L'azione per l'inefficacia dei pagamenti ex art. 44 l. fall.

21 Luglio 2020

I pagamenti effettuati dal debitore dopo l'apertura del concorso ex art. 44, comma 1, l. fall. sono inefficaci nei confronti della massa a partire dall'ora “zero” del giorno in cui la sentenza dichiarativa di fallimento è iscritta presso il Registro delle imprese, non rilevando l'orario nel quale tale adempimento sia stata eseguito.
Massima

I pagamenti effettuati dal debitore dopo l'apertura del concorso ex art. 44, comma 1, l. fall. sono inefficaci nei confronti della massa a partire dall'ora “zero” del giorno in cui la sentenza dichiarativa di fallimento è iscritta presso il Registro delle imprese, non rilevando l'orario nel quale tale adempimento sia stata eseguito.

Il soggetto passivo dell'azione dichiarativa d'inefficacia ex art. 44 l. fall. in relazione ai pagamenti effettuati dal debitore dopo la sentenza di fallimento tramite bonifico bancario è il relativo destinatario (accipiens), mentre la banca rimane estranea all'azione restitutoria in quanto mero soggetto delegato dal debitore.

Il caso

La curatela ricorreva al Tribunale di Torino ex art. 702-bis c.p.c. (procedimento sommario di cognizione) affinché fossero dichiarati inefficaci due pagamenti effettuati dalla società con addebiti registrati sul proprio c/c lo stesso giorno in cui la sentenza di fallimento era stata iscritta al Registro imprese, con relativa domanda di restituzione nei confronti della banca.

Tali pagamenti si riferivano, il primo, ad un bonifico di euro 65.000,00 disposto dal liquidatore della società a favore di un terzo creditore, il secondo, ad un prelievo per contanti di euro 1.500,00 effettuato dallo stesso liquidatore.

L'istituto di credito si costituiva in giudizio, chiamando in causa il liquidatore della società debitrice (che rimaneva contumace), proponendo nei suoi confronti domanda riconvenzionale subordinata di manleva per le somme eventualmente dovute alla curatela, oltreché domanda di condanna al risarcimento degli ulteriori danni.

Il Tribunale di Torino, con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., rigettava il ricorso della curatela atteso che la banca, nel corso del giudizio, aveva provato – attraverso la produzione di una certificazione camerale – che gli addebiti erano stati sì contabilizzati nello stesso giorno dell'iscrizione al Registro imprese della sentenza di fallimento, ma in orari diversi ed in entrambi i casi anteriori rispetto a quello della medesima iscrizione.

La curatela impugnava l'ordinanza avanti la Corte d'Appello di Torino, la quale riformava integralmente il provvedimento di prime cure, dichiarando inefficaci nei confronti della procedura i due pagamenti e condannando, per l'effetto, la banca alla relativa “restituzione”.

Quanto sopra, in applicazione del principio secondo cui gli effetti della sentenza di fallimento – in assenza d'una norma che attribuisca rilevanza, sotto il profilo cronologico, all'orario – si producono, per le parti, dall'ora “0” del giorno di pubblicazione, ex art. 133 c.p.c., e, per i terzi, dall'ora “0” del giorno d'iscrizione presso il Registro imprese, ex art. 17, comma 2, l. fall.

La Corte d'Appello di Torino, fra l'altro, qualificava come ripetizione d'indebito la domanda di manleva della banca nei confronti del liquidatore, così rigettandola, atteso che, quanto al primo pagamento, l'accipiens era il terzo, quale beneficiario del bonifico, e, quanto al prelievo per contanti, mancava la prova che il liquidatore fosse l'effettivo destinatario del pagamento.

I giudici di seconde cure rigettavano anche la domanda risarcitoria proposta dalla banca contro il liquidatore: le disposizioni di pagamento le erano state infatti impartite dal medesimo liquidatore nella propria qualità di legale rappresentante della società debitrice cui, dunque, tali pagamenti dovevano essere ricondotti in via esclusiva.

