Assicurazione sociale: la malattia da mobbing è indennizzabile

Teresa Zappia
17 Luglio 2020

In materia di assicurazione sociale, debbono ritenersi indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che essa riguardi la lavorazione, sia l'organizzazione del lavoro e le sue modalità di esplicazione...
Massima

In materia di assicurazione sociale, debbono ritenersi indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che essa riguardi la lavorazione, sia l'organizzazione del lavoro e le sue modalità di esplicazione. È incongrua qualsiasi distinzione in tal senso, posto che la persona è coinvolta nel lavoro in tutte le sue dimensioni, venendo sottoposta a rischi rilevanti non solo per la sfera fisica, ma anche per quella psichica.

Il caso

La Corte d'appello di Perugia, con la sentenza n. 103 del 2013, in accoglimento del gravame proposto dall'INAIL, respingeva la domanda del lavoratore diretta ad ottenere il riconoscimento della natura professionale della malattia, asserendone il collegamento causale con la condotta vessatoria tenuta nei suoi confronti dal datore di lavoro. La Corte territoriale riteneva non tutelabile, nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria gestita dell'Istituto, la malattia non direttamente derivante dalle lavorazioni elencate nell'art. 1 d.P.R n. 1124 del 1965, ma da situazioni di c.d. costrittività organizzativa, come il "mobbing”.

Avverso suddetta sentenza il lavoratore ha proposto ricorso innanzi alla Corte di cassazione, affidato a tre motivi.

La questione giuridica

Quali malattie possono ritenersi incluse nel perimetro di operatività dell'assicurazione obbligatoria di cui al d.P.R. n. 1124 del 1965?

La soluzione giuridica

La Corte di cassazione ha richiamato un proprio costante orientamento secondo il quale, in materia di assicurazione sociale di cui all'art.1 del d.P.R. n. 1124 del 1965, ciò che rileva non è soltanto l'alea propria della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio, ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma collegato con quest'ultima. La Corte ha evidenziato che tale orientamento estensivo è stato seguito nell'interpretazione dell'art. 3 t.u., nonché dal legislatore nell'ambito dell'infortunio in itinere (art. 12 d.lgs. n. 38 del 2000). Ulteriore ampliamento dell'ambito della tutela assicurativa è stata realizzata sulla scorta della nozione centrale di rischio ambientale, mediante la quale sono individuati – sotto il profilo oggettivo - tanto le attività protette dall'assicurazione ( rectius lo spazio entro il quale esse sono esercitate, a prescindere dalla diretta adibizione ad una macchina) quanto – sotto il profilo soggettivo – coloro i quali sono tutelati nell'ambito dell'attività lavorativa, ossiatutti i soggetti che frequentano lo stesso luogo, con irrilevanza della "manualità" della mansione ed a prescindere dal fatto che siano addetti alla stessa macchina).

Alla luce di quanto sopra, la Corte ha ritenuto non condivisibile la tesi ermeneutica seguita dal giudice a quo, secondo cui l'assicurazione obbligatoria non coprirebbe patologie non correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle. Il lavoratore, infatti, deve solo provare l'origine professionale della malattia, essendo venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale. Su quest'ultimo aspetto, ha puntualizzato la Corte, non potrebbe sostenersi che la vincolatività della tabellazione sia venuta meno solo per la malattia (art. 10, comma 4, d.lgs. n. 38 del 2000) e sia invece sopravvissuta ai fini dell'identificazione del rischio tipico, ex artt. 1 e 3 d.P.R. n. 1124 del 1965. Pertanto, nell'ambito del sistema del Testo unico, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, posto il coinvolgimento della persona del dipendente nella sua interezza nell'ambito del lavoro, con rischi per la sfera psichica e fisica (cfr., oggi, a fini preventivi l'art. 28, comma 1 del t.u. n. 81 del 2008).

Osservazioni

L'art. 3 d.P.R. n. 1124 del 1965, nella sua formulazione originaria, prevedeva che: «L'assicurazione è altresì obbligatoria per le malattie professionali indicate nella tabella allegato n. 4, le quali siano contratte nell'esercizio e a causa delle lavorazioni specificate nella tabella stessa ed in quanto tali lavorazioni rientrino fra quelle previste nell'art. 1».

Tale disposizione manifestava, in modo evidente, una scelta precisa del legislatore rispetto al requisito del nesso eziologico tra danno ed attività lavorativa: la “causa lavoro” comportava l'insufficienza di un collegamento in senso lato con la prestazione svolta dal lavoratore, sicché non avrebbe potuto ritenersi sufficiente la sussistenza della c.d. “occasione lavoro”, richiedendosi piuttosto che la patologia fosse stata contratta nell'esercizio e, appunto, a causa delle lavorazioni “protette”.

Sul punto è opportuno rammentare che l'“occasione di lavoro” (art. 2 t.u.) si riscontra non solo quando l'attività lavorativa sia stata causa dell'infortunio, ma anche quando essa abbia comunque agevolato o reso possibile il verificarsi dello stesso, senza che rivesta alcuna importanza il fatto che l'evento dannoso si sia verificato durante l'orario e nel luogo di lavoro, il che è evidente nelle ipotesi di infortunio in itinere.

