Efficacia della clausola di prelazione statutaria

Lorenzo Lentini
16 Giugno 2020

Il presente contributo affronta il tema, di notevole rilievo pratico, delle conseguenze della violazione della clausola di prelazione prevista negli statuti delle s.p.a. o s.r.l. Illustrati gli orientamenti della giurisprudenza in ordine agli effetti della prelazione statutaria, con riferimento ai rimedi avverso la violazione della medesima, nonché gli interessi di cui sono portatori i diversi soggetti coinvolti nella fattispecie, l'Autore esplora i limiti entro i quali è configurabile una tutela piena ed effettiva del socio premetermesso, fino ad ammettere in determinate ipotesi la sussistenza in capo a quest'ultimo di un diritto potestativo di riscatto della partecipazione, esercitabile nei confronti dell'acquirente.
La violazione della prelazione statutaria: interessi in gioco e potenziali conseguenze

L'art. 2469 c.c. afferma il principio della libera trasferibilità delle quote di s.r.l., ma consente la previsione nello statuto di deroghe a tale principio. Analogamente l'art. 2355 c.c. disciplina la circolazione delle azioni, da assimiliare ai titoli di credito secondo l'opinione prevalente, ma il seguente art. 2355-bis prevede che lo statuto possa sottoporre il trasferimento delle azioni “a particolari condizioni”.

É interessante notare come nessuna delle suddette disposizioni disciplini puntualmente le clausole di prelazione statutaria, rimettendo all'autonomia privata la relativa regolamentazione. Nondimeno è agevole individuare il contenuto tipico della clausola di prelazione, della cui validità non vi è ragione di dubitare, nell'obbligo in capo al socio intenzionato ad alienare la propria partecipazione di preferire, a parità di condizioni, un altro socio, a discapito di un offerente terzo rispetto alla compagine sociale.

Se lo schema sopra descritto rappresenta l'elemento caratterizzante ogni clausola di prelazione, l'autonomia statutaria risulta decisiva nella determinazione delle forme procedimentali che il socio alienante è tenuto a osservare, in particolare per quanto riguarda le modalità della denuntiatio, i termini e le condizioni per l'esercizio del diritto nonché, come vedremo, la portata degli effetti della clausola.

L'individuazione in concreto delle modalità di funzionamento della prelazione statutaria rappresenta, infatti, il risultato di una faticosa ricerca dell'equilibrio fra interessi contrapposti, emergenti in sede di costituzione della società o di ridisegno degli assetti statutari.

Muovendo dal profilo finalistico, è diffusa l'opinione secondo cui lo scopo primario della prelazione statutaria sia quello di mantenere inalterata la compagine sociale, in ipotesi di exit di uno dei soci. Detta situazione dovrebbe tutelare l'interesse non solo dei soci, ma anche della società, sul presupposto, comune alle clausole di gradimento, che una compagine sociale armonica (o addirittura ristretta ai fondatori) possa giovare al perseguimento degli obiettivi sociali.

Accanto alla preservazione dell'omogeneità della base sociale, la clausola di prelazione statutaria persegue però un fine ulteriore, che la differenzia dalle clausole di gradimento: un fine egoistico, nella misura in cui investe l'interesse esclusivo dei soci, coincidente con la salvaguardia dei rapporti di forza endosocietari, tema al quale la società resta, di regola, estranea e indifferente.

Come è stato osservato, l'interesse perseguito con la clausola di prelazione denota, dal punto di vista dei soggetti ai quali è attribuita la posizione di vantaggio (i soci prelazionari), un duplice segno: negativo, se si guarda all'obiettivo di impedire l'ingresso dell'acquirente terzo nella compagine sociale; positivo, se si considera specularmente l'obiettivo, correlato a un interesse certamente meritevole di tutela, di rendersi acquirenti della partecipazione in vendita, con l'ovvia constatazione per cui la realizzazione dell'interesse positivo produce di per sè l'effetto associato all'interesse negativo.

Esplorando ulteriormente il profilo degli interessi facenti capo ai vari soggetti coinvolti nella fattispecie, emerge l'interesse del socio alienante a una rapida “monetizzazione” della partecipazione, risultando il medesimo tendenzialmente indifferente rispetto all'identità dell'acquirente (salva l'ipotesi dell'alienazione parziale), posto che l'obbligo di preferire il prelazionario sorge naturalmente a parità di condizioni.

