La Corte costituzionale sulla questione dei casi di remissione della causa al primo giudice
24 Giugno 2020
Massima
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 354 c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), «nella parte in cui non prevede che il giudice d'appello debba rimettere la causa al primo giudice, se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti». Il caso
Nel procedimento per decreto ingiuntivo il giudice dell'opposizione aveva dichiarato l'opposizione improcedibile per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione. Avendo chiuso la causa in rito, il giudice di primo grado non aveva neppure valutato l'istanza dell'opponente di chiamare in causa la compagnia assicuratrice garante della restituzione del finanziamento oggetto dell'iniziativa monitoria. La Corte d'appello di Milano accoglie l'impugnazione dell'opponente, assegnando il termine di legge per l'esperimento della mediazione obbligatoria, come avrebbe dovuto fare il primo giudice. Soddisfatta la condizione di procedibilità, il giudice valuta l'istanza dell'opponente di chiamare un terzo in garanzia. Il giudice d'appello ritiene che l'intervento del garante non possa essere provocato in grado d'appello, nell'ambito del quale l'intervento del terzo è consentito soltanto ai soggetti legittimati all'opposizione di terzo, per effetto del combinato disposto degli artt. 344 e 404 c.p.c. Né sarebbe possibile la rimessione della causa al giudice di primo grado, poiché la Corte d'appello considera, d'accordo con l'interpretazione della giurisprudenza prevalente, che gli artt. 353 e 354 c.p.c. siano di stretta interpretazione e non consentano, di conseguenza, la rimessione al primo giudice nel caso di specie. Secondo la Corte d'appello, quindi, queste disposizioni sarebbero affette da illegittimità costituzionale, perché impedirebbero a pieno l'esercizio del diritto di difesa dell'appellante. Quest'ultimo, infatti, sarebbe costretto ad agire autonomamente contro il garante, istaurando un autonomo giudizio, senza potersi avvalere, nei suoi confronti, del giudicato formatosi sull'azione principale. La questione
La Corte costituzionale affronta la questione della legittimità costituzionale dell'art. 354 c.p.c., che non consente la rimessione al primo giudice in ipotesi diverse da quelle espressamente contemplate, anche in apparenza simili, in conformità all'interpretazione consolidata della Corte di cassazione (Cass. civ., 28 luglio 1962, n. 2208; Cass. civ., 12 gennaio 1963, n. 34; Cass. civ., 14 novembre 1972, n. 3368; più di recente: Cass. civ., 15 maggio 2002, n. 7057; Cass. civ., 17 marzo 2006, n. 5907; Cass. civ.,11 gennaio 2010, n. 244). Ad opinione del giudice a quo la recente trasformazione del giudizio d'appello in un giudizio di stampo cassatorio, impedirebbe di avere un nuovo giudizio di merito, quando quello di primo grado fosse stato affetto da un vizio che avesse leso il principio del contradditorio e non fosse possibile la rimessione al primo giudice. Argomento a favore dell'accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata sarebbe il disposto dell'art. 105 del Codice del processo amministrativo; tale norma prevede la rimessione in primo grado con una formula "aperta", «se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti»: la mancanza di un'analoga possibilità anche nel processo civile darebbe luogo ad un'irragionevole disparità di trattamento tra modelli processuali. In conclusione, l'art. 354 c.p.c. violerebbe gli artt. 3, 24, 111 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, «nella parte in cui non prevede che il giudice d'appello debba rimettere la causa al primo giudice, se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti». Le soluzioni giuridiche
