Decreto Rilancio: il nuovo patrimonio destinato di CDP a servizio delle imprese
23 Giugno 2020
Introduzione
Il terzo tassello – dopo i cd. Decreto Cura Italia e Decreto Liquidità – messo in campo dal Governo italiano per fronteggiare l'emergenza causata dalla pandemia del Covid-19 è costituito dal D.L. 19 maggio 2020, n. 34 (cd. Decreto Rilancio). Un'alluvione di norme (ben 266 articoli), che afferiscono ai più diversi settori della vita economica e civile, redatto con un'impostazione “catch all”, che a dire il vero non favorisce l'interprete. Tra le disposizioni del Titolo II (“Sostegno alle imprese e all'economia”), si annovera l'art. 27 (“Patrimonio Destinato”), che, di fatto, ha creato un nuovo istituto giuridico ad hoc, sul modello dei patrimoni destinati ad uno specifico affare (artt. 2447-bis e ss.c.c.), comparsi nel codice civile con la riforma del diritto societario del 2003 e, per la verità, non molto utilizzati dagli operatori economici italiani. Il Patrimonio Destinato del Decreto Rilancio è strumento giuridico specifico, a disposizione della sola Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.. Opererà, sostanzialmente, con la logica di un fondo di investimento (talvolta con logiche di private equity, più spesso di turn-around) e sarà articolabile “in comparti”, per garantire un rafforzamento patrimoniale e finanziario alle imprese con sede in Italia, non operanti nei settori bancari, finanziari e assicurativo, con fatturato annuo superiore a 50 milioni di euro. Ad oggi, per quanto pienamente introdotto nel nostro ordinamento, il Patrimonio Destinato non è un istituto già pronto per essere messo alla prova del tessuto economico. Necessita, infatti, (i) di un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) che determini “i requisiti di accesso, le condizioni, criteri e modalità degli interventi del Patrimonio Destinato” e, alla luce di tale decreto, (ii) di una delibera dell'assemblea di CDP S.p.A. – e dunque non del consiglio di amministrazione, come invece richiesto dall'art. 2447-ter, comma 2, c.c. per costituire i patrimoni destinati “ordinari” – di adozione del “regolamento del Patrimonio Destinato”. La dotazione del Patrimonio Destinato è a cura del MEF, che con propri apporti crea un patrimonio autonomo e separato da CDP S.p.A., in coerenza con la regola generale dell'art. 2447-quinquies c.c., ove è disciplinata l'autonomia patrimoniale dei creditori del patrimonio destinato “ordinario” dai creditori della società e viceversa. Anche la delibera costitutiva del Patrimonio Destinato, peraltro, richiede l'iscrizione al Registro delle imprese ai sensi dell'art. 2436 c.c. e, solo da quella data, vige la separazione patrimoniale con la società. Quanto all'oggetto dell'apporto del MEF, il Decreto Rilancio, pur prevedendo astrattamente anche la possibilità di apporti in natura, individua (cfr. art. 27, comma 17) in apposite emissioni di titoli di stato la modalità principale per attribuire risorse a tale fondo. A fronte dell'apporto, il Decreto Rilancio (art. 27, comma 2) sembra prevedere come obbligatoria - e non facoltativa, come avviene per i patrimoni destinati “ordinari (art. 2447-ter, comma 1, lett. e c.c.) - l'emissione di strumenti finanziari partecipativi a favore del MEF, che paiono veri e propri titoli di equity, con una remunerazione “condizionata all'andamento economico del Patrimonio Destinato”. Una volta costituito, il Patrimonio Destinato potrà svolgere i suoi interventi secondo normali “condizioni di mercato” oppure “nelle forme e alle condizioni previste dal quadro normativo dell'Unione Europea sugli aiuti di Stato”. Precisazione probabilmente ineludibile ma che potrà, per certe situazioni, rallentare l'operatività del Patrimonio Destinato, i cui investimenti necessariamente passeranno per il viatico di un preliminare scrutinio sull'applicabilità degli aiuti di stato e, in caso di risposta affermativa, saranno subordinati all'approvazione della Commissione Europea, ex art. 108 del Trattato sul funzionamento UE. Le modalità tecniche di investimento del Patrimonio Destinato sono declinate dal Decreto Rilancio nei “prestiti obbligazionari convertibili, partecipazione ad aumenti di capitale, acquisto di azioni quotate sul mercato secondario in caso di operazioni strategiche”. Dunque, assunzione di equity “classica”, o erogazione di debito, ma non “semplice”, bensì con clausole di conversione, che consentiranno a CDP di intervenire successivamente nel capitale sociale, al verificarsi delle previsioni che saranno