Al dirigente pubblico non si applica l'art. 2103 c.c.
13 Luglio 2020
Dirigente e P.A.: il datore pubblico, nell'assegnazione degli incarichi, è tenuto a garantire il livello di professionalità conseguito dal dirigente in virtù delle precedenti assegnazioni? Può configurarsi un demansionamento?
In capo alla figura dirigenziale, la giurisprudenza ha ricondotto due distinte situazioni giuridiche soggettive: il dirigente è titolare di un diritto soggettivo in relazione all'incarico assegnato, sicché la cessazione anticipata dallo stesso dà titolo alla reintegrazione, ove possibile, nella funzione svolta in precedenze e al risarcimento del danno; diversa situazione soggettiva è ritenuta sussistente in ipotesi di mancato conferimento di un nuovo incarico, potendo il dirigente far valere solo un interesse legittimo che, se ingiustamente frustrato, non legittima il titolare a richiedere l'attribuzione delle mansioni non conferite, potendo piuttosto costituire fondamento di una domanda di ristoro dei pregiudizi ingiustamente subiti, ove questi siano correlati all'inadempimento degli obblighi gravanti sulla Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.).
In merito alla configurabilità di un demansionamento in rapporto ai diversi compiti assegnati, si rammenta che, ai sensi dell'art. 19, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001 (ed analogamente l'art. 109 d.lgs. n. 267 del 2000), al dirigente corrisponde soltanto l'attitudine professionale all'assunzione di incarichi di funzione dirigenziale di qualunque tipo, per cui non può trovare applicazione l'art. 2103 c.c., non essendo compatibile con lo statuto del dirigente pubblico la regola del rispetto delle specifiche professionalità acquisite dal lavoratore. Si esclude, pertanto, che la mancata assegnazione al dirigente di un incarico equivalente a quello in precedenza ricoperto possa costituire, ex se, fonte di danno risarcibile. Cfr. Cass. n. 9294 del 2020 e n. 8674 del 2018. |