Modifiche alla disciplina lavoristica del trasferimento di azienda nel nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza
Filippo Aiello
29 Giugno 2020
Con il nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui al d.lgs. 14 febbraio 2019 n. 14, che sostituirà la legge fallimentare del 1942, il legislatore si è occupato anche dei rapporti di lavoro coinvolti nella circolazione del bene azienda nelle imprese in crisi o insolventi...
Abstract
Con il nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui al d.lgs. 14 febbraio 2019 n. 14, che sostituirà la legge fallimentare del 1942, il legislatore si è occupato anche dei rapporti di lavoro coinvolti nella circolazione del bene azienda nelle imprese in crisi o insolventi.
L'Autore si è occupato di esaminare la disciplina sovranazionale e l'evoluzione di quella nazionale in seguito agli interventi della Corte di giustizia e, infine, ha esaminato le modifiche che saranno introdotte dal nuovo CCII a decorrere dal 1° settembre 2021, data di entrata in vigore come da ultimo posticipata.
La legge delega 19 ottobre 2017 n. 155 e il nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza contenuto nel decreto legislativo 14 febbraio 2018 n. 14
Con il d.lgs. 14 febbraio 2019 n. 14 è stato emanato il nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza che sostituirà la legge fallimentare del 1942. L'entrata in vigore del nuovo Codice è stata prevista, con la disposizione contenuta nell'art. 389, comma 1, d.lgs. n. 14 del 2019, dapprima al 14 agosto 2020, successivamente posticipata, in tempi di emergenza Covid-19, al 1° settembre 2021. Si noti che, nelle more, è stata approvata, la l. 8 marzo 2019, n. 20 che contiene una nuova delega in materia per adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi.
Per quel che interessa in questa sede, il cuore delle previsioni che saranno esaminate sono contenute nell'art. 368, d.lgs. n. 14 del 2019, ove si trovano notevoli innovazioni sulla sorte dei rapporti di lavoro coinvolti dalla circolazione del bene azienda nelle imprese in crisi o insolventi.
La circolazione dell'azienda, o di sue articolazioni, nell'ambito delle procedure concorsuali. Fonti nazionali e sovranazionali ed intervento della Corte di giustizia
Per quel che interessa, la circolazione dell'azienda, o di sue articolazioni, interferisce con la disciplina della crisi d'impresa sia nell'ambito delle procedure concorsuali, quindi con riguardo ad imprese in crisi o in stato di insolvenza, sia fuori dalle procedure concorsuali, allorquando ci si trovi in presenza di uno stato di crisi qualificata ovvero quando vi siano specifici casi di crisi aziendale con particolare rilevanza sociale.
La questione deve essere esaminata in relazione ai diritti dei dipendenti contenuti nell'art. 2112 c.c. ovvero: il diritto alla continuità del rapporto di lavoro come previsto dal primo comma, l'obbligo solidale, in capo al cessionario, per i crediti dei lavoratori rimasti insoddisfatti da parte del cedente, come previsto dal secondo comma, il mantenimento, in capo al cessionario, del trattamento normativo ed economico precedentemente goduto dai dipendenti, con riferimento ai diritti individuali, come previsto dal primo comma, e a quelli derivanti dalla contrattazione collettiva, come previsto dal terzo comma.
La normativa nazionale vigente è essenzialmente contenuta nell'art. 47 della l. n. 428 del 1990 ma anche negli artt. 104 e 104-bis e 105 della legge fallimentare, negli artt. 56 e 63 del d.lgs. n. 270 del 1099 (cd. legge Prodi-bis) e nell'art. 5 comma 2-ter del d.l. n. 347 del 2003 (cd. legge Marzano) per l'amministrazione straordinaria.
Nel Codice della crisi d'impresa la disciplina che riguarda il trasferimento d'azienda è disciplinata da una previsione generale contenuta nell'art. 191, d.lgs. n. 14 del 2019 che, intestata Effetti del trasferimento di azienda sui rapporti di lavoro, stabilisce: «1. Al trasferimento di azienda nell'ambito delle procedure di liquidazione giudiziale, concordato preventivo e al trasferimento d'azienda in esecuzione di accordi di ristrutturazione si applicano l'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, l'articolo 11 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito nella legge 21 febbraio 2014, n. 9 e le altre disposizioni vigenti in materia».
