La liquidazione delle spese a carico del soccombente
25 Giugno 2020
Condanna alle spese a carico del soccombente. Il Giudice, nel dispositivo, si limita a condannare, testualmente, "al rimborso delle spese", che liquida senza distinguere tra compensi ed esborsi, oltre "oneri di legge". Qual è la base di calcolo degli oneri? e del rimborso forfetario per spese generali? La mancata distinzione tra compensi ed esborsi, inoltre, temo che mi creerebbe non pochi problemi in sede di precetto.
Dal quesito, se ben si intende, si evince che il provvedimento giudiziale contenga una generica condanna alle spese, che vengono liquidate, senza però distinguere il “compenso” dai “costi” del procedimento, sostenuti dalla parte risultata vittoriosa. Invero, ai sensi dell'art. 91 c.p.c. non si rinviene un obbligo da parte del giudicante di porre tale distinzione: ivi si indicano le spese, da intendersi quali costi sostenuti per il procedimento e gli onorari, da intendersi quale compenso per l'attività prestata dal legale. Tuttavia, nella pratica, si è soliti suddividere le voci proprio al fine di non ingenerare difficoltà applicative, sia per il calcolo degli oneri fiscali che delle spese generali, anche in ipotesi di un eventuale recupero coattivo della somma, come si rileva nel quesito posto. Dal tenore letterale del provvedimento giudiziale, sembra potersi intendere che con il termine “rimborso delle spese” ci si riferisca al compenso ed ai costi (o esborsi come indica il quesito), relegando gli “oneri di legge” a quei costi collegati all'imposizione fiscale, previdenziale, nonché alle spese generali. Ciò premesso, nel caso di specie, per rispondere adeguatamente, è bene fare chiarezza sulla portata delle voci di spesa collegate alla soccombenza. Possiamo, innanzitutto, suddividere il compenso dagli oneri di legge (o oneri accessori); questi ultimi, in realtà, dovrebbero comprendere gli esborsi (spese vive documentate, come ad es. il costo delle copie), il contributo per le spese generali (15%, secondo l'art. 2 d.m. n. 55/2014 e successive modifiche e integrazioni), le spese di trasferta (art. 27 d.m. n. 55/2014 e successive modifiche e integrazioni), il contributo previdenziale del 4% (C.P.A.) e l'I.V.A. al 22%. Non sembra, però, che quanto stabilito nel provvedimento giudiziale segua questa distinzione di voci, come rilevato sopra e come sembra indicare anche il quesito posto. Tuttavia, anche in mancanza di una precisa indicazione, aderendo all'interpretazione che il termine “rimborso delle spese” si debba riferire al compenso ed agli esborsi, il calcolo potrà essere effettuato per sottrazione, dovendo, questi ultimi, risultare documentalmente. Quindi, bisognerà detrarre i costi (cioè gli esborsi) dalle cosiddette “spese” liquidate ed il residuo non potrà che essere rappresentato dal compenso liquidato in sede giudiziale. Certamente, un calcolo siffatto potrebbe andare incontro a censure con riferimento alla riconducibilità degli esborsi al procedimento in questione, censure che potrebbero certamente influire sullo svolgimento di un'eventuale fase esecutiva. In quest'ultimo caso, nella pratica, in sede di formazione del precetto, si deve tuttavia tenere presente che un'eventuale contestazione sul quantum in eccesso non priverà di validità il precetto stesso ma comporterà unicamente la sua riduzione in sede di eventuale opposizione, del che un'ipotetica esecuzione che si basasse su quel precetto opposto, resterebbe salva per la minor somma non contestata: «L'eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l'intero ma ne determina la nullità o inefficacia parziale per la somma eccedente, con la conseguenza che l'intimazione rimane valida per la somma effettivamente dovuta, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito dell'opposizione in ordine alla quantità del credito» (Cass. civ., 29 febbraio 2008, n.5515).
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