Decreto "rilancio", bonus alle imprese: implicazioni per le procedure concorsuali

Alessandro Ireneo Baratta
Orazio Lauri
17 Luglio 2020

L'art. 25 del DL 34/2020 noto come decreto rilancio al fine di sostenere i soggetti economici colpiti dalla pandemia prevede dei contributi a fondo perduto. Gli autori analizzano la norma con particolare riferimento alla sua applicabilità anche alle imprese sottoposte a procedure concorsuali o di risanamento.
L'art. 25 del D.L. n. 34/2020 – Decreto Rilancio

Il Decreto Legge n. 34 del 2020 rappresenta il terzo decreto in ordine di tempo contenente misure di carattere economico e finanziario che, nelle intenzioni del Legislatore (rectius: del Governo), dovrebbero rivelarsi idonee a sostenere il settore produttivo del paese, colpito in modo pesantissimo, dalle misure di blocco dello stesso e necessarie per affrontare la pandemia cosiddetta Covid – 19.

Più in particolare il D.L. n. 34 del 19 maggio 2020, ormai noto come Decreto Rilancio, dovrebbe essere, nelle intenzioni del Legislatore emergenziale, lo strumento idoneo al rilancio dell'economia italiana e quindi, almeno nella fase attuale, utile per far “ripartire” il Paese.

L'impressione che un lettore moderatamente attento, potrà ricavare da tali tipologie di norme, è quello, consueto della legislazione italiana soprattutto se d'urgenza (fattore, questo, ormai, peraltro, consueto e raramente ponderato), di una enorme genericità, eterogeneità e disorganicità, soprattutto in relazione al rapporto con normative già in vigore e facenti parte del sistema delle leggi, quest'ultimo, ormai, divenuto elefantiaco anche per l'occhio del meno attento legislatore, figura istituzionale che non è dato più ravvisare nel nostro ordinamento.

Ed allora ecco che anche per il decreto rilancio, deve ricorrersi, oltre che alla pazienza del lettore, alla sua capacità di applicare l'arte ermeneutica e quindi procedere all'esegesi della norma cercando di interpretarne i contenuti e di comprendere lo spirito del legislatore e i suoi pensieri del momento.

Sul tema del Decreto Rilancio, peraltro e negli ultimissimi periodi, si sta esprimendo la dottrina cercando di formare un pensiero univoco in merito che, però, tarda ad arrivare salvo che per quanto riguarda la convinzione, ormai costantemente riportata in testi e riviste specializzate in materia fiscale ed economica, che si tratta di uno strumento, forse, idoneo a tentare un modesto risarcimento dei danni subiti dal settore produttivo ma, nel contempo, assolutamente insufficiente a rilanciare realmente le attività economiche, a recuperare i livelli di crescita e ad aumentarli nel medio periodo.

Il tutto tralasciando, appunto, di sottolineare quanto già sopra accennato in termini generali e, cioè, che manca nel testo un minimo di accettabile sistematicità e coerenza nel legiferare, in assenza, peraltro, delle necessaria linearità e chiarezza.

Per i fini che interessano il presente approfondimento, però e visto il contesto delle procedure concorsuali previste dalle normative vigenti per il trattamento della crisi, in tale sede è necessario soffermarsi sui contenuti dell'art. 25 del D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 che, non smentendosi rispetto alle “abitudini” più sopra tratteggiate, tratta dei Contributi a fondo perduto in favore dei soggetti esercenti attività di impresa e di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita I.V.A. e di cui al T.U. delle II.DD..

La finalità perseguita dalla disposizione in esame è quella di sostenere i soggetti colpiti dalla pandemia, demandando, tra l'altro, all'Agenzia delle Entrate la concessione di un contributo a fondo perduto ed il recupero di eventuali somme indebitamente percepite.