L'art. 2 della legge delega 19 ottobre 2017 n. 155, primo comma, alla lett. p), per quel che interessa in questa sede, indica, fra i principi generali dettati al Governo per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, la necessaria armonizzazione delle procedure di gestione della crisi e dell'insolvenza del datore di lavoro con le forme di «tutela dell'occupazione e del reddito dei lavoratori» che trovano fondamento nella Carta sociale europea e nelle direttive 2008/94/CE, 2001/23/CE «come interpretata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea».
Quindi, oltre al generale richiamo alla Carta sociale europea, si evocano i principi contenuti nella direttiva 2001/23/CE con la precisazione che questa deve essere letta in coordinamento con l'interpretazione fornita dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, confessando, in sostanza, come lo Stato italiano sia stato più volte inadempiente – e lo sia tuttora – rispetto a tali principi.
Per chiarire questo punto è necessario l'esame di alcuni passaggi essenziali che si sono susseguiti nella normativa sovranazionale e che ci consentiranno di valutare se l'armonizzazione compiuta dal nuovo codice sia adeguata o meno.
Giova prendere le mosse dalla direttiva 77/187/CEE che ha regolato il mantenimento dei diritti dei lavoratori nell'ipotesi di trasferimento d'azienda, ma che non conteneva una disciplina derogatoria per il caso di imprese in crisi. Essa ha occasionato, per quel che interessa, la Sentenza della Corte di giustizia del 10 luglio 1986 nella causa 235-84 (Commissione c. Italia) che ha condannato l'Italia per il mancato recepimento della predetta direttiva nella parte in cui non era stata prevista, nella normativa nazionale, una procedura di consultazione ed informazione sindacale (art. 6 direttiva). Con la legge comunitaria italiana del 1990 (l. 29 dicembre 1990, n. 428), all'art. 47, veniva introdotta una disciplina che regolasse tale procedura. Esso, però, prevedeva, al comma 5, anche un'ipotesi derogatoria all'art. 2112 c.c. per le imprese in crisi prendendo spunto dalla sentenza della Corte di giustizia, Abels, del 7 febbraio 1985, con cui il giudice europeo introduceva una deroga al mantenimento dei diritti in caso di fallimento.
Successivamente la Corte di giustizia individuava il criterio dirimente per la possibilità di deroga della direttiva CE n. 187 del 1977 nella continuazione dell'attività produttiva proprio esaminando il comma 5 della l. n. 428 del 1990 con le sentenze: D'Urso (C. giust. CE 25 luglio 1991, C-362/89) in tema di amministrazione straordinaria con continuazione di attività e Spano (C. gust. CE 7 dicembre 1995, C-472/93) in un caso di crisi qualificata (connotata da rilevanza sociale).
Dopo tali pronunce veniva emessa la direttiva 98/50/CE che ha modificato la direttiva 77/187/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti. La direttiva 98/50/CE è successivamente stata abrogata dall'allegato I, parte A, della direttiva 2001/23/CE nella quale è confluita.
I principi desumibili dalla disciplina sovranazionale
Dall'esame di tali previsioni sovranazionali, facendo riferimento al testo della direttiva 2001/23/CE, se ne trae un principio secondo cui, nel trasferimento d'azienda, i rapporti di lavoro in atto proseguono alle dipendenze del cessionario ed i lavoratori mantengono i diritti pregressi (art. 3 comma 1, primo paragrafo: “I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario”; art. 4, comma 1, primo paragrafo: “Il trasferimento di un'impresa, di uno stabilimento o di una parte di impresa o di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d'organizzazione che comportano variazioni sul piano dell'occupazione”).
È presente anche una eccezione, contenuta nell'art. 5, secondo cui lo Stato membro può prevedere che «gli articoli 3 e 4 non si applicano (…) nel caso in cui: i. il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga ii. aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso iii. che si svolgono sotto il controllo di un'autorità pubblica competente» (comma 1). In questo primo caso si contempla, quindi, un'ipotesi di procedura liquidatoria che non mira alla conservazione dell'azienda.
