Licenziamento illegittimo intimato da organismo pubblico: nessun risarcimento a chi abbia autocertificato titoli inesistenti al momento della candidatura
22 Giugno 2020
Massima
Il lavoratore che ha superato una selezione di evidenza pubblica a carattere non concorsuale vantando nel proprio curriculum titoli inesistenti non può chiedere il risarcimento del danno qualora il datore di lavoro receda dal contratto a termine, nemmeno nel caso in cui tale recesso sia invalidamente esercitato.
In tal caso, infatti, il lavoratore ha la consapevolezza, sin dall'inizio, di non avere i titoli necessari per partecipare alla selezione bandita quindi, non può riporre alcun affidamento nell'esito (temporaneamente) favorevole della gara; egli pertanto, non può avanzare alcuna pretesa risarcitoria, in quanto l'intero danno di cui si duole scaturisce unicamente da una sua condotta avente forza causale sul licenziamento. Il caso
Con ricorso depositato dinanzi al Giudice del lavoro di Trapani, un lavoratore, assunto con contratto a tempo determinato di durata triennale, nella qualifica di Direttore Generale, da parte di una società avente la natura di organismo di diritto pubblico, denunziava l'illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro posto in essere dal proprio datore.
Il lavoratore esponeva di essersi proposto per la posizione offerta, mediante inoltro della propria candidatura ad una società di selezione del personale, mandataria del datore di lavoro, attraverso l'utilizzo di una nota piattaforma social in internet, sulla quale era stato pubblicato l'annuncio relativo alla procedura di selezione, e di essere stato, dopo soli due mesi dalla stipula del contratto di lavoro, licenziato dal datore. Sosteneva che parte datrice aveva illegittimamente caducato il rapporto di lavoro, poiché il recesso era stato operato attraverso l'annullamento d'ufficio della delibera consiliare con la quale il ricorrente era stato selezionato tra gli altri candidati, risultando vincitore, anziché mediante l'adozione dell'ordinario procedimento di licenziamento disciplinato dalla normativa civilistica.
Il licenziato domandava, pertanto, il risarcimento dal danno a titolo di lucro cessante, quantificato nelle retribuzioni che avrebbe potuto percepire sino a naturale scadenza del contratto di lavoro a tempo determinato se frattanto non fosse intervenuto il licenziamento illegittimo (con domanda poi rinunziata, il lavoratore aveva inizialmente chiesto anche la rifusione del danno emergente, consistente nelle spese sostenute per il trasloco, ed il risarcimento al danno all'immagine).
Il datore di lavoro, al contrario, difendeva la legittimità del proprio operato, e specificava che la procedura di annullamento della delibera in via di autotutela era stata legittimamente posta in essere per essere stato scoperto, dopo la stipula del contratto, che il lavoratore era privo del possesso dei requisiti specificamente richiesti dalla procedura selettiva (ndr, il titolo di studio posseduto non figurava tra quelli previsti dalla selezione), il cui possesso era stato falsamento autocertificato dallo stesso dipendente al momento della candidatura. Le questioni
La prima, interessante, questione introdotta concerne le modalità di assunzione, e di eventuale recesso, applicabili alle società pubbliche.
Il Giudice del lavoro, nel pronunziare sulla domanda di risarcimento del danno, infatti, si è concentrato dapprima sulla ricostruzione della natura giuridica dell'atto di licenziamento impugnato dal ricorrente e, come diretta conseguenza, sulla legittimità o meno del recesso del datore di lavoro, società operante nel settore del trasporto aereo ed avente natura di organismo di diritto pubblico.
La seconda questione affrontata riguarda, invece, l'applicazione del principio del cd. Danno effettivo. Il Giudice, infatti, pur avendo ritenuto sussistente, in via preliminare, l'illegittimità del licenziamento, ha poi considerato di dovere valutare la sussistenza in concreto il danno subito dal lavoratore, con un ragionamento che lo ha portato ad escludere in radice l'esistenza di un danno ingiusto subito dal ricorrente avendo questi dato causa, con il proprio comportamento, al licenziamento. Osservazioni
La sentenza in commento risulta particolarmente interessante poiché lascia spazio a molteplici spunti di riflessione riguardanti i due diversi aspetti della vicenda fattuale sottesa.
La maggior parte dei commentatori si è concentrata sulla questione legata alla condotta del candidato/lavoratore, la quale ha avuto un'efficacia causale sul licenziamento operato a suo danno, tale da avere portato all'integrale esclusione del diritto al risarcimento del danno. La dottrina si è, quindi, dedicata soprattutto alla seconda questione, quella legata alla presentazione da parte del candidato di un'autocertificazione, poi risultata non veritiera, sul possesso di titoli di studio richiesti dalla procedura selettiva e non effettivamente posseduti.
A ben vedere, tuttavia, la motivazione della sentenza risulta a struttura complessa, perché il Giudice, guidando il lettore attraverso il percorso logico-giuridico svolto, parte dall'analisi della natura giuridica dell'atto di recesso del datore di lavoro, avente la qualificazione di organismo di diritto pubblico, per poi soffermarsi, solo in secondo momento, e ravvisata l'illegittimità del recesso secondo il dettato delle norme giuslavoristiche, sui principi del diritto civile generale comportanti l'esclusione del danno ingiusto patito dal lavoratore, seppure ingiustamente licenziato.
Nella prima parte della motivazione, infatti, come anticipato, il giudice si è concentrato, in quanto antecedente logico necessario, sulla ricostruzione della natura e sulla legittimità dell'atto di recesso datoriale, analizzando la disciplina dettata in materia dal d.lgs. n. 175 del 2006 (cd. T.U. in materia di società a partecipazione pubblica).
