Direzione e coordinamento societario: prevale il principio di effettività

Matteo Tambalo
16 Giugno 2020

Per l'esistenza di un gruppo di imprese assoggettate a direzione e coordinamento non è indispensabile che la sua costituzione risulti da atti formali o che le società controllate operino simultaneamente, prevalendo il principio di effettività...
Massima

Per l'esistenza di un gruppo di imprese assoggettate a direzione e coordinamento non è indispensabile che la sua costituzione risulti da atti formali o che le società controllate operino simultaneamente, prevalendo il principio di effettività – cui è ispirata la disciplina dettata dagli artt. 2497 ss. c.c. – con riferimento all'inizio, allo svolgimento e alla cessazione dell'attività di direzione e coordinamento considerata dalla legge.

Il caso

Il curatore del fallimento di una società proponeva opposizione avverso il provvedimento che non aveva ammesso al passivo del fallimento di altra società il credito risarcitorio (per sottrazione di merci e denaro, indebito incasso di crediti verso terzi e perdita di avviamento e clientela) che, secondo la curatela, trovava il proprio fondamento nell'appartenenza di entrambe le società a un unico gruppo imprenditoriale, a capo del quale si collocava la holding di famiglia e al cui interno era stata preordinata un'operazione diretta a determinare la decozione della prima e il trasferimento dei suoi beni materiali e immateriali alla seconda.

Il Tribunale di Palermo respingeva l'opposizione, reputando non ravvisabile un gruppo di imprese soggette a direzione e coordinamento, né tantomeno una fattispecie distrattiva a danno di una delle società (quella il cui credito risarcitorio non era stato ammesso al passivo) e in favore dell'altra, dal momento che quest'ultima era stata costituita successivamente alla dichiarazione di fallimento della prima e che le società avevano sostanzialmente operato in tempi diversi.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso proposto dalla curatela avverso il provvedimento del Tribunale di Palermo, affermando che è possibile ravvisare l'esistenza di una società di fatto costituita per l'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento di altre società anche se non vi sia un'esteriorizzazione.

La curatela che aveva chiesto l'ammissione al passivo del credito risarcitorio aveva rappresentato che fra le tre società riconducibili alla stessa famiglia era stato istituito un unico gruppo imprenditoriale, all'interno del quale era stata preordinata un'operazione tesa a farne fallire una (quella nel cui interesse era stata proposta la domanda di insinuazione) per trasferire i suoi beni materiali e immateriali all'altra, anch'essa poi dichiarata fallita e nei confronti della quale era stata rivolta l'istanza di ammissione al passivo.

A fronte dei plurimi elementi evidenziati dalla curatela e denotanti il fatto che tutte e tre le società erano state gestite dagli stessi vertici e assoggettate a un unico centro di interesse, facente capo alla medesima famiglia, il giudice siciliano aveva reputato determinante, al fine di escludere l'esistenza di un gruppo, la circostanza per cui le tre società avevano operato in tempi diversi, mentre non poteva configurarsi l'operazione distrattiva prospettata dalla curatela per il semplice fatto che la società beneficiaria, allorché l'altra venne dichiarata fallita, non era stata ancora costituita.

La Corte di cassazione, tuttavia, ha escluso che gli elementi considerati dal Tribunale di Palermo potessero assumere valore determinante, poiché l'apprezzamento dell'esistenza di un gruppo non implica che la costituzione delle società o dell'ente di controllo debba essere desunta da atti formali (visto che la pubblicità prevista dall'art. 2497-bis c.c. non ha funzione costitutiva ma di mera notizia), né che vi sia simultaneità operativa: in tema di gruppi, infatti, prevale su tutto il principio di effettività, con riferimento all'inizio, allo svolgimento e alla cessazione dell'attività considerata dalla legge.