Inoltre, quando vi sia una procedura di insolvenza nei confronti del cedente, indipendentemente dal fatto che la procedura sia stata aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso - a condizione che tali procedure siano sotto il controllo di un'autorità pubblica competente -, è possibile la deroga alla solidarietà per i crediti pregressi se c'è una protezione analoga a quella della direttiva 80/987CE (lett. a) nonché delle “modifiche delle condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell'impresa, dello stabilimento o di parti di imprese o di stabilimenti” ma solo in presenza di un accordo con i rappresentanti dei lavoratori (lett. b).
Infine, nel comma 3 è previsto che, analogamente, si applica la stessa deroga del comma 2 lett. b) ora citata, ovvero quella che consente modifiche alle condizioni di lavoro - ma non per il regime di solidarietà dei crediti – allorquando vi sia un accordo sindacale e ci si trovi in presenza di un caso di “grave crisi” dichiarata da autorità pubblica e sottoposta a controllo giudiziario.
L'art. 47 della l. n. 428 del 1990, nella versione antecedente alle modifiche apportate dal legislatore nel 2009, al comma 5, prevedeva la possibilità di disapplicare l'art. 2112 c.c. nei casi di procedure di insolvenza senza prosecuzione di attività espressamente individuate nel fallimento, concordato preventivo con cessione di beni, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria senza prosecuzione di attività. A tali ipotesi si aggiungeva il caso di crisi accertata ai sensi dell'art. 2, comma 5, lett. c) del l. n. 675 del 1977, ovvero specifici casi di crisi aziendale di rilevanza sociale individuati al fine di erogare il trattamento in integrazione salariale. Per questi due casi era prevista la possibilità di stipulare un accordo sindacale che prevedesse il mantenimento «anche parziale» dell'occupazione. Infine, al comma 6, era previsto un diritto di prelazione, per la durata di un anno, per i lavoratori non passati alle dipendenze della cessionaria ai quali non si sarebbe applicato, ad ogni modo, l'art. 2112 c.c.
La Corte di giustizia con le sentenze D'Urso, Spano, sopra richiamate, aveva precisato quanto anticipato nella sentenza Abels in ordine alla necessità della mancata continuazione dell'attività produttiva per derogare alla direttiva 77/187/CE di prima generazione. Con la sentenza C. giust. CE 11 giugno 2009 C-561/07), che si è pronunciata in epoca posteriore all'emanazione delle regole attualmente vigenti ed introdotte con la direttiva 98/50/CE, la Corte ha esaminato il caso relativo alla accertata crisi aziendale qualificata, affermando che per il caso di “crisi aziendale” l'art. 47, commi 5 e 6, l. n. 428 del 1990, nella parte in cui consentiva la deroga ai principi di sulla continuità del rapporto di lavoro, violava la direttiva stessa.
Nel corpo della menzionata sentenza vi sono alcune interessanti affermazioni utili alla corretta interpretazione della disposizione nella attuale formulazione. In particolare nel punto 39 la Corte ha affermato che la dichiarazione di stato di crisi ex art. 2, comma 5, lett. c), della l. n. 675 del 1977, non rientra nel perimetro dell'art. 5 della direttiva 2001/23/CE in quanto non si tratta di una procedura soggetta al controllo dell'autorità pubblica e, nel punto 36, si afferma che la dichiarazione di crisi anzidetta non è motivo di licenziamento ai sensi dell'art. 4 della direttiva CE 23/2001 che, pertanto, dev'essere diversamente motivato.
Molto importante è la dichiarazione contenuta nel punto 46 ove si afferma che la modifica delle condizioni di lavoro autorizzata dall'art. 5 della direttiva 2001/23/CE presuppone che il trasferimento dei diritti si sia già realizzato. Da esso deriva il divieto alla deroga ai principi contenuti – oggi – negli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23/CE.
In seguito a tale pronuncia della Corte di giustizia, con l'art. 19-quater, comma 1, lett. a) e lett. b) del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, conv. con l. n. 166 del 2009, il legislatore ha voluto adeguarsi alla pronuncia della Corte di giustizia che aveva sottolineato la differenza fra le procedure di crisi ed insolvenza che avessero, o meno, finalità meramente liquidatorie. Veniva, pertanto, introdotto un omma 4-bis e modificato il comma 5 dell'art. 47 della l. n. 428 del 1990.
