Omessa rituale convocazione: sussistenza di una condotta antisindacale ove la partecipazione, in concreto, non venga garantita

Teresa Zappia
02 Luglio 2020

Nel periodo di emergenza epidemiologica, la mancata rituale convocazione dell'organizzazione sindacale, o del suo legale rappresentante, ad incontri diretti alla stipulazione di un accordo finalizzato al contingentamento delle presenze del personale sul luogo di lavoro, configura una condotta antisindacale, a prescindere dall'intento lesivo del datore...
Abstract

Nel periodo di emergenza epidemiologica, la mancata rituale convocazione dell'organizzazione sindacale, o del suo legale rappresentante, ad incontri diretti alla stipulazione di un accordo finalizzato al contingentamento delle presenze del personale sul luogo di lavoro, configura una condotta antisindacale, a prescindere dall'intento lesivo del datore.

Gli effetti di quest'ultima permangono – con conseguente attualità del pregiudizio -sino alla fissazione di una nuova riunione, con rinegoziazione dei punti dell'accordo eventualmente già stato raggiunto

Il 3 aprile 2020 veniva stipulato, tra il Ministero della Pubblica Amministrazione e le oo.ss. CGIL, CISL e UIL, un protocollo di accordo per la prevenzione e sicurezza dei dipendenti pubblici in ordine all'emergenza sanitaria da “Covid-19”. In tale occasione veniva concordata l'opportunità dell'attivazione, da parte delle Amministrazioni (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001), di procedure di comunicazione e confronto con le oo.ss. in ordine ai punti fissati nel medesimo protocollo, così da condividere informazioni ed azioni dirette a contemperare la necessità di tutela del personale e dell'utenza con la garanzia dell'erogazione dei servizi pubblici essenziali. Un accordo analogo era stato precedentemente sottoscritto dalla Regione Emilia Romagna, dall'ANCI, dall'UPI e dalle articolazioni regionali delle oo.ss. confederate (18.03.2020).

In ragione di quanto sopra, la sezione provinciale parmense dell'Uil agiva in giudizio asserendo il carattere antisindacale della condotta posta in essere dal Comune di Parma consistita nella mancata convocazione all'incontro sindacale del 24.03.2020, finalizzato – in attuazione dei sopra citati protocolli – alla stipula di un accordo per l'adozione di misure limitative della presenza in ufficio dei dipendenti comunicali. La medesima condotta veniva tenuta dall'ente comunale in occasione delle successive riunioni (2 aprile 2020 e 9 aprile 2020).

Ad avviso del soggetto sindacale tale comportamento avrebbe manifestato la volontà dell'ente locale di escluderlo dalle trattative, tenuto conto che – laddove ritualmente invitato – si sarebbe sicuramente opposto ad una delle misure adottate circa la fruizione delle ferie da parte dei dipendenti.

Il Comune deduceva di aver provveduto regolarmente alla convocazione dell'o.s., inviando la comunicazione agli indirizzi e-mail comunicati dalla medesima in una missiva del 2017. La presenza dell'o.s. alle riunioni del 24 marzo 2020 sarebbe stata, d'altronde, garantita dalla partecipazione alle stesse di un delegato r.s.u. in quota UIL. Analoga situazione veniva dedotta relativamente ai successivi incontri del 2 e 9 aprile 2020.

L'ente locale sosteneva, infine, la legittimità della misura adottata in ordine alla fruizione delle ferie, con riferimento alla disciplina di fonte sia legale che negoziale.

La questione

La mancata convocazione dell'o.s., ad incontri finalizzati all'adozione di misure a tutela del personale, può configura una condotta antisindacale?

La soluzione

Il Tribunale ha evidenziato come la missiva inviata dalla sezione provinciale Uil nel 2017 non contenesse alcuna espressa autorizzazione alla convocazione, in vece della medesima, dei dirigenti ivi indicati, comunicando al Comune, oltre alle email personali di questi ultimi, anche gli indirizzi Pec della Uil.

Per ammissione del medesimo ente locale, la convocazione era indirizzata alla sezione provinciale, sicché la comunicazione avrebbe dovuto essere trasmessa direttamente al summenzionato indirizzo Pec anziché ai dirigenti. Non era stata dimostrata, inoltre, l'avvenuta comunicazione al rappresentante legale della sezione, la quale avrebbe potuto sanare la precedente omissione.