L'interesse configurabile in capo alla società, la cui posizione appare talora trascurata in sede di esame della questione, è quello al mantenimento dell'efficiente funzionamento degli organi sociali, favorito dalla certezza dei rapporti giuridici endosocietari, in particolare sotto il profilo della legittimazione all'esercizio dei diritti di intervento e voto. Di converso, una situazione di incertezza sulla spettanza di tali diritti rallenta i processi decisionali e crea un clima di permanente dissidio tra soci, inevitabilmente deteriorando la qualità del governo societario. Peraltro il compito dell'organo chiamato a verificare la legittimazione del terzo acquirente si complica vieppiù nelle ipotesi in cui la violazione della clausola non sia affatto palese, come può essere nel caso di un trasferimento non preceduto dalla denuntiatio, bensì emerga in un contesto di formale rispetto del procedimento previsto nello statuto, a tacer delle situazioni in cui sia necessario entrare nel merito delle condizioni offerte.

In proposito è curioso notare come la soluzione accolta dalla giurisprudenza prevalente, che ritiene la clausola statutaria di prelazione opponibile solamente dalla società all'acquirente, si riveli la più penalizzante per la società stessa, chiamata a gestire la situazione e i rischi associati a una partecipazione sostanzialmente “adespota”, laddove il negozio giuridico di trasferimento della partecipazione è perfettamente valido, ma all'acquirente è precluso l'esercizio dei diritti nascenti dalla medesima.

Con riferimento infine all'acquirente, estraneo alla compagine societaria, se da un lato è evidente l'interesse di quest'ultimo a godere pienamente dei diritti inerenti alla partecipazione, dall'altro lato l'ampiezza della tutela concedibile a detto interesse, in caso di violazione della prelazione statutaria, è oggetto di discussione: invero, proprio l'intensità del sacrificio posto a carico del terzo acquirente finisce per determinare, come vedremo, la natura dei rimedi utilizzabili dal socio pretermesso.

La questione delle conseguenze della violazione della clausola di prelazione statutaria, che impegna da lungo tempo dottrina e giurisprudenza, può essere affrontata ipotizzando un variegato ventaglio di rimedi, di seguito illustrato.

Un primo indirizzo, che ha inizialmente trovato conforto giurisprudenziale, predicava la nullità del negozio di trasferimento della partecipazione, ma è risultato presto superato, non versandosi in alcuna delle fattispecie di invalidità previste per i contratti.

La maggioranza dei commentatori, supportata dalla giurisprudenza prevalente, propende per l'inefficacia del negozio di trasferimento (c.d. “efficacia reale” della clausola di prelazione), a differenza di quanto avviene in ipotesi di prelazione prevista a livello parasociale, ove gli effetti del patto sono di tipo obbligatorio e vincolano soltanto i paciscenti. Ciò premesso, l'inefficacia del negozio di trasferimento può essere diversamente modulata, in base alle conseguenze in concreto prospettate:

- inefficacia relativa, nel senso che il negozio è efficace tra le parti, ma inopponibile nei confronti della società, con la conseguenza che quest'ultima può rifiutare l'iscrizione del trasferimento nel libro soci e l'acquirente non è legittimato a esercitare i diritti inerenti alla partecipazione ceduta. Secondo la presente ricostruzione, di gran lunga maggioritaria, compete al socio pretermesso una tutela di tipo risarcitorio per equivalente, essendogli preclusa l'azione ai sensi dell'art. 2932 c.c.;

- inefficacia assoluta, nel senso cheil trasferimento della partecipazione sociale è inefficace nei confronti non soltanto della società, ma anche del socio pretermesso, legittimato a esercitare il diritto di riscatto della partecipazionecontro l'acquirente.

La posizione della giurisprudenza

La tesi largamente prevalente nella giurisprudenza è che la clausola di prelazione statutaria abbia efficacia reale e che la sua violazione sia sanzionata con l'inopponibilità nei confronti della società del negozio di trasferimento, che rimane valido ed efficace tra le parti, ferma restando la responsabilità contrattuale del socio alienante nei confronti dei beneficiari della prelazione, sulla base delle comuni regole in tema di inadempimento.