La Corte costituzionale rigetta in toto la questione di legittimità costituzionale. Le argomentazioni alla base di questa decisione sono diverse. In primo luogo la Corte sottolinea la discrezionalità del legislatore nella disciplina degli istituti processuali, con il solo limite «della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute, limite che, con riferimento specifico all'art. 24 Cost., viene superato solo qualora emerga un'ingiustificabile compressione del diritto di agire». Ad un tale fenomeno non darebbero luogo gli artt. 353 e 354 c.p.c., i quali prevedono la rimessione della causa al primo giudice solo in ipotesi tassative, non in ogni caso in cui vi sia stata in primo grado una violazione del principio del contraddittorio o del diritto di difesa di una delle parti. Ne potrebbe essere considerato un pregiudizio al diritto di difesa l'impossibilità di realizzare un simultaneus processus tra due cause connesse, perché questo espediente tecnico favorirebbe una più rapida definizione delle due controversie, ma non si tratterebbe di un istituto dotato di copertura costituzionale, proprio perché l'interessato avrebbe la possibilità di far valere le sue ragioni nella competente sede giudiziaria. La Corte costituzionale è concorde con la Corte di cassazione (tra le tante Cass. civ., 17 aprile 2019, n. 10744) nel ritenere che l'appello a seguito della riforma avvenuta nel 2012 non abbia subito una trasformazione tale da diventare un mezzo di impugnazione a critica vincolata, analogo al ricorso in cassazione: il cuore dell'istituto rimarrebbe lo stesso e perciò, anche sotto questo punto di vista non sarebbe legittimata la censura costituzionale dell'art. 354 c.p.c., che solo in casi eccezionali configura l'appello come mezzo di impugnazione rescindente. In tutti gli altri casi, l'appello rimane un mezzo di impugnazione a carattere sostitutivo. Infine, non sarebbe argomento a favore dell'accoglimento della questione di legittimità costituzionale neanche il disposto dell'art. 105 c.p.a., che dispone la rimessione al primo giudice ogniqualvolta sia mancato il contraddittorio o sia stato leso il diritto di difesa nel primo giudizio. Se si cassasse il regime previsto dagli artt. 353 e 354 c.p.c. ispirandosi a tale norma, vi sarebbe un'inversione di ruoli nel rapporto tra codice di procedura civile e codice del processo amministrativo. Ciò sarebbe tanto vero che l'art. 44, comma 1 legge n. 69/2009 avrebbe individuato tra le finalità della riforma quella di coordinare il processo amministrativo «con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali». Tutte quelle elencate sono le argomentazioni che spingono la Corte costituzionale a rigettare in toto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d'appello di Milano. Osservazioni
Le argomentazioni addotte dalla Corte costituzionale sono senza dubbio da condividere e da condividere, quindi, è il rigetto della questione di legittimità costituzionale, anche se vanno fatte alcune precisazioni. Dal momento che il doppio grado di giudizio di merito nel nostro ordinamento giuridico non ha copertura costituzionale (si veda le due storiche sentenze della Corte stessa: Corte cost. 14 dicembre 1989, 573; Cass. civ., 23 dicembre 1989 n. 573), nessun ostacolo vi è a che davanti al giudice d'appello si svolga in verità il giudizio di primo grado, quando nel primo giudizio di merito è stato violato il principio del contraddittorio o leso il diritto di difesa delle parti e non ricorre alcuna ipotesi prevista dagli artt. 353 e 354 c.p.c. Quanto sopra affermato sta a significare che nel caso di specie all'appallante–opponente si dovrebbe dare la possibilità di chiamare il terzo in garanzia proprio come se si fosse davanti al giudice di primo grado, senza applicare le limitazioni alla chiamata in causa dei terzi nel giudizio d'appello. Se così non fosse, l'appellante–opponente subirebbe una limitazione ingiustificata, dovuta non ad una sua mancanza, ma ad un errore del giudice. Né si può ritenere che non sia poca cosa iniziare un nuovo processo, con nuove spese, davanti ad altro giudice di merito che non conosce contemporaneamente della questione principale. Oltre al fatto che, consentendo la chiamata in causa del terzo in garanzia si favorirebbe la più rapida stabilizzazione della complessiva vicenda nell'ambito del diritto sostanziale.
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