In effetti, come rilevato, la direttiva UE prevede la possibilità della deroga del principio circa la proseguibilità del rapporto di lavoro alle dipendenze del cedente, solo in presenza di una procedura di natura liquidatoria (ovvero adottata «in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso») che, come precisato dalla Corte di giustizia nelle menzionate pronunce, attiene alla continuazione o meno dell'attività produttiva.
La disciplina nazionale
L'art. 47, commi 4-bis, 5 e 6 dell'art 47, l. n. 428 del 1990, attualmente vigenti, prevedono, per le procedure liquidatorie una disciplina contenuta nel comma 5. Con la modifica introdotta nel 2009 con l'art. 19-quater, comma 1, lett. a) e lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit., è stata espunta l'ipotesi riguardante la crisi qualificata accertata per la fruizione di CIGS.
In sostanza è ammessa la deroga all'art. 2112 c.c. in presenza di un accordo sindacale che preveda il mantenimento “anche parziale” dell'occupazione ove vi siano procedure meramente liquidatorie quali il fallimento, il concordato preventivo con cessione dei beni, la liquidazione coatta amministrativa e l'amministrazione straordinaria, con la precisazione «nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata».
Tale formulazione che apparentemente sembra essere riferita alla sola ipotesi dell'amministrazione straordinaria appare, invece, un criterio utile per individuare con precisione le ipotesi contemplate. In effetti le deroga prevista dall'art. 5 comma 1 della direttiva 2001/23/CE alla regola della continuazione del rapporto di lavoro (artt. 3 e 4) può sussistere solo in presenza di una procedura che sia aperta “in vista della liquidazione dei beni” che, come precisato dalla Corte di Giustizia, avviene quando non ci sia continuazione dell'attività produttiva.
Mentre la deroga agli altri diritti può avvenire anche nell'ambito di una procedura non liquidatoria ma in presenza di un accordo sindacale.
Per le procedure non liquidatorie la previsione contenuta nel comma 4-bis dell'art. 47 cit. contiene le seguenti ipotesi: lo stato di crisi accertata dal Codice della crisi di impresa ai sensi dell'art. 2, comma 5, lett. c), l. n. 675 del 1977, la dichiarazione di apertura del concordato preventivo in continuità (non quello con cessione dei beni previsto nel comma 5), l'Amministrazione straordinaria con continuazione dell'attività, l'Accordo di ristrutturazione dei debiti.
Per queste ipotesi è possibile la deroga ai principi della solidarietà e del mantenimento dei diritti contenuti nell'art. 2112 c.c., in presenza di un accordo sindacale circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione.
Tale formulazione «mantenimento anche parziale dell'occupazione» ha fatto sorgere il dubbio che fosse possibile una deroga alla regola della continuità del rapporto di lavoro.
Tuttavia, le ipotesi riguardanti l'accertamento della crisi, il concordato in continuità, l'amministrazione straordinaria con continuazione dell'attività produttiva, l'accordo di ristrutturazione del debito non sono procedure “aperta in vista della liquidazione dei beni” come previsto dall'art. 5 della direttiva 2001/23/CE. Quindi un'interpretazione della norma nel senso dell'ammissione di una deroga al principio della permanenza del rapporto alle dipendenze del cessionario risulta in contrasto con la direttiva 2001/23/CE come interpretata dalla Corte di giustizia.
Nondimeno, qualora non si ritenesse la direttiva in esame – sebbene dotata di completezza - in grado di produrre effetti orizzontali nei rapporti alle dipendenze di soggetti privati, occorrerebbe far ricorso alla interpretazione conforme.
Sebbene il tenore letterale «accordo sindacale circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione» sembrerebbe escludere l'interpretazione conforme, giacché il testo della disposizione sembrerebbe chiaro e non interpretabile, la Corte appello Roma con varie sentenze a partire da Corte appello Roma n. 3275 del 2016 (nel caso Alitalia) ha affermato che l'art. 47, comma 4-bis, dev'essere inteso nel senso che non possa prevedere limiti al trasferimento del rapporto verso il cessionario.