Il nesso eziologico richiesto dall'art. 3 t.u. per le malattie professionali, invece, veniva interpretato nel senso di escludere dal perimetro della tutela quelle patologie in rapporto di mera occasionalità con il lavoro, non costituenti una conseguenza della prestazione in senso stretto (c.d. malattie professionali in itinere). Diversa soluzione era sostenuta per l'ipotesi in cui la malattia fosse stata contratta dal soggetto i cui viaggi rappresentavano proprio l'espressione e il contenuto della prestazione lavorativa, essendo in tal caso indiscutibile la sussistenza di uno stretto nesso eziologico tra il lavoro ed il danno lamentato.

L'espressione “causa lavoro” ha acquisito un significato differente in seguito alle modifiche apportate all'art. 3 t.u. dalla decisione della Corte costituzione n. 179 del 1988: il giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di suddetta norma, in riferimento all'art. 38, comma 2, Cost., nella parte in cui la stessa non prevedeva che l'assicurazione contro le malattie professionali nell'industria dovesse essere obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate (causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle stesse), purché di tali patologie fosse stata provata la “causa di lavoro”.

Si è dunque pervenuti al c.d. sistema misto, che ha trovato conferma nel sistema presuntivo in ordine alla “causa lavoro” delineato dall'art. 10 d.lgs. n. 38 del 2000 per le patologie tabellate. L'origine lavorativa deve essere dimostrata dallo stesso assicurato per le malattie non tabellate, o per quelle contratte oltre il termine massimo di indennizzabilità.

Il mutamento di prospettiva è palmare: ai fini della tutela assicurativa, non è necessario che le malattie professionali siano state contratte nell'esercizio ed a causa delle lavorazioni indicate nelle tabelle, essendo coperti anche quegli episodi patologici per i quali sia stata provata la “causa lavoro”. Tale ultima espressione è stata interpretata restrittivamente (Cons. Stato, n. 1576 del 2009), sicché la malattia contratta dal lavoratore sarebbe meritevole di protezione soltanto in presenza del rischio specifico in rapporto al quale il premio assicurativo è pagato. Il sistema misto, pertanto, coprirebbe anche la malattia non tabellata, la quale potrebbe tuttavia essere indennizzata solo se conseguente all'esercizio di una delle lavorazioni individuate dall'art. 1 t.u., ritenute “a rischio”.

La sentenza in commento esprime – in linea con l'orientamento oggi prevalente – il definitivo distacco dell'assicurazione sociale dalla nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio - al quale pure era originalmente legata – perseguendosi piuttosto lo scopo di garantire, con la massima efficacia ed in linea con un'interpretazione dell'art. 38, comma 2, Cost., coordinata con l'art. 32 Cost., una piena tutela dei lavoratori.

Lo stesso premio assicurativo INAIL, si evidenzia, non ha la funzione di delimitare la tutela ai rischi precisamente individuati in base alle tabelle. Esso è piuttosto funzionalmente diretto al finanziamento del sistema.

Alla luce di quanto sopra, appare più aderente al dettato normativo ed ai principi costituzionali quell'orientamento giurisprudenziale che, nel corso degli ultimi anni, ha sostenuto un'interpretazione estensiva del perimetro della tutela assicurativa, includendovi ogni danno provocato dal lavoro in senso lato e, quindi, anche dall'ambiente lavorativo.

Una tale tendenza non avrebbe potuto non toccare anche le ipotesi di malattie psico-fisiche determinate da episodi di mobbing (c.d. costrittività organizzativa). Tale fenomeno può essere ravvisato in una situazione di conflittualità persistente in cui il dipendente, nell'ambito del contesto lavorativo, è destinatario di condotte, anche di per sé lecite, dirette a causare nel medesimo danni di vario tipo e gravità (c.d. intento persecutorio), sicché non potrebbe escludersi che l'eventuale malattia da esse determinata nella vittima sia riconducibile all'attività dalla medesima svolta.

Come ricordato nella sentenza in esame, l'ambito delle malattie professionali è stato esteso anche alla patologia riconducibile all'esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi in cui il medesimo prestava la propria prestazione, riconoscendo la meritevolezza di tutela dell'episodio morboso che, sebbene non direttamente riconducibile ad un'attività pericolosa ex se, era connesso al fatto oggettivo dell'esecuzione di un lavoro all'interno di un determinato ambiente (Cass., n. 3227 del 2011).

Tale posizione ermeneutica ha consentito di sostenere che, nell'ambito del sistema dell'assicurazione sociale, debbano ritenersi indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile latu sensu al lavoro, sia che esse riguardino la lavorazione, o l'organizzazione del lavoro o le modalità della sua esplicazione. Nessun dubbio, dunque, potrebbe sorgere circa la piena copertura assicurativa della patologia causalmente riconducibile a condotte mobbizzanti.

Tale estensione sembrerebbe, d'altronde, assottigliare la linea di confine tra il concetto di “causa di lavoro” e quello di “occasione lavoro” la quale, come sopra accennato, non sussiste soltanto qualora l'attività lavorativa sia stata causa diretta dell'infortunio (e oggi, potrebbe dirsi, della malattia), ma anche quando essa abbia favorito il verificarsi dello stesso. La differenza sostanziale potrebbe individuarsi, piuttosto, nella diversa durata della causa dell'evento: “violenta” per gli infortuni e “lenta” per le patologie professionali, sebbene anche tale differenziazione non sia esente da critiche.

Per approfondire

G. Corsalini, Estensione della tutela INAIL - Questioni controverse, in Resp. Civ. Prev., 2016, fasc.4, pag. 1388B ss.