Avverso la sentenza d'appello proponeva ricorso per cassazione la banca, deducendo:

- violazione e falsa applicazione delle norme processuali in tema di legittimazione passiva rispetto all'azione dichiarativa d'inefficacia ex art. 44 l. fall. ed all'azione di ripetizione dell'indebito ex art. 2033 c.c.

- violazione e falsa applicazione dell'art. 16, comma 2, ed art. 17, comma 2,l. fall., nonché dell'art. 44 l. fall., con riferimento al momento in cui la sentenza di fallimento divenga opponibile ai terzi.

Resisteva con controricorso la curatela, la quale, fra l'altro, eccepiva l'intervenuto giudicato interno implicito sulla questione della legittimazione passiva o, meglio, della titolarità passiva in capo alla banca del rapporto controverso.

La Corte di Cassazione rilevava, in via preliminare, come i motivi del ricorso fossero connessi e logicamente subordinati, poiché l'individuazione del momento in cui la sentenza di fallimento divenga opponibile ai terzi condiziona la questione della qualificazione della condotta della banca, come pure della propria titolarità passiva in ordine al rapporto dedotto.

Dopo aver ritenuto non fondata l'eccezione di giudicato interno prospettata dalla curatela (per motivi di diritto che esulano dall'oggetto del presente commento), la Suprema Corte respingeva la prospettazione della banca, assunta la irrilevanza ai fini in esame dell'orario nel quale i pagamenti erano stati eseguiti.

Quanto, invece, alla titolarità passiva del rapporto controverso in capo all'istituto di credito, la Cassazione accoglieva la domanda della banca: la curatela avrebbe dovuto proporre l'azione non già nei confronti di quest'ultima, bensì nei confronti dei terzi, i quali, tramite la soddisfazione preferenziale delle proprie ragioni creditorie, avevano contribuito ad alterare la par condicio.

Le questioni

Due sono le questioni di diritto trattate dalla Corte di Cassazione, che attengono all'esercizio dell'azione volta ad ottenere l'inefficacia nei confronti della curatela in relazione agli atti previsti dall'art. 44, comma 1, l. fall.

Secondo tale disposizione, ogni atto compiuto dal debitore, così come ogni pagamento dallo stesso eseguito dopo la dichiarazione di fallimento, è inefficace nei confronti della massa dei creditori.

Tali questioni implicano una risposta alle due seguenti domande:

1) qual è il momento a partire dal quale la sentenza di fallimento diviene opponibile nei confronti dei terzi?

2) chi è il soggetto destinatario dell'azione che la curatela intenda esercitare ex art. 44, comma 1, l. fall.?

Vediamo dunque come tali questioni di diritto siano regolate dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza qui annotata.

Le soluzioni giuridiche

Sul primo punto – ricorda il Supremo Collegio –, l'art. 44, comma 1, l. fall., nel prevedere l'inefficacia rispetto ai creditori dei pagamenti eseguiti dal fallito dopo l'apertura del concorso, si pone quale logico corollario del principio generale previsto dall'art. 42, comma 1, l. fall.

Tale norma stabilisce la regola dello spossessamento.

La sentenza di fallimento priva il debitore dell'amministrazione e della disponibilità dei propri beni esistenti al momento dell'apertura del concorso, con ciò mirando a preservare l'integrità del patrimonio da destinare al soddisfacimento dei creditori, secondo il principio di par condicio.

Quanto premesso, diversi sono i “momenti” che rilevano ai fini della produzione degli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento, a seconda che si tratti dello stesso imprenditore, del creditore istante ovvero dei terzi.

Nei confronti del debitore e del creditore istante, la sentenza di fallimento assume efficacia dalla data della sua pubblicazione (deposito in Cancelleria), ai sensi dell'art. 133, comma 1, c.p.c., come richiamato dall'art. 16, comma 2, primo periodo, l. fall.

