a fine turno, un controllo nello zainetto del dipendente: così vengono rinvenuti due pennelli, praticamente identici a quelli usati in azienda. Il modico valore degli oggetti sottratti non rende meno grave la condotta del lavoratore. Legittimo perciò il drastico provvedimento adottato dalla società datrice di lavoro.

Portar via di nascosto due pennelli dal luogo di lavoro può costare il licenziamento. Esemplare la decisione con cui anche in Cassazione è stato confermato il drastico provvedimento adottato da una società nei confronti di un dipendente, beccato a nascondere nel proprio zainetto, alla chiusura del turno, due pennelli di provenienza aziendale. (Cassazione, sentenza n. 11005/20, sezione lavoro, depositata oggi).

Ricostruito nei dettagli l'episodio che ha spinto la società datrice di lavoro a mettere alla porta il dipendente. In sostanza, al termine del turno di lavoro sono stati rinvenuti nello zainetto del dipendente due pennelli, «considerati di provenienza aziendale, vista la somiglianza a quelli in uso in azienda e presenti in magazzino».

Per i giudici di merito la censurabile azione compiuta dal lavoratore è sufficiente per legittimare il licenziamento deciso dalla società. In particolare, in secondo grado si ritiene «provato l'addebito» poiché il dipendente «non ha dimostrato la proprietà da parte sua dei pennelli» né «ha fornito una logica alternativa a quella della illecita sottrazione al fine di trarne un ingiusto profitto ai danni dell'azienda». A corredo di questa visione poi anche le parole di alcuni testimoni: essi hanno «confermato l'uguaglianza dei pennelli sottratti con quelli adoperati in azienda».


Tirando le somme, per i giudici di merito «la sanzione del licenziamento è proporzionata», essendo evidente «l'idoneità della condotta» tenuta dal lavoratore «a ledere il vincolo fiduciario» con la società, e ciò, viene aggiunto, «a prescindere dal modico valore economico dei pennelli».

La linea seguita prima in Tribunale e poi in Appello viene contestata duramente dal difensore del lavoratore. In prima battuta il legale mette in discussione la veridicità stessa della sottrazione addebitata al suo cliente, soprattutto per ciò che concerne «l'accertamento della provenienza aziendale dei due pennelli» rinvenuti nello zainetto dell'uomo.


Subito dopo il legale contesta anche che la condotta ipoteticamente tenuta dal suo cliente sia catalogabile come «furto in azienda», essendo più logico, a suo parere, parlare di «appropriazione di una res nullius». E sempre in questa ottica anche sostenuta pure «l'inidoneità della sottrazione di un bene di esiguo valore» a «ledere il vincolo fiduciario» con l'azienda, anche tenendo presente, aggiunge il legale, «la disponibilità mostrata dal lavoratore all'ispezione», a conferma della sua buonafede di fronte al «controllo a campione».

Per i giudici della Cassazione, però, la visione difensiva non è sufficiente a mettere in discussione la legittimità del licenziamento. Innanzitutto, perché non vi sono dubbi sulla «indebita appropriazione» compiuta dal lavoratore, una volta accertata «la proprietà aziendale dei pennelli», certificata anche dalla «testimonianza dei dipendenti della società incaricata dei controlli a campione, che avevano effettuato l'ispezione», controllando lo zainetto del lavoratore. E in questa ottica è ritenuta significativa anche «la mancata offerta da parte del dipendente di una giustificazione plausibile» a fronte del «ritrovamento nel suo zaino di oggetti da lui stesso dichiarati non di sua proprietà». Ciò comporta che non si può certo parlare di ‘res nullius'.

Logico, quindi, parlare di «furto in azienda» che il contratto collettivo «include tra le fattispecie passibili della massima sanzione». Anche per questo è corretto, e confermato, «il giudizio di proporzionalità» del licenziamento alla luce della «idoneità della condotta a ledere il vincolo fiduciario, inteso come possibilità di affidamento del datore di lavoro nell'esatto adempimento delle prestazioni future». E questa visione, concludono i giudici della Cassazione, non può essere scalfita dal richiamo all'«esiguo valore dei beni sottratti».

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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