Nella specie, la parte datrice, infatti, dopo avere scoperto l'assenza, in capo al Dirigente assunto, dei requisiti richiesti, ha avviato la procedura di annullamento in autotutela della delibera consiliare di individuazione del candidato vincitore. Orbene, il giudice ha ritenuto che, nel caso di specie, il datore non avrebbe dovuto seguire la procedura dettata dal comma 4 dell'art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2006, sopra richiamato. Tale norma, infatti, come correttamente ragionato dal giudicante, va letta ed interpretata per intero.
Secondo il primo comma dell'articolo, infatti, ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico (categoria tra cui è fatta rientrare la società datrice convenuta in giudizio) si applicano le norme civilistiche, salvo quanto previsto – in via di eccezione, dal decreto legislativo in questione. Il secondo comma conferma, poi, l'applicabilità del modello di assunzione cd. selettivo anche per le società a controllo pubblico. La differenza, tuttavia, rispetto alle assunzioni operate dalla Pubblica Amministrazione, è che, nel caso delle società pubbliche, non va necessariamente posta in essere una procedura di tipo concorsuale, essendo ammesse – come ormai affermato dalla dottrina più attenta - procedure selettive non concorsuali di tipo comparatistico. Ciò che è essenziale, secondo tale comma, è che la società pubblica stabilisca con propri provvedimenti (e quindi con regolamento di natura privatistica) i criteri e le modalità di reclutamento del personale, ma sempre nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità e degli altri criteri direttivi posti dall'art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001 (cd. T.U. sul pubblico impiego).
La procedura selettiva, in mancanza di esenzioni espressamente previste dal legislatore, concerne anche le risorse da impiegarsi a tempo determinato ed anche il personale apicale (come nel caso di specie) e non è escluso l'affidamento delle stesse a società esterne di reclutamento del personale (anche in tal caso, come accaduto nell'ipotesi in esame) o agenzie interinali.
Sennonché, il rimedio posto dal legislatore, in caso del mancato rispetto di quanto previsto dai commi sopra analizzati, è posto dal quarto comma, richiamato anche nella statuizione in commento, il quale sancisce la nullità dei contratti stipulati in mancanza dei provvedimenti o delle procedure previste dal sopra menzionato comma secondo.
Orbene, fatta questa ricostruzione normativa, non si può non aderire al ragionamento seguito nella commentata sentenza, laddove è stato ritenuto che, nel caso di specie, la procedura di selezione, a monte, era esente da qualsivoglia vizio e che, pertanto, il datore di lavoro non avrebbe dovuto annullare d'ufficio la delibera consiliare. Nel caso sottoposto, infatti, la procedura si era svolta correttamente, essendo stati individuati, in via generale ed astratta, precisi criteri selettivi. I rimedi non potevano perciò tangere l'intera procedura di gara, ma avrebbero dovuto riguardare unicamente il rapporto di lavoro costituito a valle, da caducarsi secondo le norme sul licenziamento dettate dalla disciplina giuslavoristica. Pertanto, atteso che l'atto posto in essere dal datore di lavoro era da considerarsi un vero e proprio atto di licenziamento, quest'ultimo risultava carente dei propri requisiti essenziali e non sorretto da giusta causa né giustificato motivo.
Ciò posto, la sentenza in analisi si è poi occupata della domanda risarcitoria avanzata dal ricorrente. Il diritto al risarcimento del danno è stato escluso attraverso l'utilizzo di un percorso motivazionale basato sull'alternatività delle ipotesi.
Nella fattispecie il giudice ha fatto richiamo al principio del cd. danno effettivo, concentrandosi sulla ricerca del danno effettivamente patito dal lavoratore a causa della illegittima condotta datoriale. Sotto un primo aspetto, considerato che il lavoratore era stato assunto a tempo determinato e che era da escludersi la tutela reintegratoria, egli ha ritenuto che, ove il datore avesse fatto ricorso alle tutele previste dalla normativa privatistica (ai sensi del I comma dell'art. 19 su citato), avrebbe potuto avvalersi della disciplina del patto di prova, clausola peraltro inserita nel contratto in oggetto, ovvero chiedere l'annullamento del contratto concluso per errore su un elemento essenziale. Dunque, secondo il giudice, l'alternativa alla condotta illegittima non sarebbe stata la protrazione del rapporto di lavoro sino alla scadenza pattuita, bensì la caducazione del contratto attraverso l'utilizzo degli strumenti forniti dalla normativa richiamata. Dall'altro lato, con motivazione alternativa, il giudicante si è concentrato sulla condotta del lavoratore, il quale, consapevole sin dal principio – e senza possibilità di errore - di non possedere i requisiti richiesti, non avrebbe potuto fare ragionevole affidamento sulla stabilità della sua assunzione. Dunque, la perdita della retribuzione futura, scaturendo causalmente dal proprio comportamento contrario al dovere di buona fede e correttezza nella fase delle trattative, è stata ritenuta tale da portare ad escludere il danno subito ex art. 1227 c.c.
In definitiva, nel provvedimento analizzato, nessuna ragione è stata riconosciuta al lavoratore ingiustamente licenziato, pur in presenza di un recesso illegittimo.
Minimi riferimenti bibliografici - A. Maresca, Il lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico, in federalismi.it - Rivista di Diritto Pubblico Italiano, Comparato, Europeo); - M.G. Greco, Il reclutamento del personale nelle società a partecipazione pubblica, in Variazioni su Temi di Diritto del Lavoro, 2019, fasc. 1, Giappichelli; - F. Curcuruto, Osservazioni sui rapporti di lavoro nelle società a controllo pubblico, in Lavoro Diritti Europa - Rivista nuova di Diritto del Lavoro. |