Nei confronti dei terzi, la sentenza di fallimento assume invece efficacia dalla data della sua iscrizione presso il competente Registro delle imprese, ex art. 16, comma 2, secondo periodo, l. fall., norma che richiama l'art. 17, comma 2, l. fall.

Secondo quest'ultima norma, la sentenza è annotata presso il Registro imprese della circoscrizione ove l'imprenditore ha la propria sede legale; qualora la sede legale differisca da quella effettiva, la sentenza è altresì iscritta presso il Registro imprese del luogo ove la procedura concorsuale sia stata aperta.

Nessuna delle norme sopra richiamate contiene – ai fini della decorrenza dell'efficacia della sentenza di fallimento – riferimenti cronologici diversi rispetto al “giorno” in cui le relative formalità debbano essere eseguite (deposito in Cancelleria, iscrizione al Registro imprese).

Sul tema, l'art. 16 l. fall. – nel testo vigente ante D.Lgs. n. 5/2006 e D.Lgs. n. 169/2007 – non faceva alcun riferimento agli effetti della sentenza di fallimento: il secondo comma di tale norma si limitava infatti a prevedere la sola provvisoria esecutività della sentenza.

La Suprema Corte aveva, allora, colmato tale lacuna individuando il momento a partire dal quale la sentenza di fallimento acquista efficacia nell'“ora zero” del giorno del suo deposito in Cancelleria e/o del giorno della iscrizione al Registro imprese.

E ciò in conformità alla ratio legis della norma: fissare un dato obiettivo, e dunque certo, cui ricollegare la produzione degli effetti dell'apertura del concorso (Cass. civ., Sez. 1, 18 agosto 1976, n. 3047; Cass. civ., Sez. 1, 19 luglio 2016,n. 14779).

La Cassazione rileva, adesso, come pure l'attuale formulazione dell'art. 16 l. fall non induca a discostarsi dal principio generale secondo il quale l'efficacia della sentenza di fallimento decorre dalla prima ora del giorno in cui la stessa sia depositata in Cancelleria ovvero inviata per l'iscrizione al Registro imprese.

La cd. “ora zero”.

E ciò senza che assuma rilevanza la differenza tra la pubblicazione della sentenza ex art. 133, comma 1, c.p.c., come richiamato dall'art. 16, comma 2, primo periodo, l. fall., e la sua iscrizione ex art. 16, comma 2, secondo periodo, l. fall.

In quest'ottica – rileva il Supremo Collegio –, ciò che conta è l'esigenza di attribuire obiettività, e dunque certezza, al profilo di anteriorità della sentenza dichiarativa di fallimento rispetto alle varie vicende concorsuali ad essa connesse.

Ne dà paradigmatica conferma l'art. 45 l. fall.: sono prive di effetto nei confronti dei creditori sociali le formalità volte a rendere opponibili ai terzi gli atti, qualora tali formalità siano compiute dopo la sentenza di fallimento

Del resto, che l'art. 16, comma 2, l. fall. differenzi le modalità di “pubblicità” della sentenza di fallimento in funzione dei diversi destinatari dei relativi effetti può, al più, determinare uno “sfasamento”, fra i due momenti, di un “giorno”, senza alcuna rilevanza in termini d'orario.

Il Cancelliere è infatti tenuto a trasmettere l'estratto della sentenza dichiarativa di fallimento al competente Registro delle imprese entro il “giorno” successivo a quello del deposito della sentenza, ex art. 17, commi 1-3, l. fall.

Si potrebbe dunque parlare di sfasamento in termini d'orario – e non di giorno – solo qualora la legge prevedesse un parametro cronologico prescrittivo che attribuisse rilevanza all'“ora” in cui fosse compiuta l'attività richiesta (orario deposito, orario iscrizione).

Invece, l'art. 17, commi 1-3, l. fall. attribuisce rilevanza, quale elemento temporale, esclusivamente al “giorno”.