Al di là degli indici formali, dunque, ciò che rileva è la situazione di fatto e, nel caso di specie, la circostanza per cui non potevano nutrirsi dubbi sull'esistenza di più società facenti capo a un centro direzionale (familiare) unitario assumeva, secondo i giudici di legittimità, rilievo determinante, fermo restando che, ai fini dell'operatività dell'art. 2497 c.c., dev'essere fornita la prova dell'attività di direzione e coordinamento nel cui contesto è stata realizzata la condotta lesiva, integrata dalla violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale e determinante la compromissione dell'integrità del patrimonio di una delle controllate.

Osservazioni

La sentenza in commento svolge un'interessante analisi di alcuni aspetti cardine della disciplina codicistica dell'attività di direzione e coordinamento di società (contenuta negli artt. 2497 e seguenti), con particolare riferimento ai profili della responsabilità, del principio di effettività e della configurabilità stessa di un gruppo.

In primo luogo, la Corte si sofferma sulla fisionomia dell'art. 2497 c.c., ricordando come, fatti salvi i cosiddetti vantaggi compensativi, la norma preveda che le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono responsabili per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società.

La responsabilità, come noto, deriva dall'esercizio abusivo dell'attività di direzione e coordinamento, qualora questa si spinga a essere contraria ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale; l'esercizio dell'attività in parola, al fine di non incorrere in responsabilità, non deve tradursi in misure o attività che risultino arbitrarie e vessatorie nei confronti delle società eterodirette, prive di sostanziale giustificazione dal punto di vista dell'interesse imprenditoriale del gruppo e, in ogni caso, non deve arrecare un pregiudizio notevole e permanente all'integrità patrimoniale e alla capacità lucrativa delle società stesse, le quali non debbono divenire strumenti che possano arrecare danno a creditori sociali e/o a soci di minoranza (Guerrera, Illecito e responsabilità nelle organizzazioni collettive, Milano, 1991).

L'attività di direzione e coordinamento, infatti, è legittima se esercitata nel rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società controllata, nel senso che quest'ultima, nonostante la direzione unitaria della controllante, deve essere in grado di perseguire il suo fine proprio di creare valore, mentre sussiste responsabilità se l'attività di direzione è esercitata in funzione dell'interesse esclusivo imprenditoriale della controllante e di terzi e in conflitto con quello della controllata, tanto da arrecare pregiudizio al patrimonio di quest'ultima (Trib. Milano, 27 febbraio 2019).

Con riguardo ai legittimati passivi, ossia coloro che possono essere chiamati a rispondere della responsabilità in parola, la sentenza ricorda come questi possano essere sia società che enti (e altresì, sulla scorta di quanto chiarito dalla Corte stessa con sentenza n. 5520 del 6 marzo 2017, anche la cosiddetta holding persona fisica) che siano a capo di più società – in veste di titolari di quote o partecipazioni azionarie – e svolgano in modo stabile l'indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società medesime. Considerata l'ampia formula utilizzata dal legislatore, la responsabilità può essere ravvisata in capo a società di ogni tipo (ossia tanto di capitali, quanto di persone), nonché alle cosiddette società di fatto.

Nella sentenza che si annota viene inoltre precisato che, ai sensi dell'art. 2497, comma 2, c.c., risponde in solido con la capogruppo anche chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio. Con riguardo a tale aspetto si ritiene utile ricordare che la responsabilità solidale di chi ha preso parte al fatto lesivo risulta quale applicazione dei principi generali in materia di inadempimento e di illecito, derivando l'obbligazione risarcitoria dal rapporto causale fra condotta (anche omissiva) e fatto dannoso (Sbisà, Commentario alla riforma delle società, Milano, 2008): la responsabilità si estende quindi a tutti i coautori materiali dell'illecito riferibile al soggetto che effettua l'attività di direzione e coordinamento. In questo senso, risultano passibili di essere colpiti dalla previsione normativa, fra gli altri, i soci di maggioranza della capogruppo, gli amministratori e i direttori generali della capogruppo che abbiano impartito le direttive pregiudizievoli, gli amministratori della controllata che abbiano dato esecuzione alle direttive stesse, nonché gli organi di controllo di entrambe le società.

