Modifica delle tabelle millesimali: consulenza tecnica d'ufficio e valutazione da parte del giudice

Adriana Nicoletti
17 Giugno 2020

La consulenza tecnica d'ufficio costituisce il tipico strumento che consente al giudice di pervenire alla decisione, quando la controversia richiede l'accertamento di situazioni di fatto che renda necessaria la padronanza di particolari cognizioni che il giudicante non possiede. L'elaborato è valutato dall'organo giurisdizionale con piena discrezionalità, ma sempre tenendo conto dell'adesione o meno alle conclusioni del perito. La Corte territoriale etnea, con la decisione in commento, applica tali principi alla fattispecie relativa alla modifica delle tabelle millesimali di un condominio.
Massima

Non è carente di motivazione la sentenza che recepisce per relationem le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d'ufficio di cui dichiari di condividere il merito, allorché si limiti a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini esperite e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione.

Il giudice di merito che riconosca convincenti le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, infatti, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poiché l'obbligo di motivazione è assolto già con l'indicazione delle fonti dell'apprezzamento espresso, dalle quali possa desumersi che le contrarie deduzioni delle parti siano state implicitamente rigettate (fattispecie relativa alla modifica delle tabelle millesimali).

Il caso

A fronte dell'annullamento della delibera assembleare avente ad oggetto la modifica delle tabelle millesimali approvata con un quorum ritenuto non sufficiente (maggioranza qualificata piuttosto che unanimità dei consensi), il condominio proponeva appello avverso la decisione di primo grado. L'appellante, tra l'altro, lamentava che il primo giudice, con acritica adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio e senza prendere in considerazione le analisi del perito di parte, non aveva esplicitato l'iter logico - giuridico che lo aveva portato alla decisione. Questa, infatti, meritava di essere censurata poiché le nuove tabelle millesimali non rispettavano le prescrizioni di legge, non avendo considerato lo stato dei luoghi ed essendo frutto dell'applicazione di errati criteri normativi adottati dal consulente per calcolare i coefficienti necessari al fine di determinare la caratura millesimale di un immobile. Si costituiva in giudizio il condomino che riproponeva le stesse argomentazioni formulate nel giudizio di prime cure. L'appello veniva integralmente rigettato con condanna dell'appellante alla rifusione delle spese processuali.

La questione

Il primo argomento trattato - maggioranza assembleare per la revisione delle quote millesimali - non è nuovo in quanto già oggetto di innumerevoli decisioni. La seconda questione, invece, concerne le modalità con le quali il giudice, attraverso la motivazione della sentenza, recepisce le conclusioni del consulente senza incorrere nella violazione dell'art. 132, n. 4, c.p.c.

Le soluzioni giuridiche

Sul primo punto, la Corte d'Appello ha ribadito che l'atto di approvazione delle tabelle millesimali non ha natura negoziale, poiché non si pone come fonte diretta dell'obbligo contributivo del condomino ma rappresenta un parametro di quantificazione dell'obbligo stesso. Questo, infatti, è il prodotto di una valutazione tecnica meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge, rispetto ai quali deve corrispondere una corretta operazione di calcolo, che rispecchi la proporzione tra la spesa ed il valore della quota di proprietà o la misura d'uso. Da ciò consegue che tanto per l'approvazione delle tabelle, quanto per la loro revisione non si richiede il consenso unanime dei condomini essendo sufficiente la maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c. Quindi, nulla di diverso rispetto all'orientamento giurisprudenziale che ha preso le mosse dalla nota decisione della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sent. n. 18477/2010, e che si è protratto inalterato fino ad oggi (da ultimo, Cass. civ., sez. VI/II, 21 novembre 2019, n. 30392) e del quale, tuttavia, purtroppo non sempre si tiene conto.

Quanto alla seconda questione (discrezionalità del giudice di merito nel valutare ed aderire alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio), il giudice di secondo grado, nel pronunciare i principi di cui alle massime qui estrapolate, si è sostanzialmente allineato all'orientamento giurisprudenziale corrente. Nello specifico, il giudicante ha chiarito come correttamente il Tribunale non si fosse discostato dalle risultanze della perizia che, non solo, aveva descritto dettagliatamente lo stato dei luoghi, adottando coefficienti di calcolo rispettosi della Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici ma - ai fini del calcolo della superficie delle terrazze - aveva, altresì, fatto riferimento tanto a detta Circolare, quanto ad altre norme vigenti.

Osservazioni

La presenza dell'ausiliario del giudice, nella persona del consulente tecnico, è molto comune anche nelle controversie che interessano la materia condominiale ed è necessaria allorché per arrivare alla decisione il giudice sia chiamato ad accertare situazioni che richiedano la conoscenza di determinate cognizioni tecniche. In estrema sintesi la consulenza tecnica non è un mezzo di prova in senso stretto (come inteso dall'art. 2697 c.c.), ma è un mezzo istruttorio; non è diretta ad acclarare la verità o meno di determinati fatti; può assumere il valore di oggettiva fonte di convincimento quando si entra nel campo squisitamente tecnico, che esula da circostanze e situazioni storiche che devono essere provate dalle parti (Cass. civ., sez. III, 21 luglio 2003, n. 11317); è sottratta alla disponibilità delle parti stesse ed è affidata al prudente apprezzamento del giudice del merito (Cass. civ., sez. III, 18 agosto 2011, n. 17376).