La norma, il cui testo è molto articolato, prevede i seguenti capisaldi:

1° comma: è riconosciuto un contributo a fondo perduto (ed escluso dalla base imponibile ai fini delle imposte dirette ed indirette) ai soggetti (tutti i titolari di partita IVA) esercenti attività di impresa, anche agricola, e/o lavoro autonomo comprese, inoltre, le associazioni;

2° comma: sono previste delle esclusioni:

i) per i soggetti che abbiano cessato l'attività alla data di presentazione dell'istanza; in merito si osserva che l'Agenzia delle Entrate, con provvedimento n. 0230439 del 10 giugno 2020, ha emanato il regolamento attuativo (anche in questo caso come di abitudine del legislatore italiano, il rinvio ai regolamenti attuativi è istituto presente ben 98 volte nei 266 articoli del decreto!), da cui è possibile desumere che il dies a quo previsto per la presentazione della domanda di accesso al contributo è il 15 giugno 2020.

ii) per gli enti pubblici di cui all'art. 162-bis del T.U. delle IIDD,

iii) per i contribuenti che hanno diritto alla percezione delle indennità previste dagli artt. 27 e 38 del D.L. n. 18/2020 conv. con mod. nella L. 24.4.2020 n. 27.

iv) per i lavoratori dipendenti e per i professionisti iscritti agli enti di diritto privato e di previdenza obbligatoria.

3° comma: il contributo spetta esclusivamente ai titolari di reddito agrario di cui all'art. 32 del T.U. IIDD, nonché ai soggetti con ricavi di cui all'art. 85 comma 1, lett.re a) e b) del medesimo T.U. o compensi di cui all'art. 54 comma 1 dello stesso T.U., non superiori ad euro 5 milioni calcolati con riferimento all'intero periodo di imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto (quindi anno 2019).

4° comma: il contributo risarcitorio è previsto a condizione che l'ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 sia inferiore ai due terzi dell'ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019. Per la commisurazione degli importi in questione, si deve fare riferimento alla data di effettuazione dell'operazione di cessione di beni o di prestazione di servizi. In caso di soggetto che abbia iniziato l'attività a partire dal 1° gennaio 2019 nonché di soggetti che a far data dall'insorgenza dell'evento calamitoso, hanno il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio dei comuni colpiti dai predetti eventi i cui stati di emergenza erano ancora in corso alla data di dichiarazione dello stato emergenziale da Covid–19.

5° comma: la misura del contributo è calcolato in percentuale sulla differenza tra l'ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 e quelli dell'aprile 2019 ed è pari al

i) 20% per i soggetti con fatturato e corrispettivi anno 2019 non superiori a euro quattrocentomila;

ii) 15% per i soggetti con fatturato e corrispettivi anno 2019 compresi tra euro quattrocentomila e euro 1 milione;

iii) 10% per i soggetti con fatturato e corrispettivi anno 2019 superiori a euro 1 milione e sino a euro 5 milioni.

6° comma: il contributo è comunque riconosciuto per un importo non inferiore a euro 1.000 per le persone fisiche e a euro 2.000 per le persone giuridiche, fatte salve tutte le altre condizioni della norma.

7° comma: il contributo non concorre alla formazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi del beneficiario, non rileva ai fini del rapporto ex artt. 61 e 109 comma 5 del T.U. IIDD e del valore della produzione netta ex D.lg.s. n. 446 del 15.12.1997.

8° comma: per ottenere il contributo è necessario presentare una domanda telematica secondo le disposizioni emanate dal provvedimento attuativo n. 0230439 del 10 giugno 2020 dell'Agenzia delle Entrate anche tramite intermediario abilitato, ex art. 3 comma 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 22.7.1998, al servizio del cassetto fiscale dell'Agenzia delle Entrate o ai servizi di fatturazione Elettronica. L'istanza deve essere presentata entro sessanta giorni dall'avvio delle procedure di presentazione e quindi entro il 14 agosto 2020 (i termini in questione, peraltro, vanno dal 25 giugno 2020 al 24 agosto 2020 nel caso in cui l'istanza venga presentata dall'erede del de cuius che abbia maturato il diritto al ristoro).

9° comma: l'istanza di cui al comma 8 contiene anche l'autocertificazione che i soggetti richiedenti, nonchè i soggetti di cui all'art. 85, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 non si trovano nelle condizioni ostative di cui all'art. 67 del medesimo D.Lgs. n. 159/2011.