negoziate nei diversi regolamenti prestiti obbligazionari convertibile (generalmente: sottocapitalizzazione, violazione di covenant finanziari, etc.). E' legittimo chiedersi se, seppur non menzionate dal Decreto Rilancio, in nome della flessibilità possano essere utilizzate altre tecnicalità di investimento, che raggiungono simili obiettivi e spesso sono utilizzati dagli operatori finanziari. Vale a dire la sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi (di equity o di debito, eventualmente convertibili) emessi a favore del Patrimonio Destinato da parte dell'impresa finanziata oppure prestiti obbligazionari convertendi (i.e. con clausola di conversione azionabile da parte della società finanziata e non da parte del finanziatore), che spesso rappresentano soluzione ibrida appetibile, in quando si concede debito che è però contabilmente rappresentabile dall'impresa nel proprio patrimonio netto, stante la clausola cd. “convertendo”. Illustrata la natura dei fondi di cui disporrà il Patrimonio Destinato e le tecnicalità di intervento, resta da chiedersi quale sia l'area di intervento di CDP S.p.A., per il tramite del Patrimonio Destinato. La risposta si trova nella seconda parte del quinto comma, dell'art. 27 del Decreto Rilancio, che individua quale criterio guida di intervento l'incidenza dell'impresa target su “infrastrutture critiche e strategiche”, le “filiere produttive strategiche”, la “sostenibilità ambientale” o “i livelli occupazionali”. Sino – e questo è il passaggio che lascia aperto un più ampio margine di discrezionalità – alla possibilità di intervenire in “operazioni di ristrutturazione di società che, nonostante temporanei squilibri patrimoniali o finanziari, siano caratterizzate da adeguate prospettive di reddittività”. Il Patrimonio Destinato (art. 27, comma 7), potrà anche finanziarsi emettendo obbligazioni o strumenti finanziari partecipativi di debito. Lo potrà fare a valere sul Patrimonio Destinato o anche su singoli comparti, con il beneficio della garanzia dello Stato in ultima istanza (art. 27, comma 8). Anche per tali “auto-finanziamenti”, l'istituto beneficia di deroghe alla disciplina ordinaria. Non si applica infatti il limite di emissione obbligazionaria caratterizzato dal doppio del capitale e riserve (artt. 2412 c.c.), e non si applica la disciplina inerente l'organizzazione degli obbligazionisti (artt. 2415 – 2420 c.c.), eccezion fatta per la possibilità di nomina di un rappresentante comune degli obbligazionisti espressamente ammessa dal Decreto Rilancio, restando poco chiaro però chi sia titolato ad effettuare tale nomina, non applicandosi, come detto, gli articoli sull'assemblea degli obbligazionisti e sul rappresentante comune stesso. Pare scontato, tuttavia, che la nomina sia dei titolari del prestito, che a tal fine si riuniranno in assemblea per questo unico scopo. Nulla è invece previsto, in modo imperativo, circa la rappresentanza del Patrimonio Destinato (e quindi, in ultima istanza, dello Stato), negli organi amministrativi o di controllo della target, circostanza che verrà lasciata alla libera trattativa delle parti nella strutturazione dell'operazione. Interessante anche la previsione del nono comma dell'art. 27, che impatta direttamente sull'applicabilità delle pattuizioni privatistiche, in nome di un interesse generale. Si legge infatti che le operazioni di investimento del Patrimonio Destinato “non attivano eventuali clausole contrattuali e/o statutarie di cambio di controllo”. Così, si assicura ex lege la “neutralità”, da un punto di vista dei rapporti contrattuali di ordinary business dell'impresa, dell'operazione di investimento (anche di equity pura) del Patrimonio Destinato, rendendo anche più facili le analisi giuridiche preliminari all'ingresso nella target, al netto delle preliminari verifiche sugli aiuti di stato, prodromiche all'investimento. Una nota finale, riguarda la durata del Patrimonio Destinato. Seppur prorogabile o accorciabile “con delibera del consiglio di amministrazione di CDP S.p.A., su richiesta del Ministero dell'economia e delle finanze”, la durata del Patrimonio Destinato è fissata in un termine “secco” di dieci anni (art. 27, comma 14). Vi è quindi un'ulteriore differenza con i patrimoni destinati “comuni”, la cui durata è invece individuata nella realizzazione o impossibilità di conseguimento, dell'affare cui sono destinati, e un avvicinamento alle logiche di pianificazione finanziaria (tempistica di investimento ed exit) degli operatori di private equity o distress M&A.
|