Di conseguenza eventuali accordi che stabiliscano tali limitazioni sono totalmente nulli.
In particolare: l'amministrazione straordinaria (leggi Prodi-bis e Marzano)
Particolari osservazioni devono essere formulate in tema di amministrazione straordinaria, ovvero la procedura che riguarda le imprese socialmente rilevanti con almeno 200 dipendenti (art. 2 lett. a, d.lgs. n. 270 del 1999), insolventi (art. 2 lett. b: che abbiano debiti pari a 2/3 sia dell'attivo che dei ricavi) e che presentino concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico (art. 27 d.lgs. n. 270 del 1999).
Le concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico possono essere realizzate: mediante cessione dei complessi aziendali secondo un programma non superiore ad un anno (art. 27, comma 2, lett. a, ovvero un'ipotesi liquidatoria), da parte delle società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali (art. 27, comma 2, lett. b-bis) anch'essa un'ipotesi liquidatoria), mediante ristrutturazione finanziaria ed economica con un programma non superiore a due anni (art. 27, comma 2, lett. b, ovvero un'ipotesi non liquidatoria).
Preme sottolineare che l'ipotesi liquidatoria di cui all'art. 27, comma 2, lett. a) cit. sopra indicata, prevede la prosecuzione dell'attività per un anno in vista della cessione dell'azienda e non sembrerebbe per nulla rientrare nella fattispecie di cui all'art. 47 comma 5, cit.
L'art. 56 comma 3-bis del d.lgs. n. 270 del 1999, nel richiamare le ipotesi liquidatorie contemplate nell'art. 27 lett. a) e b-bis) cit. precisa che, in caso di cessione di azienda “in vista della liquidazione dei beni del cedente”, non trova applicazione l'art. 2112 c.c. Anche l'art. 63 del d.lgs. 270 del 1999, con riferimento alla vendita dell'azienda in esercizio, al comma 4, prevede il trasferimento parziale dell'occupazione qualora vi sia un accordo sindacale ex art. 47, l. n. 428 del 1990, e le modifiche delle condizioni di lavoro. Al comma 5 è, infine, prevista la deroga alla regola della solidarietà per i crediti pregressi anche senza che intervenga un accordo sindacale.
Orbene, la deroga alla regola della solidarietà appare conforme alla direttiva 2001/23/CE art. 5, comma 2, lett. a), che non prevede la necessità dell'accordo sindacale ma solo la garanzia per alcuni crediti (TFR e tre mensilità) con un Fondo statale, la deroga alla permanenza delle condizioni di lavoro non è in conflitto con l'art. 5, comma 2, lett. b), essendo previsto l'accordo sindacale.
Al contrario la deroga alla continuità dei rapporti di lavoro è in aperto conflitto con l'art. 5 comma 1 qualora ricorra un'ipotesi non liquidatoria (“in vista della liquidazione dei beni del cedente”).
Nella legge Marzano, d.l. n. 347 del 2003, che si rivolge alle imprese insolventi di grandi dimensioni (500 dipendenti da un anno – debito superiore a 300 milioni) e, in particolare, alle imprese che operano nei servizi pubblici essenziali o che gestiscono stabilimenti di interesse strategico nazionale, l'art. 5, comma 2-ter (inserito con il d.l. n. 134 del 2008, conv. con la l. n. 166 del 2008), prevede che si applichi l'art. 47 cit. ma, qualora non si raggiuga un accordo sindacale, il Commissario ed il cessionario possono derogare all'art. 2112 c.c. individuando i lavoratori che transitano alle dipendenze del cessionario.
Se si tratta di un'amministrazione straordinaria aperta ai sensi dell'art. 27 lett. a) o b-bis) con finalità liquidatoria la previsione è in linea con le regole della direttiva 2001/23/CE mentre se, invece, si tratta di una procedura aperta ai sensi dell'art. 27 lett. b) allora la disposizione entra in serio contrasto con le regole di cui alla direttiva citata.