10° comma: le modalità di effettuazione dell'istanza, il suo contenuto informativo, i termini di presentazione della stessa e ogni altro elemento necessario all'attuazione delle disposizioni del presente
articolo sono definiti con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate. Come detto, tale provvedimento, al quale pertanto si rinvia, è stato emanato il 10.6.2020 ed è entrato entra in vigore dal 15.6.2020.

11° comma: sulla base delle informazioni contenute nell'istanza di cui al comma 8, il contributo a fondo perduto è corrisposto dall'Agenzia delle entrate mediante accreditamento diretto in conto corrente bancario o postale intestato al soggetto beneficiario.

12° comma: prevede le sanzioni e le conseguenze in genere nel caso in cui il contributo non risulti spettante in esito ad attività di controllo dell'Agenzia delle Entrate.

13° comma: qualora successivamente all'erogazione del contributo, l'attività d'impresa o di lavoro autonomo cessi o le società e gli altri enti percettori cessino l'attività, il soggetto firmatario dell'istanza inviata in via telematica all'Agenzia delle entrate ai sensi del comma 8 è tenuto a conservare tutti gli elementi giustificativi del contributo spettante e a esibirli a richiesta agli organi istruttori dell'amministrazione finanziaria.

14° comma: nei casi di percezione di contributo in tutto o in parte non spettante si applica l'art. 316-ter del c.p..

Le esclusioni dalle agevolazioni in rapporto alla cessazione della attività prevista dalla norma

Si rinvia, ovviamente, alla lettura della norma, per i dettagli eventualmente non analiticamente riportati nel precedente paragrafo, ma quest'ultimo è ampiamente sufficiente a spiegare che, al di fuori di quelle espressamente sancite dal comma 2), non sono previste altre esclusioni dalla platea dei soggetti beneficiari del contributo a fondo perduto. Quest'ultimo, peraltro, non contempla limiti, il che vuol dire che potrebbero crearsi casi estremi ma, certamente non rari, soprattutto nell'ambito di settori produttivi che hanno subito più di altri il blocco da Covid-19 (si pensi al settore delle vendite auto e quindi ai concessionari di piccole/medie dimensioni), in forza dei quali, laddove la perdita di fatturato tra il mese di aprile 2019 e il mese di aprile 2020 sia rilevante e quest'ultimo, per l'anno solare 2019, non abbia superato i 5 milioni di euro, l'importo del contributo raggiunga livelli assolutamente ragguardevoli.

In termini strettamente formali, pertanto, non si ravvisano ragioni specifiche per le quali dalla suddetta platea dei soggetti beneficiari del contributo, non debbano rientrare le procedure concorsuali ovvero, soggetti imprenditoriali che siano stati assoggettati a procedura concorsuale in periodi di interesse della norma in esame.

Ciò non toglie che al lettore più attento non sfugga la previsione di cui citato comma 2 dell'art. 25 del D.L. n. 34/2020, dove si afferma che il contributo non spetta laddove l'attività sia cessata alla data di presentazione dell'istanza (che, come detto, decorre dal 15 giugno 2020 e sino al 14 agosto 2020, salvo il caso dell'erede di cu si è dato cenno nel par. 1).

In merito alla data di cessazione dell'attività bisogna comunque osservare che la relazione illustrativa al decreto legge indica che non possono beneficiare del contributo i soggetti la cui attività risulti cessata alla data del 31 marzo 2020.

Sul punto gli scriventi osservano che il tenore letterale del 2° comma (“Il contributo a fondo perduto di cui al comma 1 non spetta, in ogni caso, ai soggetti la cui attività risulti cessata alla data di presentazione dell'istanza di cui al comma 8..”), a differenza di quanto riportato nella relazione illustrativa, indica quale data di cessazione dell'attività, quella della presentazione dell'istanza che è ovviamente successiva al 31 marzo 2020.

Tale previsione (e soltanto tale previsione n.d.r.) impone, quindi, una riflessione in merito alla applicabilità della norma alle procedure concorsuali dovendosi, in tale ambito e necessariamente, prevedere varie e diverse fattispecie applicative in funzione della tipologia di procedura.

