Sulla natura (in)disponibile della sospensione dei termini processuali causa COVID-19

18 Giugno 2020

La sentenza del Tribunale di Bologna del 6 maggio 2020, n. 695 necessita di un approfondimento perché ha avuto modo di affermare la natura disponibile della sospensione dei termini processuali prevista per legge: nel caso di specie la sospensione dei termini processuali prevista dal d.l. n. 18/2020 in relazione all'emergenza COVID.

Il caso affrontato. Ma che cosa era accaduto nel processo deciso con la sentenza in esame? Orbene, si trattava di un giudizio di appello avverso una sentenza del Giudice di Pace in materia di opposizione a sanzione amministrativa che, nella contumacia dell'Amministrazione, aveva accolto l'opposizione, ma compensando le spese legali.
La prima udienza – alla quale partecipò soltanto l'appellante dal momento che l'Amministrazione non si era costituita, si era tenuta il 10 ottobre 2019 allorché il giudice onorario (che aveva sostituito il giudice titolare legittimamente impedito) aveva rinviato la causa al 12 marzo 2020 senza nulla disporre sul rito (ed infatti, l'appellante aveva notificato una citazione in luogo di ricorso, ma aveva iscritto tempestivamente la causa al ruolo così salvando la tempestività dell'impugnazione).
Senonché, prima dell'udienza del 12 marzo 2020 è intervenuta la normativa processuale d'emergenza che, come ormai ben noto, aveva rinviato (pressoché tutte) le udienze a nuova data (più volte prorogata) e contestualmente sospeso tutti i termini processuali.

Il contraddittorio cartolare. Ecco allora che il Tribunale di Bologna emette fuori udienza un'ordinanza con la quale, invece che disporre il rinvio d'ufficio delle udienze “trattiene la causa in decisione” e opta per una “trattazione scritta” assegnando al difensore dell'appellante termine sino al 26 marzo 2020 per il deposito in via telematica di sintetica memoria integrativa.

Deposito dell'atto come rinuncia ai termini. In base alla sentenza risulta che l'appellante avesse depositato, in via telematica, la memoria conclusiva nel termine assegnatogli, anzi, «quando ancora operava la sospensione dei termini disposta inizialmente dall'art. 1, comma 2, d.l. 8 marzo 2020, n. 11 e poi dall'art. 83, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, che l'ha prolungata sino al 15 aprile 2020 (l'art. 83, comma 22, d.l. ult. cit., ha espressamente abrogato gli artt. 1 e 2 del d.l. 8 marzo 2020, n. 11.; v. ora l'art. 36, comma 1, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, che ha prorogato all'11 maggio 2020 il termine finale del periodo di sospensione)».
Secondo il Tribunale di Bologna – e qui risiede l'interesse della sentenza - «così facendo l'appellante ha rinunciato alla sospensione dei termini stabilita, con ampia formula, dall'art. 83, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 («[…] è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. […] Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine di detto periodo […]»)».
Del resto – ha osservato il Tribunale – «la sospensione dei termini relativa agli atti di parte nel processo civile, a differenza della coordinata ma distinta regola, peraltro non senza eccezioni, del rinvio d'ufficio delle udienze (inoperante solo nei casi tipizzati e predeterminati dalla legge o dichiarati urgenti dal giudice: artt. 83, comma 1, e 36, comma 1, d.l. 8 aprile 2020, n. 23), riflette interessi disponibili e non preclude di per sé il valido ed efficace compimento dell'atto ad opera della parte, tramite il difensore, con modalità, quale il deposito telematico, rispettosa delle precauzioni indicate e delle specifiche misure di contenimento adottate a fronte dell'emergenza epidemiologica».