In merito al richiamo effettuato ai cosiddetti vantaggi compensativi, la norma stabilisce che “non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette; a tale riguardo, va evidenziato come sia richiesto che la valutazione del danno subito venga effettuata non sulla base di un atto che, preso singolarmente, possa arrecare pregiudizio alla società eterodiretta, ma alla luce dell'attività di direzione e coordinamento nel suo complesso, così che non potrà parlarsi di danno nel caso in cui la società medesima abbia ricevuto dei vantaggi dall'appartenenza al gruppo che compensino il pregiudizio derivante dell'atto considerato singolarmente (si vedano, fra gli altri, Policaro, Diritto del Governo delle Imprese, Torino, 2016; Irace, Commento all'art. 2497 c.c., in La riforma delle società, Torino, 2003).

La sentenza annotata pone poi in particolare risalto il fatto che la disciplina di cui agli artt. 2497 e seguenti c.c. risulta ispirata al principio di effettività, concernendo la dinamica di un “fatto” (l'abuso di attività di direzione e coordinamento) ottenuto mediante esercizio effettivo della corrispondente influenza sulle società assoggettate all'attività di direzione e coordinamento. La Corte precisa che il principio dell'effettività rileva, al di là degli indici formali, con riferimento all'inizio, allo svolgimento e alla cessazione dell'attività considerata dalla legge.

Si ricorda, a tale riguardo, come la direzione e il coordinamento consistano nell'esercizio effettivo del potere di un soggetto di dirigere e coordinare altre società o enti secondo un disegno unitario; come precisato sia in dottrina che in giurisprudenza, l'attività di direzione deve ricondursi nell'esercizio di un insieme sistematico e costante di atti di indirizzo idonei a incidere sulle decisioni gestorie dell'impresa e sulle scelte strategiche e operative (finanziarie, industriali e commerciali) relative alla conduzione degli affari sociali, mentre il coordinamento è un'attività tesa alla realizzazione di un sistema di sinergie tra diverse società del gruppo nel quadro di una politica strategica complessiva, allargata all'insieme delle società. In linea generale, quindi, si configura la direzione e il coordinamento di una società o di un ente quando, dall'esterno, venga effettivamente svolta un'attività nei confronti dei soggetti dotati dei poteri amministrativi delle società eterodirette che implichi un'influenza in materia di conduzione e gestione dell'impresa e di assunzione delle scelte strategiche, impartendo direttive agli amministratori stessi; di talché, si deve avere riguardo – anche ai fini della responsabilità – alla sostanza ed effettività dell'attività svolta dalla capogruppo, a prescindere da meri schemi o aspetti formali (Montalenti, Direzione e Coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Società, 2007, 2-3, 321; Sbisà, in Commentario alla riforma delle società, Milano, 2008; nella giurisprudenza, si veda Trib. Milano, 10 novembre 2014).

La Suprema Corte ha avuto peraltro modo di rilevare come la configurabilità di un gruppo implichi certamente l'esistenza di più società, ma non che la costituzione delle medesime o dell'ente di controllo debba essere desunta da atti formali, precisando altresì come non sia neppure necessario che le diverse società controllate siano tutte contemporaneamente operative; nella sentenza viene ulteriormente evidenziato che alle prescrizioni in tema di pubblicità dell'attività di direzione e coordinamento non si può assegnare valore di efficacia costitutiva del gruppo, trattandosi di mera pubblicità-notizia.

Con riguardo al primo rilievo in merito alla configurabilità di un gruppo, si evidenzia come, sulla scorta di quanto affermato da Cass. civ., sez. I, 25 luglio 2016, n. 15346, sia possibile affermare l'esistenza di una società “holding di fatto” per la sola ragione di essere stata costituita tra i soci per l'esercizio effettivo dell'attività di direzione e coordinamento di altre società, a prescindere dalla sua esteriorizzazione mediante la spendita del nome.