Le implicazioni per le procedure concorsuali in corso

Quale diretta conseguenza dei contenuti del precedente par. 2), preliminarmente è necessario soffermarsi sul tema della cessazione dell'attività.

Anche in questo caso è necessario svolgere un'accurata analisi esegetica della norma e soffermarsi, separatamente, sui termini “attività” e, quindi, “cessazione”.

Per attività, limitando la sua analisi ai soggetti interessati dalla norma, deve necessariamente intendersi attività di impresa (anche agricola) ovvero di lavoro autonomo, caso che, peraltro, può interessare la presente trattazione con riferimento ai soggetti sottoposti a procedure da sovraindebitamento ex L. n. 3 del 2012.

Quindi, nell'ambito dell'attività imprenditoriale, quest'ultima sarà presente tutte le volte in cui esiste un'aggregazione di beni organizzati ed aggregati per l'esercizio dell'impresa.

Nel caso del lavoro autonomo, non essendo rilevante la presenza di beni aziendali, ci si dovrà riferire alla specifica presenza dell'attività intesa come formale abilitazione, civilistica, fiscale e amministrativa, all'esercizio della specifica attività di lavoro autonomo.

Procedendo a rapportare le definizioni, molto succintamente ed appena rappresentate, indicate in termini di attività imprenditoriale e di lavoro autonomo con l'analisi del termine “cessazione”, è possibile tentare di formulare una prima conclusione.

Nel caso di attività imprenditoriale, la stessa può dirsi cessata quando è venuta meno l'aggregazione dei beni aziendali o, per meglio dire, la “possibilità di fare impresa”. La funzione aggregativa dei beni deve essere valutata con riferimento ai beni stessi e non al soggetto titolare dei medesimi: in altri termini, nel caso di gestione dei beni in forma aggregata affidata, ad esempio, ad un affittuario del ramo d'azienda, l'esercizio dell'impresa permane così come permangono i fondamentali patrimoniali, reddituali e finanziari delle performances aziendali, seppur in capo ad altro e separato soggetto rispetto all'affittante.

L'eventuale cessazione ai fini fiscali e civilistici dell'ente titolare dei beni aggregati, assume, pertanto valore marginale e, comunque, non determinate ai fini dell'assoggettabilità o meno del contribuente – imprenditore ai contributi risarcitori ex art. 25 del D.L. n. 34 del 2020.

Nel caso, invece, di un soggetto titolare di reddito di lavoro autonomo, l'analisi non potrà prescindere dall'effettivo stato civilistico e fiscale dello stesso.

In altri termini, l'attività di lavoro autonomo può avere termine per il tramite di due sole fattispecie operative:

  • la cessione dell'attività quale atto a titolo oneroso (ovvero anche gratuito) dal soggetto venditore al soggetto compratore con conseguente cancellazione (rectius: cessazione), con riferimento allo specifico codice dell'attività ceduta, della posizione del cedente.
  • cancellazione (rectius: cessazione) della posizione fiscale e contributiva del titolare dell'attività qualora la stessa non sia stata oggetto di cessione a terzi e quindi, esclusivamente, oggetto di sua volontaria interruzione.

Come si vede, dalla esposizione di cui sopra, emerge quanto segue:

