Quali sono le opere coercibili in base al titolo esecutivo che condanna ad un fare?

02 Luglio 2020

A tal proposito si ritiene che, in aderenza alla posizione nettamente maggioritaria della giurisprudenza, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare (prevista dagli artt. 612 e ss. c.p.c.) debba svolgersi in perfetta aderenza e nei limiti del dettato del titolo esecutivo.

Quali sono le opere coercibili in base al titolo esecutivo che condanna ad un fare?

A tal proposito si ritiene che, in aderenza alla posizione nettamente maggioritaria della giurisprudenza, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare (prevista dagli artt. 612 e ss. c.p.c.) debba svolgersi in perfetta aderenza e nei limiti del dettato del titolo esecutivo.

Essa, pertanto, non può e non deve estendersi all'esecuzione di opere ulteriori non previste dal titolo stesso e ciò anche nel caso in cui tali opere fossero necessarie o solamente opportune a tutela dei diritti dell'esecutato, laddove questi avesse la facoltà e quindi l'onere di provvedervi direttamente.

Il principio, oramai consolidato in giurisprudenza, circa l'esecuzione degli obblighi di fare, in relazione alle conseguenze che possano derivare dagli stessi, afferma che le conseguenze, anche dannose ma non per questo integranti gli estremi di un danno ingiusto, non sono addebitabili alla parte vittoriosa ogniqualvolta la parte soccombente abbia la possibilità e quindi l'obbligo di adottare tutte le cautele richieste dal caso, proprio in considerazione della obbligatorietà del fare imposto dalla pronuncia giudiziale.

Così non si potrà dolere la parte soccombente qualora non abbia adottato tutte le misure necessarie al corretto adempimento dell'obbligo di fare ponendo in essere tutti i comportamenti tesi a scongiurare un eventuale danno derivante dall'esecuzione dell'opera imposta.

Pertanto, il danno, in ipotesi, risarcibile sarebbe solo quello derivante da una scorretta realizzazione dell'opera o da un comportamento dolosamente preordinato a provocare un danno nell'esecuzione dell'opera ma non il semplice danno derivante dall'aver eseguito l'ordine del giudice in modo corretto ed in ottemperanza a quanto stabilito in pronuncia.

Su tale questione la giurisprudenza ha affermato che: «L'esecuzione degli obblighi di fare o non fare deve svolgersi in perfetta aderenza e nei limiti del dettato del titolo esecutivo, senza estendersi all'esecuzione di opere ulteriori non previste dal titolo stesso, anche se necessarie od opportune a tutela dei diritti dell'esecutato, ove questi abbia la facoltà e quindi l'onere di provvedervi direttamente. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dagli esecutati, i quali assumevano che, nell'ambito di un'esecuzione volta ad eliminare un illegittimo scolo delle acque piovane da essi realizzato, i lavori di ripristino, pur conformi al contenuto del titolo esecutivo, non erano stati eseguiti a regola d'arte per essersi limitato l'ausiliario nominato dall'ufficiale giudiziario a chiudere la pluviale con un tappo di cemento, così impedendo il deflusso delle acque e provocando l'allagamento dell'immobile di loro proprietà)» (Cass. civ., sez. III, ord., 11 aprile 2017, n. 9280).

Allo stesso modo: «L'attuazione di misure cautelari, aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, non avvia un separato procedimento di esecuzione ma costituisce una fase del procedimento cautelare in cui il giudice (da intendersi come ufficio), che ha emanato il provvedimento cautelare, ne determina anche le modalità di attuazione, risolvendo con ordinanza le difficoltà e le contestazioni sorte» (Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2014, n. 15761).

Ed ancora: «In tema di esecuzione forzata, l'ordinanza, con la quale il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., determina le modalità dell'esecuzione forzata di una sentenza per violazione di un obbligo di fare o di non fare, si caratterizza come un provvedimento con il quale vengono fissate le regole dello svolgimento del procedimento esecutivo e, quindi, non attiene al diritto della parte di procedere all'esecuzione, bensì ai modi con cui questa deve essere condotta, con la conseguenza che essa è soggetta soltanto al rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi per eventuali vizi formali; mentre il provvedimento con cui il giudice, ancorché in forma di ordinanza (come espressamente indicato nell'art. 612 c.p.c.), nel determinare le modalità dell'esecuzione, dirima una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva intrapresa, ha natura sostanziale di sentenza in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, cioè su una opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., proposta dall'esecutato o rilevata d'ufficio dal giudice, ed è, pertanto, impugnabile con l'appello. (Nella specie, in applicazione degli enunciati principi, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva dichiarato inammissibile l'appello proposto avverso una prima ordinanza, con cui il giudice dell'esecuzione, in una procedura relativa alla determinazione degli obblighi di fare previsti da una sentenza di divisione di un compendio immobiliare, si era limitato a disporre la comparizione delle parti e del CTU, dichiarando nello stesso tempo inammissibile l'appello avverso una seconda ordinanza, con cui il medesimo giudice aveva dato ordine al CTU di procedere a tutte le attività e le opere necessarie secondo una delle soluzioni alternative precedentemente individuate dallo stesso consulente)» (Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2012, n. 3722).

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