Diffamazione su Facebook: rimozione del contenuto su scala mondiale o europea?
29 Giugno 2020
La pronunzia in esame è stata resa a seguito di reclamo di precedente ordinanza ex art. 700 c.p.c. in tema di rimozione contenuti lesivi (diffamazione) su Facebook. Un imprenditore italiano noto anche all'estero, sommerso dalle attività denigratici della ex compagna, chiede a Facebook la rimozione dei contenuti lesivi. Il Giudice del ricorso emette un ordine di rimozione a livello mondiale nei confronti del social network. Quest'ultimo oppone reclamo al Collegio che in parziale riforma conferma la condanna alla rimozione ma limita gli effetti territoriali del provvedimento al solo spazio europeo.
L'ordinanza in parola – di rilevante pregio giuridico - tratta compiutamente tutte le questioni di diritto procedurale e di diritto sostanziale legate ai casi di diffamazione su social network. Tuttavia in questa sede preme soffermarsi sulla questione dell'estensione territoriale del provvedimento giudiziario nell'ambito di internet.
Si distingue tra l'illecito per violazione dell'onore e della reputazione (diffamazione) e l'illecito per scorretto trattamento dei dati (data protection), situazioni concretizzate da due leading case ovvero in tema di diffamazione la CGUE sent. C-18/18, Eva Glawischnig-Piesczek/Facebook Ireland Limited, 3 ottobre 2019 e in tema di scorretto trattamento dati la CGUE sent. C-507/17, Google LLC/CNIL (Commission nationale de l'informatique et des libertés) 24 settembre 2019. Per la diffamazione, la CGUE ammette l'estensione mondiale del comando del giudice interno mentre per la data protection la CGUE predilige la limitazione ai confini europei (sebbene non si escludano ipotesi di estensione mondiale). Pertanto sulla scorta della CGUE Eva Glawischnig-Piesczek/Facebook nel caso sottoposto il Tribunale di Milano avrebbe potuto confermare l'efficacia mondiale della condanna stabilita dal giudice di prime cure. Invece viene prediletta la via dell'autolimitazione al solo territorio europeo nell'ottica della funzione sociale dei diritti fondamentali e quindi della loro relativizzazione o comparazione con diritti in contrasto di pari rango. Non esistono diritti assoluti, esiste la comparazione bilanciata degli stessi secondo il principio della proporzionalità scandita sui parametri suggeriti dalla prassi giudiziale che nel nostro caso vengono individuati nella «tipologia di contenuti pubblicati, caratteristiche del soggetto denigrato (il quale non svolge alcun ruolo pubblico) e dell'autore delle pubblicazioni (la ex compagna del danneggiato) e delle espressioni utilizzate (che in più parti fanno riferimento a vicende dal carattere privato)».
Questo complesso e delicato meccanismo di pesi e contrappesi ermeneutici si colloca in uno scenario inquietante, popolato di gestori privati di servizi digitali cui viene demandato in alcuni casi di eseguire il bilanciamento tra data protection e diritto all'informazione oppure tra dignità della persona e libertà di espressione. In un quadro siffatto, soddisfa il diritto all'effettività della tutela una condanna giudiziale limitata unicamente all'ambito europeo? Fuori dai confini UE il bilanciamento è lasciato alla discrezionalità del provider? Stiamo andando dunque verso una privatizzazione della giustizia nell'ambito digitale con preoccupanti attribuzioni di competenze para costituzionali ai gestori delle piattaforme? Purtroppo dobbiamo convenire che molti dei quesiti evocati costituiscono ormai delle domande retoriche. Tuttavia esistono sviluppi dottrinari e giurisprudenziali che ammettendo l'efficacia orizzontale dei diritti fondamentali responsabilizzano fortemente i Signori delle Piattaforme. |