Sospensione dei termini e compimento dell'attività. Orbene, non vi è alcun dubbio (nonostante qualche voce contraria durante la pandemia come il provvedimento del presidente del Tribunale di Torino) che la sospensione dei termini processuali (dovuta a COVID oppure, ad esempio, a sospensione feriale) non impedisce alla parte il compimento dell'atto (che, quindi, se compiuto non può essere rifiutato dalla Cancelleria).
Ma il compimento dell'atto, in sé considerato, non è certamente un comportamento inequivocabile dal quale trarre (ovviamente, dove sia possibile) un effetto quale quello della rinuncia alla sospensione dei termini processuali.
Ed infatti, il deposito dell'atto è – durante il periodo di sospensione dei termini – una facoltà della parte che non esprime alcuna volontà di disporre della sospensione del termine processuale.
In altri e più chiari termini la rinuncia deve essere “esplicita” (così, seppur incidentalmente, Cass. civ., sez. III, 5 ottobre 2018, n. 24540)

Esemplificazione. Potrebbe allora accadere che tutte le parti – durante il periodo di sospensione –decidano di depositare comparse conclusionali e repliche: nulla impedirebbe, in questo caso, al giudice di decidere la causa con sentenza sempre durante il periodo di sospensione senza necessità di affrontare il tema della rinuncia.
Anzi, dobbiamo prestare attenzione perché l'affermazione del principio enunciato dal Tribunale di Bologna (e, cioè, che il deposito dell'atto implica rinuncia alla sospensione dei termini) determinerebbe quantomeno un dubbio operativo (che, di per sé – e cioè a prescindere dalla fondatezza o no - genera incertezza): forse che per la parte soccombente decorrerà anche il termine per impugnare la sentenza durante la sospensione se il giudice dovesse depositare in quel periodo? Ed ancora, per evitare questo (non trascurabile inconveniente – quantomeno interpretativo) saremmo costretti a dire che per l'impugnazione siamo in presenza di una nuova sospensione non rinunciata?
Ebbene, per evitare possibili incomprensioni (che generano insicurezza e confusione) è bene mettere in evidenza che non si può arrivare a concludere che il deposito dell'atto comporta rinuncia alla sospensione dei termini processuali (sulla quale comunque resterebbe da dire, in ogni caso, qualcosa): il deposito dell'atto è – pendente la sospensione dei termini – una facoltà della parte che non esprime alcuna volontà di disporre della sospensione del termine processuale.
Ad esempio, ben potrebbe la parte depositare la comparsa conclusionale durante la sospensione e scegliere di depositare la comparsa di replica cessato il periodo di sospensione: viceversa, se dovessimo applicare il principio del tribunale di Bologna si correrebbe il fondato rischio di non poter (più) fare affidamento sulla sospensione dei termini.

…e se una parte è contumace? In ogni caso, resta un problema non secondario. Pure a voler ammettere che la sospensione sia rinunciabile (ed anzi, sia rinunciabile con il semplice deposito dell'atto) la rinuncia dovrebbe derivare da tutte le parti del giudizio, non essendo possibile che soltanto una (a meno dell'ipotesi che diremo) possa rinunciare con effetti per tutte le altre.
Nel nostro caso vi era una parte contumace che, però, in base all'interpretazione dell'art. 416 c.p.c., ben avrebbe potuto costituirsi (sebbene tardivamente) siano all'esaurimento della discussione.
E poiché l'udienza cartolare è pur sempre un'udienza, anzi è l'udienza di discussione (classica) svolta con modalità nuove (o cartolare o da remoto), anche la parte contumace ha diritto di confidare nella sospensione del termine.
Peraltro, il risultato non cambia neppure nell'ipotesi in cui il Tribunale – con provvedimento fuori udienza abbia deciso di trattenere la causa in decisione assegnando termini solo all'appellante: ed infatti, il d.l. n. 18/2020 prevede come modalità di gestione delle udienze già fissate o il rinvio o la trattazione scritta o il collegamento da remoto (in ciò ravvisandosi una nullità del provvedimento fuori udienza).

Natura indisponibile della sospensione COVID-19. A mio avviso, la sospensione dei termini processuali previsti dalla legislazione COVID-19, la cui applicazione deve sempre garantire certezza come tutte le normativa in materia di termini, non è posta nell'interesse delle parti (certamente considerato, ma strumentalmente al raggiungimento dell'esigenza di tutelare la salute pubblica) nel senso che esse non possono disporre dell'effetto (sospensione dei termini), ma possono soltanto – rientrando nelle loro facoltà – compiere l'atto quando ritengono opportuno.
Ciò, ovviamente, non esclude che, talvolta, il legislatore preveda la sospensione dei termini nell'interesse di una parte (e quindi essa ne potrà disporre in via unilaterale) oppure sia prevista la facoltà di rinunciare oppure ancora quella facoltà di rinunciare ai termini sia ricavata in via interpretativa.
In tutti i casi, però, anche per le esigenze di certezza sulla decorrenza dei termini, è richiesto che le rinunce siano inequivocabili.