Il principio è stato recentemente affermato da Cass. Civ. 22/06/2016, n. 12956: “La clausola di prelazione di acquisto di quote sociali contenuta in un patto parasociale non è incompatibile con analoga clausola di prelazione statutaria (nella specie avente un oggetto più limitato, riguardando i soli atti di trasferimento a titolo oneroso e non anche quelli a titolo gratuito), atteso che, mentre la prelazione convenzionale ha esclusivamente effetti obbligatori tra le parti e la sua eventuale violazione, comportando unicamente un obbligo di risarcimento del danno in capo al soggetto inadempiente, non pone in discussione il corretto funzionamento dell'organizzazione sociale o la formazione del capitale, la prelazione statutaria ha efficacia reale e, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente”.

Il fondamento della teoria dell'efficacia reale della clausola di prelazione statutaria viene individuato nella particolare funzione “organizzativa” svolta dallo statuto di una società di capitali: in particolare, l'inserimento della prelazione nello statuto consente di attribuire alla clausola una valenza sociale, che soddisfa l'interesse pluralistico a conservare l'omogeneità della compagine societaria, a differenza di quanto avviene in ipotesi di previsione all'interno di un patto parasociale, laddove in rilievo è l'interesse egoistico del socio a tutelare la propria posizione soggettiva.

Il carattere sociale della prelazione statutaria giustifica, secondo la giurisprudenza della Corte, la sanzione dell'inefficacia nei confronti della società, che può rifiutarsi di iscrivere l'acquirente nel libro soci.

I principi di cui sopra emergono chiaramente da Cass. Civ. 03/06/2014, n. 12370: “L'inserimento in uno statuto di s.r.l. di una clausola di prelazione assume (oltre alla funzione di regolare le posizioni soggettive di soci o di terzi) una rilevanza organizzativa, incidendo sul rapporto tra l'elemento capitalistico e quello personale della società, nel senso dì accrescere il peso del secondo elemento rispetto al primo nella misura che i soci ritengano di volta in volta più adatta alle esigenze dell'ente; trattandosi quindi di regola organizzativa della società (e quindi regola di un gruppo organizzato alla quale deve sottostare chiunque voglia entrare a far parte del gruppo stesso), gli effetti della clausola statutaria di prelazione sono opponibili anche al terzo acquirente”.

Nello stesso senso si colloca Cass. Civ. 23 luglio 2012, n. 12797: "Il patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali ed avente ad oggetto l'acquisto delle azioni sociali, poiché è preordinato a garantire un particolare assetto proprietario, ha efficacia reale e, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente” .

Dall' “efficacia reale” della clausola di prelazione contenuta nello statuto viene fatta discendere la facoltà, per la società e per i soci pretermessi, di non riconoscere la qualità di socio in capo al terzo che abbia acquistato la partecipazione in violazione del diritto di prelazione spettante agli altri soci.

Ai fini del risarcimento del danno il socio pretermesso deve allegare e provare la sussistenza del proprio interesse a rendersi acquirente della partecipazione e l'avvenuta lesione di tale interesse, oltreché il nesso di causa tra la lesione stessa e la violazione del patto di prelazione da parte del socio alienante. In particolare il socio dovrà provare di avere espresso una manifestazione chiara dell'intenzione di acquistare la partecipazione al medesimo prezzo offerto dal terzo acquirente (cfr. Trib. Milano, 9 marzo 2015, in giurisprudenzadelleimprese.it).

Tuttavia, la violazione della prelazione statutaria non attribuisce al socio pretermesso il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell'acquirente, poiché il riscatto rappresenta un rimedio specifico azionabile in situazioni tassativamente previste dalla legge, a tutela dei titolari di diritti di prelazione di fonte legale. In questi termini si esprime Cass. Civ. 08/04/2015, n. 7003: “La violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta l'obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, alla stregua delle norme generali sull'inadempimento delle obbligazioni, e non anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell'acquirente. Il diritto di riscatto non integra un rimedio generale in caso di violazione di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela specificamente apprestata dalla legge e conformativa dei diritti di prelazione previsti per legge, spettante ai relativi titolari”.