  1. Contribuente titolare di reddito di impresa (persona fisica ovvero ente giuridico): l'analisi ai fini del comma 2 dell'art. 25 del D.L. n. 34/2020, deve essere svolta con riferimento all'attività di impresa potendosi ritenere che la stessa sia cessata (entro la data di presentazione dell'istanza di contributo a fondo perduto), tutte le volte in cui sia venuta meno la medesima per disaggregazione dei beni aziendali in assenza, peraltro, di qualsivoglia affitto dei medesimi che ne mantenga inalterata la loro propensione a svolgere impresa e produrre reddito. Nel caso in cui tale esercizio di impresa, anche per via “indiretta”, permanga alla data di presentazione dell'istanza ex comma 8 dell'art. 25 in esame, a giudizio di chi scrive, v'è il diritto previsto da tale ultima norma anche se servirebbe chiarire quale dovrebbe essere il soggetto legittimato al richiedere il contributo; per ragioni logiche e fondate sul fatto che tale legittimazione deve, necessariamente, essere rapportata al momento della presentazione dell'istanza anche per le responsabilità che la stessa contempla per il richiedente, il soggetto legittimato sarà l'affittuario che potrà rappresentare l'eventuale perdita dei rendimenti economici dell'azienda (o del ramo della stessa affittato) tra il mese di aprile 2019 (anche se l'azienda o ramo della stessa, non era stata ancora oggetto di affitto ed il mese di aprile 2020. Come si vedrà nel proseguo, però, tale teoria restrittiva in merito all'applicabilità alle procedure concorsuali di tipo liquidatorio dell'art. 25 del D.L. n. 34/2020, presuppone un'analisi “più ampia” del termine cessazione, non potendosi prescindere, se così fosse, dal coniugare il termine cessazione con quello della continuità aziendale che, invece, non appare essere stato preso nella benché minima considerazione dal legislatore di Governo. In altri termini l'attività intesa come fenomeno aziendale e quindi “commerciale”, ha il suo termine secondo le indicazioni testé fornite; l'attività intesa come fenomeno civilistico-fiscale, invece, soggiace alle norme tipicizzanti tali fenomeni (T.U. II.DD. ovvero d.p.r. 633/1972).
  2. Contribuente titolare di reddito di lavoro autonomo: in tali casi l'analisi (che, per il contesto in esame dovrà riguardare i soggetti sottoposti a sovra indebitamento) è, certamente, più agevole e non potrà prescindere dal momento in cui è stata ceduta l'attività con contestuale cessazione dell'attività da parte del cedente ovvero è stata cessata l'attività di lavoro autonomo con cancellazione presso gli uffici fiscali e previdenziali come per legge.

Le considerazioni di cui alla precedente lettera a), in effetti, sembrerebbero sgomberare il campo da ogni ragionevole dubbio in merito alle modalità di individuazione della data formale e/o effettiva di cessazione dell'impresa ovvero del contribuente titolare di reddito di impresa.

Il tema è stato oggetto di specifica trattazione da parte del Consiglio Nazionale del Notariato, trattazione, peraltro, perfettamente in linea con i lavori preparatori della norma in esame che inducono a ritenere l'evidenza della “cessazione” dell'attività, quale fattore esclusivamente di tipo fiscale (chiusura della posizione IVA).

Il Consiglio Nazionale del Notariato, mediante lo studio n. 226-2011/T, osserva quanto segue: «In termini generali, è possibile affermare che la fase di liquidazione costituisce ancora un momento di esercizio dell'impresa, con applicazione del relativo regime tributario. Nell'imposta sul valore aggiunto, l'art. 35, comma 4, D.P.R. 633/72 fa decorrere il termine di trenta giorni per la presentazione della dichiarazione di cessazione della attività, dalla “data di ultimazione delle operazioni relative alla liquidazione dell'azienda”, per le quali, è specificato, “rimangono ferme le disposizioni relative al versamento dell'imposta, alla fatturazione, registrazione, liquidazione e dichiarazione. Le imprese individuali, così come le società, che terminano la fase di gestione per dare inizio alla liquidazione dei beni aziendali, devono dunque rispettare le ordinarie regole, sostanziali come formali, in materia di Iva. Anche qualora l'impresa individuale termini per il decesso dell'imprenditore, è possibile che gli eredi subentrino nella posizione del de cuius al fine di liquidare il complesso aziendale. L'art. 35-bis, comma 2, d.P.R. 633/72, prevede l'applicazione della disciplina ordinaria anche alle operazioni effettuate, “ai fini della liquidazione dell'azienda, dagli eredi dell'imprenditore”. L'erede di una azienda che non intende esercitare o continuare l'attività di impresa del de cuius, potrà dunque procedere alla vendita dei beni aziendali, continuando, ma solo a questi fini, nella posizione fiscale dell'imprenditore deceduto (e, quindi, utilizzando il suo numero di partita Iva, compensando l'Iva a debito con quella a credito, ecc.). Nelle imposte sui redditi, la previsione dell'art. 182 Tuir prevede l'assoggettamento alla disciplina del reddito di impresa per i redditi realizzati durante la fase liquidatoria, confermando dunque la sussistenza dell'”impresa fiscale” anche in questa fase. Al tempo stesso, però, la norma prevede un peculiare meccanismo di determinazione della base imponibile, fondato sul bilancio finale di liquidazione e sulla “provvisorietà” degli utili o delle perdite dei singoli esercizi in cui la liquidazione si protrae».