Le modifiche che saranno introdotte dal Codice della crisi d'imprese dal 1° settembre 2021
Con la Raccomandazione n. 135 del 12 marzo 2014, l'Unione ha sollecitato gli Stati ad adottare previsioni che consentano una rapida ristrutturazione delle imprese in difficoltà per evitare l'insolvenza e proseguire l'attività. In particolare, nel 1° considerando si afferma esplicitamente che occorre massimizzare il valore aziendale per creditori, dipendenti, proprietari e per l'economia in generale.
Dai lavori parlamentari della riforma, in particolare dalla relazione al disegno di legge (disegno legge delega AC 3671-bis e Atto Senato n. 2681) si legge come fra i principi ispiratori della riforma vi sia la salvaguardia della continuità aziendale e del profilo occupazionale.
Come sopra ricordato, la legge delega n. 155 del 2017, all'art. 2, comma 1, lett. p) prevede espressamente la necessità di «armonizzare le procedure di gestione della crisi e dell'insolvenza del datore di lavoro con le forme di tutela dell'occupazione e del reddito dei lavoratori che trovano fondamento nella Carta sociale europea, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata ai sensi della l. 9 febbraio 1999, n. 30, e nella direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, nonché nella direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, come interpretata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea».
Di conseguenza, l'art. 368 del nuovo codice prevede una modifica all'art. 47 della l. n. 428 del 1990. In particolare nella previsione anzidetta si legge: «b) il comma 4-bis è sostituito dal seguente: 4-bis. Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo, nel corso delle consultazioni di cui ai precedenti commi, con finalità di salvaguardia dell'occupazione, l'articolo 2112 del codice civile, fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro, trova applicazione, per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo, da concludersi anche attraverso i contratti collettivi di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, qualora il trasferimento riguardi aziende: a) per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo in regime di continuità indiretta, ai sensi dell'articolo 84, comma 2, del codice della crisi e dell'insolvenza, con trasferimento di azienda successivo all'apertura del concordato stesso; b) per le quali vi sia stata l'omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, quando gli accordi non hanno carattere liquidatorio; c) per le quali è stata disposta l'amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività».
Come si vede, nel comma 4-bis cit. viene cancellato il riferimento al “mantenimento anche parziale dell'occupazione”, sostituito dalla «finalità di salvaguardia dell'occupazione» e dall'inciso «fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro».
Viene introdotta la possibilità di derogare solo alle condizioni di lavoro rafforzando, di contro, l'impossibilità di deroga alla regola della proseguibilità dei rapporti e alla regola della solidarietà. È stato introdotto il riferimento all'art. 51 del d.lgs. n. 81 del 2015 inserendo un “anche” che fa pensare alla possibilità di accordi anche diversi rispetto a quelli ivi contemplati. Viene cancellata la previsione che riguarda la “crisi aziendale”.
È stata introdotta la precisazione secondo cui per gli accordi di ristrutturazione dei debiti si deve far riferimento solo all'ipotesi in cui “gli accordi non hanno carattere liquidatorio” rafforzando la tesi che fonda la distinzione fra il comma 4 e il comma 5 proprio sulle ipotesi liquidatorie o non liquidatorie.
Il comma 5 cit. è sostituito dal seguente: «5. Qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio, ovvero emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata, i rapporti di lavoro continuano con il cessionario. Tuttavia, in tali ipotesi, nel corso delle consultazioni di cui ai precedenti commi, possono comunque stipularsi, con finalità di salvaguardia dell'occupazione, contratti collettivi ai sensi dell'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in deroga all'articolo 2112, commi 1, 3 e 4, del codice civile; resta altresì salva la possibilità di accordi individuali, anche in caso di esodo incentivato dal rapporto di lavoro, da sottoscriversi nelle sedi di cui all'articolo 2113, ultimo comma del codice civile.».
Come si vede, manca il riferimento all'amministrazione straordinaria rimasto, però, nel precedente comma 4-bis. Viene aggiornato il testo con il riferimento alla liquidazione giudiziale in luogo del fallimento e viene introdotto il riferimento al solo concordato preventivo liquidatorio.
La novità di grade rilievo è costituita dal fatto che viene affermata la regola della prosecuzione dei rapporti di lavoro fra cedente e cessionario mentre sussiste, ma in via di mera eccezione, la possibilità di deroga all'art. 2112 c.c. commi 1, 2, 3 (ovvero: proseguibilità dei rapporti, solidarietà per i crediti economici, e mantenimento dei trattamenti economici e normativi) solo con gli accordi ex art. 51 d.lgs. n. 81 del 2015 e non altri come previsto nel precedente comma 4-bis.