Detto questo, la sentenza ha posto in luce il problema della valutazione della consulenza da parte del giudice, alla quale questi può liberamente aderire oppure dalla quale può discostarsi. Nella fattispecie in esame la censura portata alla sentenza di prime cure si riferiva all'asserita violazione dell'art. 132, n. 4, c.p.c. (concernente l'esposizione, sia pure in forma sintetica, delle ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione) per avere il primo giudice condiviso in maniera “acritica” le risultanze della CTU.

Il requisito della sinteticità della motivazione della sentenza coincide con la necessità che la stessa sia essenziale alla decisione, eliminando l'inutile riproposizione delle argomentazioni delle parti, ancorché detta forma abbreviata non si possa tradurre in un mero rinvio del tutto generico a prospettazioni di fatto e di diritto. In questo ambito si collocano anche le ragioni di adesione del giudice alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio.

Secondo la giurisprudenza (v., tra tutte, Cass. civ., sez. VI, 2 febbraio 2015, n. 1815), il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni della perizia che abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, soddisfa l'obbligo della motivazione senza doversi soffermare sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, per quanto non espressamenteconfutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che in ciò si possa configurare un vizio di motivazione. Le critiche di parte, infatti, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono quasi sempre in mere argomentazioni difensive. E questo è quanto dovrebbe essere accaduto nel caso di cui ci stiamo occupando, poiché l'accusa che è stata mossa dal condominio alla sentenza di primo grado è proprio quella di non avere valutato le argomentazioni negative sollevate dal tecnico di parte.

Unicamente per dovere di completezza, si ricorda che nel caso di dissenso alla consulenza tecnica d'ufficio - che, in ogni caso, non ha carattere vincolante - il giudice deve motivare la propria divergenza in modo rigoroso e preciso (Cass.civ., sez. I, 11 dicembre 1999, n. 13863).

Come accennato, in àmbito condominiale, l'esperimento della consulenza tecnica d'ufficio è evento all'ordine del giorno, anche se molto spesso la stessa viene chiesta dalle parti impropriamente, talché la relativa domanda non viene accolta. Il caso tipico è rappresentato da tutte quelle contestazioni che sono avanzate in sede di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio per il mancato pagamento degli oneri condominiali, come derivanti dal bilancio consuntivo e dal relativo stato di ripartizione.

Molto spesso, a fronte di generiche contestazioni in ordine ai pagamenti effettuati che risultano essere privi di documentazione probatoria, si tenta di raggiungere la prova non offerta (ex art. 2697 c.c.) attraverso l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio, tipicamente esplorativa, alla quale si chiede di accertare quali pagamenti ed a quale titolo siano stati effettuati. Per essere più chiari, il condomino opponente, il quale dichiara di avere versato una somma complessiva a titolo di oneri condominiali, mirerebbe ad ottenere dal consulente d'ufficio un accertamento non solo sul versato, ma anche sulla relativa voce o partita.

Richiamando principi di ordine generale, la giurisprudenza ha affermato che il divieto per il consulente tecnico di ufficio di compiere indagini esplorative può essere superato soltanto quando l'accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi con l'ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo, in questo caso, consentito al consulente di acquisire anche ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza (Cass. civ., sez. I, 15 giugno 2018, n. 15774). In buona sostanza, quindi, la consulenza tecnica deve essere negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero sia finalizzata a compiere una ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. civ., sez. L, 12 aprile 2019, n. 10373; Cass. civ., sez. L, 15 dicembre 2017, n. 30218).

Da ciò consegue, pertanto, che anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo di natura condominiale, quando la materia del contendere verta sulla presunta erroneità dei conteggi in conseguenza della quale l'ente abbia ottenuto ingiunzione per somme contestate genericamente per nonessere dovute dal condomino, la richiesta di consulenza d'ufficio è inammissibile, poiché l'istanza sarebbe finalizzata a riesaminare elementi già passati al vaglio dell'assemblea, da questa approvati e divenuti definitivi in caso di mancata impugnativa della relativa delibera (giurisprudenza costante). E quanto a ciò si vuole aggiungere - come osservazione finale - che lo strumento a disposizione del condomino per contestare conteggi ed errata imputazione di spese è rappresentato dal preventivo e diretto riscontro con l'amministratore dei pagamenti effettuati e, solo successivamente, dall'impugnativa della delibera quando ne ricorrano i presupposti.

Guida all'approfondimento
  • Greco, Ctu contestata: il magistrato non può recepirla acriticamente, in Dir. e prat. lav., 2014, 1121;
  • Monegat, Modifica tabelle millesimali: la suprema corte conferma che basta la maggioranza - Attenzione al nuovo art. 69 disp. att. c.c., in Immob. & proprietà, 2014, 256;
  • Rossetti, Il ctu (“l'occhiale del giudice”), Milano, 2012, XXII-400;
  • Rossetti, Sezioni unite e modifica delle tabelle millesimali, in Arch. loc. e cond., 2011, 19.

*Fonte: www.condominioelocazione.it

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