Svolte le considerazioni con riguardo a cosa abbia voluto intendere il legislatore di Governo (ovviamente in tale ambito, svolgendo una considerazione più che ottimistica) con la disposizione di cui al secondo comma dell'art. 25 del D.L. n. 34/2020, e quindi, con il mancato accesso al contributo per i soggetti che abbiano cessato l'attività, è necessario esaminare gli effetti della normativa sulle procedure concorsuali ovvero di risoluzione della crisi di impresa o di trattamento dell'insolvenza, previste dalla normativa vigente, soffermandoci, per ragioni di opportunità, sul disposto della legge fallimentare tutt'ora in vigore, come modificata o integrata, peraltro, anche dalla legislazione d'urgenza conseguente la pandemia da Covid-19, e tralasciando, per ragioni di opportunità e praticità visto che la norma in esame, in ogni caso, scadrà il prossimo 14 agosto 2020, ogni altra considerazioni in relazione alle procedure previste dal Nuovo Codice della Crisi e dell'Insolvenza di Impresa che entrerà in vigore il prossimo anno.

In tale contesto, è necessario ricordare che i soggetti sottoposti a fallimento si trovano in uno stato di scioglimento tipico anche delle procedure di liquidazione ex art. 2484 c.c. ma assolutamente vigenti ai fini civilistici e fiscali.

Si passa ad esaminare, pertanto, di seguito gli effetti della norma sulle procedure in corso alla data di presentazione dell'istanza, analizzando gli stessi in relazione a ciascuna tipologia di procedura, ivi incluse quelle non propriamente trattabili come procedure concorsuali.

Il fallimento

Come è noto il fallimento ha finalità liquidatorie. Attraverso il fallimento si ottiene la liquidazione del patrimonio dell'imprenditore in stato di insolvenza e la ripartizione del ricavato fra tutti i creditori; a seguito del fallimento cessa di fatto l'attività di impresa come sopra definita.

Peraltro l'art. 10 l.fall. prevede che «Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo. In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attività da cui decorre il termine del primo comma».

Il combinato disposto delle considerazioni rappresentate nel presente paragrafo e del tenore letterale dell'art. 10 l.fall. nonché della tesi sostenuta dal Consiglio Nazionale del Notariato a parere degli scriventi, comporta che le imprese sottoposte a fallimento non sarebbero escluse dal contributo a fondo perduto. A supporto di tale tesi soccorre anche la formulazione dell'art. 25 del D.L. 34/2020 laddove, per la quantificazione del contributo e l'identificazione dei beneficiari, si fa esclusivo riferimento alla normativa fiscale e segnatamente al TUIR. Orbene secondo la normativa fiscale (art. 35, comma 4, D.P.R. 633/72), l'impresa è cessata quando si procede alla dichiarazione di cessazione di attività che notoriamente in sede di fallimento viene presentata dal curatore solo a seguito della chiusura della procedura dopo il relativo provvedimento emesso dal Tribunale in composizione collegiale.

Peraltro anche la circolare n. 15/E dell'Agenzia delle Entrate del 13.06.2020 avente ad oggetto Chiarimenti ai fini della fruizione del contributo a fondo perduto di cui all'articolo 25 del Decreto-Legge 19 maggio 2020, n. 34 recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19» chiarisce che «Sono, in ogni caso, esclusi i contribuenti la cui attività risulti cessata alla data di presentazione dell'istanza di cui al comma 9 dell'articolo 25 del Decreto rilancio. In altri termini, quindi, non è consentito presentare l'istanza di accesso per soggetti per i quali la relativa partita IVA è stata cessata».