Il Tribunale ha evidenziato che il Comune avrebbe dovuto inviare le convocazioni agli incontri ad un indirizzo di posta elettronica certificata, il che avrebbe consentito di provare in modo certo l'avvenuto invio, in linea con quanto previsto all'art. 48, comma 2, d.lgs. n. 82 del 2005. Inidoneo a provare l'avvenuta conoscenza da parte dell'o.s. è stato ritenuto il fatto che nella diffida inviata dalla stessa all'ente locale non sia stato contestato il difetto di convocazione, ma solo la legittimità dell'accordo raggiunto alla riunione del 24 marzo 2020. Il mancato riferimento all'omesso e/o irregolare invito era suscettibile di diverse interpretazioni, sicché non avrebbe potrebbe univocamente essere inteso come prova del concreto raggiungimento dello scopo di rendere conoscibile la programmazione dell'incontro anche alla sezione provinciale della Uil. Il Comune aveva inviato la convocazione solo all'email personale del rappresentante della medesima sezione, ma non anche all'indirizzo Pec della stessa.

Essendo incontestato il diritto della parte ricorrente a partecipare alla trattativa sindacale sfociata nell'accordo del 24 marzo 2020 (ed alle successive riunioni di verifica ed aggiornamento), il Tribunale ha dichiarato antisindacale la sua mancata rituale convocazione. Ai fini del giudizio, inoltre, non è stato ritenuto necessario verificare la sussistenza di un effettivo intento lesivo del Comune: secondo la giurisprudenza in materia, affinché sia configurabile una condotta antisindacale, non è imprescindibile accertare la volontà lesiva del datore, essendo l'oggetto del giudizio di cui all'art. 28, st. lav. la verifica dell'obbiettiva idoneità del comportamento denunciato a pregiudicare l'esercizio delle libertà sindacali e del diritto di sciopero.

Tale compromissione è stata ritenuta sussistente nel caso esaminato. La lesione, inoltre, non era esclusa dalla partecipazione dei summenzionati membri della r.s.u., avendo essi assistito alle riunioni in tale qualità e non quali rappresentanti della sezione provinciale di Parma della Uil.

La condotta antisindacale è stata ritenuta anche attuale: il mero esaurimento della singola azione datoriale non potrebbe precludere l'ordine giurisdizionale di cessazione del comportamento illegittimo ove esso risulti persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria che per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione della libertà sindacale. Nel caso di specie, la convocazione alla riunione del 9 aprile, nonché la partecipazione successiva all'incontro di aggiornamento del 23 aprile, non avevano rimosso gli effetti lesivi per le prerogative sindacali derivanti dalla pregressa condotta (le mancate convocazioni).

L'amministrazione veniva, pertanto, condannata alla rimozione dei suddetti effetti mediante la fissazione di un nuovo incontro con le rappresentanze sindacali e conseguente nuova discussione circa i punti dell'accordo precedentemente stipulato.

Osservazioni

La sentenza in esame si pone in linea con l'orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, in materia avente la propria “genesi” in una sentenza del 1997 pronunciata dalle Sezioni Unite della Cassazione.

Prima di tale decisione era possibile individuare tre linee di pensiero relativamente alla configurabilità, e dunque agli elementi costitutivi, di una condotta antisindacale: taluni valorizzavano l'elemento “soggettivo, psicologico o intenzionale” del datore di lavoro, sicché solo ove esso fosse stato accertato il pregiudizio lamentato dal sindacato avrebbe potuto essere inibito ai sensi dell'art. 28 St. lav.; talaltri, invece, ritenevano sufficiente il solo elemento “oggettivo” dell'idoneità della condotta datoriale a produrre un nocumento ai diritti ed alle prerogative del soggetto sindacale; altri ancora, infine, sostenevano una posizione “mediana” secondo la quale l'intenzionalità del comportamento posto in essere dal datore sarebbe stata irrilevante ove la condotta fosse risultata in contrasto con una norma imperativa, mentre avrebbe assunto rilievo qualora il comportamento, sebbene lecito nella sua obiettività, avesse integrato un'ipotesi di “abuso di diritto”, contrastando con i principi generali di correttezza e buona fede (art. 1375 c.c.).

Con la decisione n. 5295 del 12.6.1997, il Supremo Consesso ha abbracciato il secondo orientamento.

Per quanto attiene all'interpretazione dell'art. 28 St. lav., l'espressione “comportamenti diretti a impedire o limitare” era stata ritenuta indicativa di una finalizzazione cosciente e volontaria della condotta datoriale. Le Sezioni Unite, invece, hanno ricondotto tale locuzione alla situazione della “obiettiva” idoneità lesiva della condotta datoriale, senza implicare alcun riferimento al profilo psicologico datoriale (direzione della volontà verso quel determinato risultato). Laddove il legislatore ha voluto far riferimento all'intenzionalità dolosa o colposa, si è precisato, lo ha fatto espressamente (art. 2043 c.c.).

La disciplina contenuta nell'art. 28 St. lav., d'altronde, tende non già ad una tutela di tipo risarcitorio, quanto piuttosto ad assicurare l'inibizione della condotta lesiva, il che costituisce conferma ulteriore, ad avviso delle Sezioni Unite, del necessario carattere obiettivo della tutela. L'eventuale introduzione dell'elemento soggettivo avrebbe potuto determinare un'ingiustificata disparità di trattamento in casi connotati da una pari necessità di tutela, essendo il medesimo l'interesse giuridico protetto, ossia la libertà sindacale.

