Niente rivalutazione sui crediti del dipendente pubblico

03 Luglio 2020

Con riferimento ai rapporti di lavoro in essere con un datore di natura pubblica ed in un'ottica di contenimento della spesa pubblica, vige il divieto di cumulo tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria su tutti crediti di tipo retributivo, comprese le somme dovute a titolo di risarcimento del danno per licenziamento illegittimo.

Con riferimento ai rapporti di lavoro in essere con un datore di natura pubblica ed in un'ottica di contenimento della spesa pubblica, vige il divieto di cumulo tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria su tutti crediti di tipo retributivo, comprese le somme dovute a titolo di risarcimento del danno per licenziamento illegittimo.

La vicenda ha origine in una scuola italiana, dove il ricorrente aveva lavorato come bidello e custode per circa trent'anni. Il rapporto di lavoro instaurato con il Ministero degli Affari Esteri Italiano cessava a causa della chiusura della scuola.


Il caso. Si apriva quindi un contenzioso circa la legittimità della risoluzione, nell'ambito del quale i giudici avevano propeso per la natura privatistica del rapporto di lavoro, facendone conseguire le tutele di legge. Il contenzioso però non si esauriva nell'illegittimità del licenziamento, poiché il lavoratore lamentava altresì un'importante omissione contributiva, che gli veniva riconosciuta con diritto al risarcimento del danno. Il lavoratore quindi risultava creditore del Ministero per una somma di natura contributiva sulla quale chiedeva la maggiorazione per interessi legali e rivalutazione monetaria. La Corte territoriale adita per il secondo grado di giudizio non condannava il Ministero al pagamento della rivalutazione monetaria sulle somme dovute a titolo di risarcimento, osservando che, ai sensi dell'art 22 comma 36 l. n. 724 del 1994, la rivalutazione monetaria non era cumulabile con gli interessi legali che, invece, erano stati riconosciuti.

Il divieto di cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria. La questione del cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria giunge sino alla Corte di Cassazione. Secondo il lavoratore entrambe le maggiorazioni sarebbero dovute in ragione della natura privatistica del rapporto di lavoro ed ai sensi dell'art 429 c.p.c.; al contrario, secondo il Ministero la rivalutazione non sarebbe dovuta in quanto non cumulabile con gli interessi legali e per esigenze di conservazione delle pubbliche finanze.


Da un lato, è vero che hanno natura privatistica tutti i rapporti di lavoro tra il Ministero degli Affari Esteri e i cittadini stranieri assunti contratti disciplinati dal diritto materiale locale, per mansioni ausiliarie presso istituti scolastici gestiti dall'Italia all'estero. La natura privatistica di simili rapporti è individuata ex lege, ai sensi della l. n. 775 del 1956 e dalla l. n. 1222 del 1971 sul personale assunto per esigenze temporanee in Paesi in via di sviluppo e da ciò conseguirebbe l'applicazione dell'art. 429 c.p.c., secondo cui sui crediti da lavoro sono dovuti gli interessi legali nonché il ristoro “per il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione del valore dei suo credito”, i.e. rivalutazione monetaria.


Dall'altro lato, però, occorre considerare che il divieto di cumulo è stato oggetto di questione di legittimità costituzionale (Corte cost. n. 459 del 2000), sulla base della quale detto divieto risponderebbe ad esigenze di contenimento della spesa pubblica e, quindi, opererebbe in ipotesi residuali, ossia, nei rapporti di lavoro subordinati con enti pubblici non economici e nei rapporti di natura privatistica alle dipendenze dei Ministeri. Il divieto di cumulo, infatti, opera una significativa deroga all'art 429 c.p.c., che può essere giustificata solo in ragione di un interesse collettivo superiore, quale è la necessità di contenimento della spesa pubblica.


Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso: accerta la (palese) natura pubblica del datore di lavoro (Ministero degli Affari Esteri), e ritiene di conseguenza operante il divieto di cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria. Il ricorrente avrà quindi diritto al risarcimento del danno, già riconosciutogli e non contestato in sede di legittimità, maggiorato dei soli interessi legali.

Ubi major, minor cessat.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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