Il suddetto principio è consolidato anche nella giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Milano, 17.12.2012, in giurisprudenzadelleimprese.it): “poiché il diritto di riscatto costituisce un così intenso limite all'autonomia contrattuale ed al principio generale di cui all'art. 1379 c.c. che non può ravvisarsi in ipotesi diverse da quelle di prelazione legale in tal senso espressamente regolate dalla legge (retratto successorio, prelazione agraria, prelazione nell'ambito della locazione di immobili ad uso non abitativo)”.

Un'ulteriore argomentazione a supporto della non configurabilità di un diritto di riscatto dei soci pretermessi si basa sull'analisi del meccanismo della prelazione, che non prevede una promessa a stipulare suscettibile di esecuzione coattiva, bensì un mero obbligo di denuntiatio, con facoltà del denunziante di non accettare la proposta dell'oblato e, in definitiva, di non procedere ad alcuna vendita: "La denuntiatio rappresenta la mera dichiarazione di un'intenzione a vendere ad un terzo, volta ad innescare un'eventuale proposta di acquisto da parte dell'oblato, alle medesime condizioni dichiarate nella denuntiatio, proposta alla quale dunque, per la conclusione del negozio di cessione, deve far seguito un'ulteriore accettazione del denunziante, solo in presenza della quale si può dire concluso il negozio. E' allora da respingere la configurazione della denuntiatio e del conseguente atto di esercizio della prelazione quali, rispettivamente, proposta contrattuale e correlativa accettazione, idonee a dar vita ad un negozio di cessione(Trib. Milano, 24 aprile 2013, in giurisprudenzadelleimprese.it).

Verso una tutela “reale” piena ed effettiva

Abbiamo visto come l'indirizzo prevalente in giurisprudenza finisca per penalizzare non soltanto il socio pretermesso, al quale viene accordata una mera tutela risarcitoria per equivalente, ma anche la stessa società, chiamata a confrontarsi con una partecipazione sostanzialmente “adespota”, nella misura in cui il negozio giuridico di trasferimento della partecipazione è perfettamente valido, ma all'acquirente è precluso l'esercizio dei diritti nascenti dalla medesima. Considerate anche le inefficienze derivanti dal suesposto scenario, alcuni commentatori ammettono la configurabilità di un diritto potestativo di riscatto della partecipazione in capo al socio pretermesso, diritto esercitabile nei confronti dell'acquirente.

Alla base di tale orientamento è posta l'esigenza di assicurare al socio pretermesso, parte lesa e incolpevole, una tutela in forma specifica, che si risolve nell'attribuzione al beneficiario del bene della vita oggetto di aspirazione (i.e. la partecipazione al prezzo offerto dall'acquirente), avuto riguardo al principio di effettività della tutela risarcitoria e tenuto conto delle difficoltà per la parte lesa di provare, in termini di an e di quantum, il danno derivante dalla violazione di una clausola di prelazione.

Se l'adesione a un regime di efficacia reale ha il pregio di assicurare al socio pretermesso una posizione analoga a quella che si sarebbe verificata nell'ipotesi in cui gli accordi fossero stati rispettati dalle parti, al contempo non può essere revocato in dubbio come l'ammissione sul piano teorico di tale forma di tutela presupponga il superamento dell'argomento più convincente a favore di chi esclude la configurabilità del diritto potestativo di riscatto, quello basato sul principio di relatività del contratto.

Infatti, come evidenziato anche dalla citata Cass. Civ. 23 luglio 2012,n. 12797, se la clausola statutaria di prelazione ha comunque natura pattizia, l'art. 1372, comma 2, c.c. osta alla produzione di effetti sfavorevoli a carico dell'acquirente (soggetto estraneo alla convenzione), alla luce del principio di intangibilità della sfera giuridica dei terzi, posto che la soggezione al potere altrui di riscatto costituisce indubbiamente un effetto sfavorevole dal punto di vista dell'acquirente della partecipazione.