I “comportamenti” ai quali fa espressamente riferimento l'art. 28 St. lav. possono sostanziarsi sia in atti giuridici che in comportamenti materiali. L'espressione “impedire o limitare” include chiaramente non solo l'ipotesi “estrema” di eliminazione della possibilità di esercitare i diritti e le libertà sindacali, ma anche quella di riduzione della loro fruibilità. La condotta deve essere “diretta a”, ossia essere oggettivamente destinata al risultato suddetto, potendosi dunque prescindere dall'effettivo suo conseguimento ai fini della tutela. La fattispecie in esame, dunque, richiede il pericolo del danno, e non già la prova del medesimo (ossia il fatto di aver subito conseguenze negative a causa della condotta denunciata).

È bene precisare che la tutela dell'interesse sindacale garantita dall'art. 28 St. lav. deve intendersi sotto un profilo strumentale, nel senso che essa garantisce la facoltà di agire liberamente al fine di far valere le proprie rivendicazioni da parte dell'o.s., ma non assicura anche l'esito positivo. Ciò è reso evidente nel caso in esame: nell'inibire la condotta datoriale, il Tribunale di Parma ha disposto la fissazione di un nuovo incontro con rinegoziazione alla presenza di tutte le rappresentanze sindacali aventi diritto alla partecipazione, assorbendo tuttavia le questioni di merito afferenti il precedente accordo. Il contenuto di quest'ultimo, dunque, potrà anche non corrispondere alle pretese fatte valere dalla sezione provinciale UIL.

Il carattere antisindacale della condotta del datore, concretatesi nell'omesso “rituale” invito di uno dei sindacati legittimati, è stato rilevato, inoltre, anche in una diversa fattispecie in cui il comportamento tenuto dal datore era stato giustificato dal fatto che non erano mai state usate, per prassi aziendale, particolari modalità di convocazione (Cass., sez. lav. 9 giugno 2009, n. 13240). In tale occasione, il giudice di legittimità ha evidenziato come, sebbene la disciplina collettiva non avesse previsto specifiche formalità circa le modalità di convocazione, la prassi aziendale di contattare “senza particolari formalità (in genere telefonicamente)” i rappresentanti sindacalipoteva essere ritenuta idonea a garantire la partecipazione delle parti legittimate alla trattativa nella misura in cui essa avesse comunque consentito l'effettiva partecipazione del sindacato. Le questioni relative alle modalità della convocazione, infatti, sebbene attinenti ad un profilo prettamente formale, assumono in ultima analisi un rilievo sostanziale, riverberandosi sulla regolare formazione del consesso e, dunque, sulla formazione delle decisioni assunte (ivi dell'accordo). Nel caso di specie, il Tribunale ha rilevato la sostanziale assenza di un rappresentante del soggetto sindacale alle diverse riunioni, sicché la convocazione, seppur non avvenuta ritualmente, non risultava aver raggiunto neanche de facto il risultato perseguito (rectius la partecipazione dell'o.s.).

Il giudice di legittimità, infine (Cass., sez. lav., 7 luglio 2016, n. 13878), ha sottolineato come “non ogni aspetto della gestione organizzativa e del personale che sia di interesse delle oo.ss. o in relazione alle quali esse possano fornire il loro apporto deve essere oggetto di informazione preventiva e concertazione, ma solo quelli previsti da una norma impositiva”, il che, nel caso esaminato, si riscontra nel contenuto del protocollo di accordo stipulato il 3 aprile 2020 tra il Ministero della Pubblica Amministrazione e le oo.ss. CGIL, CISL e UIL. È dunque la disposizione negoziale a fondare il diritto alla partecipazione del soggetto sindacale, cui violazione può trovare tutela nell'art. 28 St. lav.

Per approfondire:

M. E. Sauro, Pacta sunt servanda: storia di una apparente condotta antisindacale, in Riv. It. dir. lav.,2018, 2, pp. 474 ss.;

M. P. Monaco, L'art. 28 st. lav. fra legittimazione attiva del sindacato e attualità della condotta. spunti di riflessione, in Riv. it. dir. lav., 2018, 2, p. 460;

M. Scofferi, Non ogni contrasto con le OO.SS. integra una condotta antisindacale, in Diritto e Giustizia, 2017, 202, p. 11;

F. Lunardon, La condotta antisindacale nell'impiego privato, in Trattato di diritto del lavoro, diretto da M. Persiani - F. Carinci, in Conflitto, concertazione e partecipazione, a cura di F. Lunardon, Cedam, 2011, p. 693.

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