Ipotesi di rinuncia alla sospensione… Quanto alla prima ipotesi si può richiamare – per il giudizio civile – la sospensione dei termini disposta dall'art. 1, comma 6, del d.l. 30 aprile 1981 n. 168 in relazione ai rapporti giuridici relativi ai beni ed alle materie attribuite alla gestione di liquidazione degli enti (mutualistici), soppressi in relazione alla quale la Cassazione aveva affermato che «opera fino a quando la parte (Ministero del tesoro - ufficio speciale liquidazioni e, per esso, Avvocatura dello Stato), nel cui esclusivo interesse la sospensione stessa è stata disposta, abbia dichiarato di non avvalersene o compiuto atti incompatibili con la volontà di fruirne, restando così in pari misura tutelata anche l'altra parte, senza che, tuttavia, quest'ultima possa validamente opporsi alla rinuncia della prima alla sospensione dei termini stabilita solo nel suo interesse» (Cass. civ., sez. lav., 6 giugno 1988,n.3832).
Quanto all'ipotesi in cui la facoltà di rinuncia alla sospensione dei termini sia espressamente prevista (oltre a voler ricondurre in questa ipotesi anche l'art. 83, comma 3 lett. b) del d.l. 18/2020) si possono ricordare le ipotesi di cui agli articoli 2 e 2-bis della legge n. 742 del 1969 per la materia penale per gli imputati in custodia cautelare ovvero nei procedimenti per l'applicazione di una misura di prevenzione.
Anche in quest'ultimo caso, però, la giurisprudenza ha sempre precisato due aspetti importanti: (a) il primo è che la rinuncia alla sospensione deve essere chiara ed inequivocabile e (b) il secondo è che il semplice compimento dell'atto durante il periodo di sospensione non equivale a rinuncia al termine (sul punto si richiama Cass. pen., sez. II, 10 gennaio 2017, n. 2494).
Infine, sembra poi possibile ricavare in via interpretativa una rinuncia alla sospensione feriale dei termini anche nel processo civile: una rinuncia ad opera di tutte le parti sarebbe possibile anche – in base ad un obiter dictum di Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2018, n.18522 – anche nel processo civile avendo osservato la Suprema Corte che «poichè lo svolgimento delle operazioni di consulenza tecnica da parte degli ausiliari d'ufficio e di parte inerisce ad attività processuale, non è dubbio che il giudice, allorquando fissa i termini di cui all'art. 195 c.p.c., se il processo è soggetto alla sospensione feriale, non può fissare [senza incorrere in nullità, nda] termini che ricadano durante tale periodo a meno che le parti non rinuncino ad avvalersi della sospensione».
Ed ancora, sembra presupposta anche dall'obiter dictum della sentenza prima richiamata della terza sezione della Cassazione n. 24540/2018 come pure è stata riconosciuta dalla giustizia amministrativa (come TAR Pescara, 10 settembre 2012, n. 384 per cui «le parti hanno, di norma, la possibilità di rinunciare al rispetto dei termini processuali e, quindi, anche alla sospensione prevista dalla predetta normativa»).

…ma non a quelle generalizzate. Peraltro, quando la sospensione prevista dalla legge è “generalizzata” (prevendendo per qualche ragione il rinvio di tutte le udienze e senza possibilità espressa di rinuncia sempre possibile) non sembra esserci spazio per eventuali rinunce: così ha avuto modo di affermare la Cassazione nell'ipotesi (che a me pare analoga quanto alla ratio alla sospensione prevista a causa del COVID) di sospensione dei processi per le zone colpite dal terremoto del 24 agosto 2016 (Cass. pen., sez. II, 28 marzo 2019, n.15824).

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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