D'altronde, coerentemente con quanto affermato dagli scriventi in apertura (cfr. par. 1), è evidente che lo spirito della legge è quello di “risarcire” in quanto non si ravvisano, nel complesso organico della stessa, elementi idonei alla salvaguardia delle imprese “vitali” e, quindi, inserite in un contesto di continuità aziendale alla data dell'insorgenza della pandemia. A ciò si aggiunge, comunque, l'infelice formulazione della norma.

A parere degli scriventi, non sono escluse, pertanto, le società fallite, fermi restando gli altri requisiti richiesti, dal novero dei soggetti beneficiari del contributo.

Ovviamente ben diversa si presenta la situazione qualora l'ente fallito sia stato sottoposto ad esercizio provvisorio di impresa, poiché in tale caso non è neppure venuta meno l'aggregazione dei beni aziendali, e fermo restando quanto sopra esposto, in tutti i casi trattasi di impresa in piena attività, tale da renderla, senz'altro, beneficiaria del contributo a fondo perduto.

I piani attestati di risanamento

Il piano attestato di risanamento ex art. 67 l.fall., ha quale finalità quella di promuovere gli interventi di tempestiva gestione della crisi d'impresa mediante soluzioni negoziali mirate a evitare il fallimento e soprattutto, ad evitare la disgregazione dei beni organizzati per l'esercizio dell'impresa.

Trattasi di uno strumento privatistico di risoluzione della crisi d'impresa avente natura puramente negoziale, in quanto, a differenza degli altri istituti disciplinati dalla legge fallimentare, non prevede l'intervento dell'autorità giudiziaria né nella fase delle trattative, né nel processo di definizione degli accordi con i creditori. Si evidenzia altresì la sua discrezionalità (riservatezza della sua redazione e del suo contenuto) che discende dalla non assoggettabilità del piano ad alcun regime pubblicitario obbligatorio, che lo configura come lo strumento ideale nel caso in cui si voglia evitare di compromettere, con la diffusione di notizie sulla situazione di crisi dell'imprenditore, la regolare prosecuzione dell'attività d'impresa.

Per tali ragioni le imprese che hanno adottato tale strumento sono sicuramente beneficiarie del contributo a fondo perduto, rispettate, anche in questo caso, tutte le altre condizioni previste dalla norma.

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.fall.

L'accordo di ristrutturazione dei debiti è uno strumento disciplinato dalla legge come mezzo di risanamento cui l'impresa in crisi può ricorrere quando vuole ridurre la propria esposizione debitoria ed eventualmente tentare il risanamento economico. Esso si fonda su un accordo con tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti e sulla relazione di un professionista che ne attesta l'attuabilità.

Il contenuto dell'accordo con i creditori aderenti, anche di crediti tributari e previdenziali, è liberamente determinabile mentre per quelli non aderenti si deve assicurare l'integrale pagamento nei termini fissati dalla legge.

Seppure soggetto ad omologazione da parte del Tribunale ed a pubblicazione nel registro delle imprese, si tratta di un mezzo di risoluzione della crisi “atipico” che lo rende una sorta di “via di mezzo” tra gli accordi di natura stragiudiziale e quelli di natura giudiziale. In ogni caso, ormai, giurisprudenza e dottrina sono concordi nel ritenere l'accordo di ristrutturazione dei debiti una vera e propria procedura concorsuale. Per le considerazioni più sopra svolte, si ritiene che le società che ne facciano ricorso non siano escluse dal novero dei soggetti beneficiari del contributo, a prescindere dagli effettivi connotati, sia che siano liquidatori ovvero di risanamento, dell'accordo di ristrutturazione.

Il concordato preventivo

Il concordato preventivo è un accordo, mediante il quale i creditori accettano un pagamento in misura ridotta o dilazionata che si perfeziona nell'ambito di una procedura giurisdizionale che diviene efficace a seguito del giudizio di omologazione da parte del Tribunale.