Al fine di superare detta obiezione occorre allora muovere dai richiamati principi di Cass. Civ. 03/06/2014, n. 12370 con riferimento alla clausola di prelazione statutaria, definita dalla Corte “regola organizzativa della società (e quindi regola di un gruppo organizzato alla quale deve sottostare chiunque voglia entrare a far parte del gruppo stesso)”.

Un ulteriore passo nella suddetta direzione è ammettere la possibilità, sul piano della validità prima che dell'efficacia, che la clausola di prelazione statutaria delinei un potere di riscatto in capo ai soci: in merito la dottrina non ravvisa ostacoli teorici, rilevando come l'ordinamento già conosca le azioni riscattabili, “per le quali lo statuto prevede un potere di riscatto da parte della società o dei soci” (art. 2437sexies c.c.).

Alla luce di quanto sopra osservato, il potere di riscatto potrebbe statutariamente essere collegato all'ipotesi di trasferimento avvenuto in violazione della clausola di prelazione, eventualmente previa fissazione di un prezzo non inferiore al valore minimo di liquidazione delle azioni in caso di recesso, realizzandosi per tale via l'efficacia reale della clausola.

Al riguardo, invero, anche senza ricorrere allo strumento delle azioni riscattabili, l'opponibilità al terzo acquirente del potere di riscatto, previsto nello statuto, conseguirebbe comunque all'affermata “rilevanza organizzativa” della prelazione e alla vincolatività delle disposizioni statutarie nei riguardi del soggetto che assume, sia pure in modo precario, la qualità di socio a seguito dell'acquisto della partecipazione. In particolare la clausola di prelazione, che mantiene il suo carattere pattizio, non può ritenersi infrangere il principio di intangibilità della sfera giuridica del terzo perchè non esplica effetti diretti nei confronti dell'acquirente, bensì effetti mediati dall'intervento dello statuto, alle cui previsioni il terzo soggiace nel momento in cui acquista la partecipazione.

Detta ricostruzione, che evoca un meccanismo di efficacia reale “triangolata”, consente di affermare che non è il “contratto prelazione” a porre il terzo in uno stato di soggezione all'altrui diritto potestativo, bensì lo stesso esercizio dell'autonomia negoziale di quest'ultimo, dovendosi peraltro considerare come la conoscibilità (con l'ordinaria diligenza) della clausola di prelazione, derivante dalla pubblicità dello statuto, giustifichi il sacrificio dell'interesse patrimoniale facente capo all'acquirente, sotto il profilo dell'ottimale distribuzione dei rischi tra i vari soggetti coinvolti nella fattispecie.

Guida all'approfondimento

In dottrina:

C. Angelici, La circolazione della partecipazione azionaria, in G.E. Colombo –

G.B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, Torino, 1991, 190;

G. Sbisà, Clausole statutarie sul trasferimento delle azioni, in G. Fre – G. Sbisà,

Società per azioni artt. 2325 – 2409 cod. civ., in Commentario del Codice Civile

Scialoja-Branca (a cura di) Francesco Galgano, Bologna, 1997;

F. Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2003, 212;

C. Busi, Le clausole di prelazione statutaria nella s.p.a., inRiv. notariato, fasc.3, 2005, 453;

G. Ferri, Prelazione statutaria e potere di riscatto, in Giurisprudenza Commerciale, fasc.2, 2015, 299;

C. Ghidini, La vexata quaestio del retratto nella prelazione societaria: fra prelazione legale e convenzionale, tertium datur, in Giurisprudenza Commerciale, fasc.5, 2017, 884

C. Ravina, Trasferimento di quote di s.r.l. in violazione della clausola di prelazione: tra inopponibilità al terzo acquirente ed esclusione del riscatto per i soci pretermessi, in Ilsocietario.it, 2015.

AA. VV., Azioni riscattande, prezzo di vendita e patto leonino, in Rivista del Notariato, fasc.3, 2018, 671.

In giurisprudenza:

Cass. Civ. 22/06/2016, n. 1295

Cass. Civ. 03/06/2014, n. 12370

Cass. Civ. 23 luglio 2012,n. 12797

Trib. Milano, 9 marzo 2015, 24 aprile2013, 17 dicembre 2012.

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