In merito alle questioni concernenti le prescrizioni pubblicitarie, l'art. 2497-bis c.c. – che contiene specifiche previsioni relative agli obblighi informativi circa la sussistenza della condizione di società soggetta all'altrui attività di direzione e coordinamento, prescrivendo alla società eterodiretta di indicare la società o l'ente alla cui attività di direzione e coordinamento è soggetta negli atti e nella corrispondenza e, comunque, attraverso l'iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese – è incentrato sulla tutela della società eterodiretta e, in particolare, dei soci di minoranza della medesima, che debbono essere posti nella condizione di assumere decisioni ponderate in merito all'ingresso (o meno) all'interno del gruppo, nonché dei terzi creditori che intrattengono rapporti con la società eterodiretta stessa (Callegari, I gruppi di società, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza, Bologna, 2009). Come precisato dalla Corte, la pubblicità in parola ha la mera funzione di certificazione anagrafica e pubblicità-notizia, configurandosi, in caso di mancata pubblicità, non la mancata esistenza del gruppo (e nemmeno il suo venire meno), ma unicamente una responsabilità in capo agli amministratori per i danni arrecati ai soci o ai terzi per la mancata conoscenza dei fatti e della situazione di eterodirezione.

In sostanza, come rilevato dalla sentenza annotata, le formalità attinenti alla costituzione della società e la stessa iscrizione disciplinata dall'art. 2497-bis c.c. non hanno efficacia costitutiva del gruppo, né la pubblicità di cui sopra di per sé determina l'inizio dell'attività di direzione e coordinamento, poiché su tutto prevale, con riferimento all'inizio, allo svolgimento e alla cessazione dell'attività considerata dalla legge, il principio di effettività sopra richiamato, avendo unicamente rilievo l'effettivo svolgimento dell'attività di direzione e coordinamento di altre società o enti in modo sistematico, secondo un progetto complessivo e unitario.

Conclusioni

La sentenza annotata contribuisce a definire gli estremi per individuare l'esistenza di un gruppo di imprese assoggettate a direzione e coordinamento, nell'ottica di affermare una responsabilità risarcitoria a termini dell'art. 2497 c.c.

Con specifico riguardo all'azione disciplinata dalla norma, va tenuto presente che la giurisprudenza (si veda, in particolare, Trib. Milano, 27 febbraio 2019 e 26 febbraio 2016) ha precisato che la stessa è riservata ai soci e ai creditori della società controllata che hanno subito un danno indiretto, mentre quella promossa dalla controllata nei confronti della controllante per esercizio abusivo dell'attività di direzione e coordinamento è volta a fare valere la responsabilità diretta per danni provocati al patrimonio sociale ed è di tipo contrattuale; ciononostante, come hanno posto in evidenza i precedenti citati, l'art. 2497 c.c., configurando una responsabilità della società dirigente verso i soci e i creditori della società controllata, finisce inevitabilmente per svolgere una funzione conformativa della fattispecie anche rispetto alla responsabilità della società dirigente verso la società controllata. D'altro canto, sebbene le due azioni si collochino su piani differenti, il fatto estintivo della responsabilità della capogruppo nei confronti dei soci e dei creditori della società eterodiretta previsto dal comma 3 dell'art. 2497 c.c. è nondimeno ravvisabile sia quando la controllata abbia ristorato il pregiudizio specifico arrecato ai propri soci e creditori direttamente, sia quando ciò sia l'effetto dell'iniziativa dalla stessa assunta nei confronti della capogruppo, visto che – come affermato da Cass. civ., sez. I, 5 dicembre 2017, n. 29139 – nella previsione normativa deve ritenersi ricompresa ogni modalità che permetta al socio o al creditore il conseguimento dell'utilità spettante, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie. Peraltro, il fatto che, in generale, il danno indiretto del socio o del creditore e il danno diretto al patrimonio della società controllata che derivano dall'esercizio illegittimo dell'attività di direzione e coordinamento, sebbene collegati e connessi nella loro genesi (dato che la lesione al valore e alla redditività della partecipazione è l'effetto di un pregiudizio subito in prima battuta dal patrimonio della società), non necessariamente coincidono ai fini risarcitori, comporta la necessità di una valutazione caso per caso.

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