Non è, al riguardo, ravvisabile alcuna volontà da parte del legislatore di fissare un criterio diverso da quello secondo il quale l'efficacia della sentenza coincida con il giorno del proprio deposito ovvero della propria iscrizione (Cass. civ., Sez. VI, 27 febbraio 2019, n. 5781, ord.).

D'altra parte, il criterio “data-giorno” soddisfa appieno le ricordate esigenze di obiettività e certezza, dovendosi dunque fare riferimento, quale criterio generale di riferimento, al calendario comune, suddiviso per giorni, mesi ed anni (art. 2963 c.c. ed art. 155 c.p.c.).

Ne consegue – conclude la Corte – che “l'effetto della sentenza in quanto ricollegato dalla legge alla data di pubblicazione ed iscrizione al Registro imprese, non può che essere riferito alla “intera durata” del giorno che inizia, per l'appunto, con l'”ora zero””.

Così risolta la prima questione in senso sfavorevole alla banca ricorrente (rileva l'ora “0” del giorno di pubblicazione/iscrizione), la Cassazione passa a trattare il secondo argomento, ovvero chi sia il soggetto destinatario dell'azione esercitabile ex art. 44l. fall.

Nel caso in esame, il liquidatore – ricorda il Supremo Collegio – aveva effettuato sia il bonifico bancario a favore del terzo, sia il prelevamento per contanti, in nome e per conto della società debitrice.

Come visto, la “sanzione” della inefficacia dei pagamenti è posta a tutela della par condicio: la norma impedisce che il beneficiario del pagamento si sottragga, da un lato, al procedimento di verifica dei crediti (concorso formale), dall'altro, alla falcidia del credito in ragione della propria collocazione (concorso sostanziale).

Il destinatario dell'azione volta ad ottenere la declaratoria d'inefficacia dei pagamenti eseguiti dal debitore dopo l'apertura del concorso, non può così che essere il creditore soddisfatto.

Rimane estraneo alla domanda “restitutoria” della curatela il soggetto incaricato dal debitore di eseguire i pagamenti dedotti, egli agendo nell'interesse del fallito e, dunque, non ricevendo dal medesimo alcun correlato, diretto pagamento.

In questo senso, assume rilevanza qualsiasi atto satisfattivo riferibile al fallito compiuto dopo la sentenza di fallimento, sia ove eseguito con denaro proprio, sia ove eseguito su incarico proprio, come nel caso della delegazione o dell'accollo, sia ove infine eseguito in suo luogo, come nel caso dell'espropriazione presso terzi (Cass. civ., Sez. 1, 19 luglio 2016, n. 14779).

Per ciascuno di tali “pagamenti” (atti solutori riconducibili al debitore), non diversamente da quanto avviene in caso di revocatoria ex 67 l. fall., l'azione d'inefficacia ex art. 44 l. fall. è esercitabile esclusivamente nei confronti dell'accipiens, ovvero dell'effettivo beneficiario del negozio satisfattivo (Cass. civ., Sez. 1, 29 luglio 2014, n. 17196).

Sotto questo profilo, la Corte di Cassazione ha ritenuto fondata la censura operata dalla banca ricorrente contro la sentenza d'appello, che è stata così cassata, con conseguente rigetto della domanda proposta dalla curatela nei confronti dell'istituto di credito.

Fra l'altro, la curatela fallimentare aveva anche eccepito, (ma solo) in sede di ricorso per cassazione, l'intervenuto scioglimento del rapporto contrattuale a seguito dell'apertura del concorso.

Da ciò sarebbe conseguito che i pagamenti in oggetto non potevano integrare atti solutori riferibili al debitore (il quale, a seguito dello scioglimento del contratto, aveva perso la disponibilità delle somme), quanto piuttosto all'istituto bancario, dunque con un indebito oggettivo in capo al medesimo.

La banca avrebbe così dovuto restituire alla curatela l'intera provvista esistente sul conto corrente al momento del fallimento, potendo fra l'altro agire anche nei confronti del terzo, ex art. 2033 c.c.