Considerazioni finali
Qualche considerazione finale può svolgersi con uno sguardo ad alcune vicende che interessano la pratica quotidiana ad esempio, con riguardo all'intervento sull'art. 47, comma 4-bis, cit. laddove viene chiarito che il principio della prosecuzione dei rapporti di lavoro fra cedente e cessionario non può trovare deroghe in sede nazionale qualora si controverta di procedure non liquidatorie.
Tale chiarimento appare opportuno per fare chiarezza su un testo che potrebbe aver indotto le imprese a ravvisare - nel testo attuale della previsione - la possibilità di limitare tale principio in ordine alla prosecuzione del rapporto. Lo stesso legislatore ci indica questa strada allorquando, nella relazione al decreto legislativo rileva come la norma contenuta nel comma 4-bis cit. “ha sollevato dubbi sulla conformità al diritto europeo, che impone il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario, per cui la giurisprudenza ha proceduto ad un'interpretazione comunitariamente orientata della disposizione” e precisa che “Nell'ottica di un superamento di tali criticità applicative della citata disciplina, l'art. 385 sostituisce i commi 4-bis e 5 dell'art. 47 cit., prevedendo espressamente, conformemente alle direttive europee, il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro sia in caso di procedure non liquidatorie (art. 4-bis) che liquidatorie (co. 5), e consentendo la possibilità di deroghe all'art. 2112 c.c., per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste da accordi sindacali, che sono fatti salvi per lo scopo precipuo di salvaguardia dell'occupazione, e che in entrambi i casi presuppongono che il trasferimento al cessionario dei diritti dei lavoratori abbia già avuto luogo, conformemente all'art. 5 n. 3 della direttiva 2001/23/CE e alla sentenza della Corte di giustizia dell'11 giugno 2009”.
Di ciò ha tenuto conto la giurisprudenza di legittimità che con una recentissima sentenza (Cass. 1° giugno 2020, n. 10415) nella quale la Suprema Corte ha affermato che laddove vi sia un trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale ovvero per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività, l'accordo sindacale di cui all'art. 47 della l. 29 dicembre 1990, n. 428, comma 4-bis, può prevedere unicamente deroghe all'art. 2112 c.c. concernenti le condizioni di lavoro e non anche alla regola della prosecuzione dei rapporti di lavoro al cessionario.
Un'ultima considerazione, rivolta all'attualità, riguarda la vicenda della nostra compagnia aerea di bandiera che si trova attualmente in amministrazione straordinaria. Nell'originario testo dell'art. 79, d.l. n. 18 del 2020, convertito con la l. n. 27 del 2020, al comma 3 si menzionava espressamente la grave condizione economica di Alitalia Società Aerea Italiana S.p.A. in a.s. (assieme ad Alitalia Cityliner s.p.a. in a.s.) per giustificare la costituzione di una società pubblica che avrebbe applicato, nel trasferimento del personale, esclusivamente l'articolo 5, comma 2-ter, della legge Marzano. Queste previsioni emesse in data 17 marzo 2020, confermate con la legge di conversione del 24 aprile 2020, n. 27, sono state abrogate il 19 maggio 2020 con l'art. 202 del decreto c.d. Rilancio (d.l. n. 34 del 2020) che ha previsto la costituzione di una società pubblica senza alcun richiamo ad Alitalia SAI o Alitalia Cityliner e senza prevedere limitazioni alle norme in tema di trasferimento d'azienda.
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Sommario
La legge delega 19 ottobre 2017 n. 155 e il nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza contenuto nel decreto legislativo 14 febbraio 2018 n. 14
La circolazione dell'azienda, o di sue articolazioni, nell'ambito delle procedure concorsuali. Fonti nazionali e sovranazionali ed intervento della Corte di giustizia
In particolare: l'amministrazione straordinaria (leggi Prodi-bis e Marzano)
Le modifiche che saranno introdotte dal Codice della crisi d'imprese dal 1° settembre 2021