Detta procedura, può avere anche la finalità di anticipare l'emersione dello stato di crisi dell'impresa prima che la stessa diventi irreversibile e che comporti, quale inevitabile conseguenza, la cessazione dell'attività e la liquidazione atomistica dei singoli beni senza alcuna valorizzazione sistemica di tutti o di parte degli stessi, con conseguente danno per tutti gli stakeholders.

Come è noto il concordato preventivo può essere di natura liquidatoria, oppure prevedere di proseguire l'attività economica ab origine intrapresa conservando la titolarità dell'impresa consentendo altresì al debitore di riportare in bonis l'impresa con soluzione di continuità aziendale (art. 186 bis. l.fall.).

Per quanto attiene il concordato preventivo liquidatorio che consente il soddisfacimento dei creditori attraverso il ricavato della liquidazione del patrimonio, valgono le medesime considerazioni già svolte per quanto attiene il fallimento. Viste le considerazioni svolte, con i limiti e i dubbi ivi manifestati, tale tipologia di procedura può accedere, fatte salve tutte le altre condizioni, al contributo ex art. 25 D.L. n. 34/2020.

In relazione invece al concordato preventivo in continuità aziendale, stante il proseguimento dell'attività d'impresa, si ritiene che i soggetti che siano sottoposti a tale procedura concorsuale rientrino, in ogni caso, tra i beneficiari del contributo a fondo perduto.

In relazione invece ai soggetti economici che hanno presentato il concordato cd. “prenotativo” o “in bianco”, sebbene l'impresa debitrice non abbia ancora predisposto il piano di risanamento con la relativa attestazione, si ritiene che essa possa rientrare tra i soggetti beneficiari del contributo a fondo perduto, poiché in tale fase, essendosi riservata di presentare nei tempi stabiliti dal Tribunale la proposta ai creditori, non ha ancora chiarito se intende proseguire l'attività anche in via indiretta (concordato in continuità aziendale) oppure procedere alla liquidazione dei propri beni (concordato liquidatorio).

Peraltro, l'art. 9 comma 2, D.L. n. 23/2020, convertito nella Legge n. 27/2020, stabilisce che, per causa della emergenza da Covid-19, “nei procedimenti per l'omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione pendenti alla data del 23 febbraio 2020 il debitore puo' presentare, sino all'udienza fissata per l'omologa, istanza al tribunale per la concessione di un termine non superiore a novanta giorni per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato ai sensi dell'articolo 161 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 o di un nuovo accordo di ristrutturazione ai sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Il termine decorre dalla data del decreto con cui il Tribunale assegna il termine e non è prorogabile. L'istanza è inammissibile se presentata nell'ambito di un procedimento di concordato preventivo nel corso del quale è già stata tenuta l'adunanza dei creditori e non siano state raggiunte le maggioranze di legge”

In tale contesto, è evidente che, proprio in forza di tale articolata modulabilità delle procedure concorsuali di concordato preventivo, anche prenotativo, aperte alla data della possibile istanza ex art. 25 del D.L. n. 34/2020, tale tipologia di procedure concorsuali potranno, senz'altro, beneficiare del contributo in argomento.

Le procedure da sovraindebitamento ex L. n. 3/2012

Con la disciplina introdotta dalla legge n. 3 del 27 gennaio 2012 il legislatore ha regolamentato lo stato di crisi delle situazioni di sovraindebitamento garantendo tutele ai soggetti che, secondo quanto disposto dall'art. 1 l.fall., non sono assoggettabili alle procedure concorsuali.

Il debitore civile, non essendo titolare di reddito di impresa, è escluso dal beneficio del contributo a fondo perduto, mentre per gli imprenditori “non fallibili” sono valide le medesime considerazioni già svolte per le imprese sottoposte a fallimento; pertanto, fintanto che non si sia proceduto alla cessazione dell'attività così come disciplinata dall'art. 35, comma 4, D.P.R. 633/72, a parere degli scriventi, gli imprenditori non fallibili non sono esclusi dal contributo a fondo perduto.

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