Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12913/2020, depositata il 26 giugno.
Il Tribunale di Macerata condannava in solido il conducente di un'auto, la proprietaria e la compagnia assicurativa al risarcimento dei danni cagionati ad una donna che era stata investita del veicolo mentre camminava lungo la strada. Dopo 810 giorni di coma, la donna era deceduta. Il Tribunale, riconosciuta la responsabilità esclusiva in capo all'automobilista, aveva liquidato il danno non patrimoniale secondo i criteri delle Tabelle di Milano tenendo conto del grado massimo di invalidità permanente e dell'aspettativa di vita media della persona offesa, che al momento del sinistro aveva 87 anni. Aveva inoltre aumentato del 50% il valore del punto base per l'accertato danno morale.
La Corte d'Appello adita dai soccombenti aveva rideterminato la quantificazione del danno biologico jure hereditatis utilizzando un distinto criterio di calcolo più aderente al caso di specie in considerazione dell'effettiva durata della vita della danneggiata. Veniva dunque applicato il valore massimo tabellare giornaliero corrispondente all'inabilità temporanea assoluta e, in considerazione dell'intensità ed entità del danno della donna rimasta in coma, ha apportato un incremento del 50%.
Gli eredi e i familiari della donna hanno impugnato la pronuncia di seconde cure.
Il ragionamento svolto dai giudici di seconde cure risulta immune da censure in quanto, nella valorizzazione del presupposto della durata della vita, ai fini della liquidazione equitativa del danno, risulta osservato il principio secondo cui «l'età in tanto assume rilevanza in quanto col suo crescere diminuisce l'aspettativa di vita, sicchè è progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica». Di conseguenza, quando la durata della vita futura cessa di essere ancorata ad un criterio statistico e diviene un fatto noto con l'intervenuto decesso del soggetto, il danno biologico va correlato alla durata della vita effettiva.
Ciò posto, ed escludendo ogni dubbio sulla portata delle Tabelle di Milano quale riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno biologico, il Collegio conferma la scelta della Corte d'Appello che ha adottato una diversa soluzione, rispetto alla decisione di prime cure, della liquidazione del danno biologico in caso di premorienza.
Viene infatti chiarito che «fermo che l'esercizio del potere equitativo integrativo, riservato al giudice di merito dagli artt. 1226 e 2056 c.c., deve assicurare l'adeguatezza del risarcimento alla utilità effettivamente perduta e la esigenza di uniforme liquidazione delle somme da corrispondere in situazioni identiche, qualora tali scopi non siano raggiungibili attraverso il criterio c.d. tabellare, venendo in questione una ipotesi di danno biologico non contemplato dalle tabelle ritenute idonee per la liquidazione, il Giudice di merito è tenuto a fornire specifica indicazione degli elementi della fattispecie concreta considerati, ritenuti essenziali alla valutazione del danno e giustificativi del criterio di stima ritenuto confacente alla realizzazione dei risultati indicati, bene potendo ricorrere il giudice, come base di calcolo, anche al sistema tabellare, dando però congrua rappresentazione delle modifiche apportate ai dati da esso desunti, che si sono rese necessarie dalla peculiarità della situazione oggetto della “aestimatio”».
In conclusione, laddove debba essere liquidato «il danno biologico per invalidità permanente ad un soggetto deceduto ante tempus per causa diversa dal fatto dannoso e per il quale non possa quindi farsi applicazione del valore tabellare di riferimento per grado di invalidità ed età l momento del sinistro, dovendo essere commisurato l'ammontare del danno alla vita reale del soggetto piuttosto che all'aspettativa di vita media, il giudice di merito bene può realizzare gli obiettivi cui deve conformarsi la discrezionalità equitativa mediante l'applicazione del valore monetario tabellare giornaliero previsto per la ITA moltiplicato per il numero di giorni della esistenza in vita del danneggiato, fatta salva, in ogni caso, ricorrendone i presupposti, la possibilità di incrementare tale valore attraverso la “personalizzazione” del danno risarcibile, purchè – qualora la questione della applicazione di possibili differenti modalità tecniche di quantificazione abbia costituito oggetto di discussione tra le parti – dia compiutamente conto delle ragioni della preferenza accordata ad uno piuttosto che ad un altro criterio liquidatorio».
La Corte rigetta i ricorsi e compensa integralmente le spese processuali.
(Fonte: dirittoegiustizia.it)