Sul punto, la Cassazione ha rilevato come la curatela avesse prospettato solo in sede di gravame la diversa ricostruzione della fattispecie concreta, incentrata com'era sullo scioglimento del contratto bancario a seguito della dichiarazione di fallimento del correntista.

E per quanto la questione presentasse elementi di riflessione (in effetti, ciò avrebbe permesso di ottenere dalla banca anche la restituzione della somma prelevata in contanti dal liquidatore), la stessa andava però a modificare i fatti costitutivi della pretesa, con evidenti profili di novità rispetto al thema decidendum, dunque non potendo accedere al vaglio di legittimità.

Del resto, l'iniziale domanda formulata dalla curatela fallimentare ex art. 44l. fall. presupponeva l'esistenza di un preesistente, valido rapporto contrattuale di “conto corrente” fra il debitore (delegante) e la banca (delegato), come peraltro confermato dalle stesse difese dell'istituto di credito.

Come l'art. 44, comma 1, postula che l'atto solutorio sia riferibile alla sfera patrimoniale del debitore, allo stesso modo, la disposizione di bonifico presuppone l'esistenza d'un rapporto contrattuale che riconduca in seno al delegante gli effetti del pagamento compiuto dal delegato (estinzione di un'obbligazione del debitore verso il terzo).

Ne consegue – conclude la Suprema Corte di Cassazione – che l'azione dichiarativa d'inefficacia ex art. 44 l. fall. doveva essere svolta nei confronti del terzo (accipiens), quale unico soggetto munito di legittimazione passiva, attesa la finalità di privare l'atto solutorio dell'effetto estintivo dell'obbligazione del fallito.

In questo modo, il curatore avrebbe recuperato dal terzo la somma da questi percepita e lo stesso avrebbe potuto essere ammesso al passivo per l'importo dell'obbligazione originaria.

La banca, quale soggetto delegato, doveva rimanere estranea al rapporto obbligatorio tra il debitore ed il terzo, non potendo essere destinataria né dell'azione d'inefficacia, né dell'azione di condanna alla restituzione.

Ogni altro profilo di responsabilità in capo alla banca eventualmente configurabile per titoli e/o causali diverse avrebbe dovuto esser dedotto dalla curatela fallimentare con un'apposita, distinta azione.

Conclusioni

Riassumendo: il termine previsto dall'art. 44, comma 1, l. fall. per l'inefficacia nei confronti della curatela dei pagamenti effettuati dal debitore una volta aperta la procedura, coincide con l'ora “zero” del giorno in cui la sentenza di fallimento è iscritta presso il Registro imprese.

Tale interpretazione, da una parte, semplifica l'accertamento del momento a decorrere dal quale viene a verificarsi lo spossessamento in capo al fallito, ex art. 42 l. fall., dall'altra, dà certezza al termine a partire dal quale opera l'inefficacia degli atti solutori compiuti dal debitore, ex art. 44, comma 1, l. fall., consentendo di evitare “defatiganti” contestazioni e/o condotte elusive.

L'inefficacia dei pagamenti effettuati dal debitore post fallimento è posta a tutela della par condicio creditorum: l'azione di cui all'art. 44l. fall. “disinnesca” la possibilità che il beneficiario eluda il procedimento d'accertamento del passivo ed al pari che si avvantaggi di un soddisfacimento integrale del proprio credito.

Ai fini della legittimazione passiva, il destinatario dell'azione dichiarativa di inefficacia ex art. 44 l. fall. in relazione ai pagamenti effettuati dal debitore dopo l'apertura del concorso deve essere individuato, esclusivamente, nell'accipiens.

Rimane, così, da ultimo, estraneo alla proponibile azione restitutoria l'istituto bancario, quale soggetto contrattualmente incaricato dal debitore di eseguire i pagamenti dallo stesso stabiliti, dunque agendo in nome e nell'interesse dell'imprenditore fallito.

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