Il Decreto Liquidità e la “matassa” della finanza garantita in favore delle imprese in crisi
22 Luglio 2020
Con la Legge 5 giugno 2020, n. 40 è stato finalmente convertito il cd. Decreto Liquidità (d.l. 8 aprile 2020, n. 23); provvedimento che ha alimentato un vibrante dibattito tra gli operatori economici e tra gli studiosi in ordine alla utilità e all'efficacia di una serie di misure dirette segnatamente a favorire l'accesso al credito alle imprese colpite dall'emergenza Covid-19. Il sostegno alle imprese suddette si è tradotto, come ben noto, nella previsione di un'estesa garanzia pubblica - prestata secondo i diversi casi da Sace S.p.A. ovvero dal Fondo centrale di garanzia PMI - a fronte di finanziamenti erogati sotto qualsiasi forma da banche e soggetti abilitati all'esercizio del credito. Senza velleità in questa sede di offrire uno spartito generale delle casistiche interessate dalla garanzia pubblica, va in ogni caso osservato come, sotto il profilo del metodo, il legislatore abbia, da un lato, cercato di perimetrare la garanzia dello Stato in relazione alle sole ipotesi di difficoltà finanziarie indotte dall'emergenza sanitaria (e quindi successive ad essa): in questo senso vanno lette le disposizioni che escludono di regola il beneficio pubblico per le imprese con esposizioni debitorie classificate come deteriorate prima di una certa data (29 febbraio 2020 quanto alla garanzia di Sace; 31 gennaio 2020 quanto alla garanzia del Fondo); dall'altro, lo stesso legislatore ha però stabilito importanti deroghe a tale principio, a riprova del fatto che spesso in ambito normativo il rapporto tra l'eccezione e la regola si trova invertito. Tali deroghe si legano in particolare ad alcune previsioni ad hoc dettate per imprese che siano state interessate da difficoltà finanziarie anteriormente alla diffusione della pandemia, e che per tale ragione siano state destinatarie di segnalazioni per esposizioni deteriorate (cc.dd. past due e unlikely to pay) prima del 31 gennaio 2020. Allorché tali esposizioni siano state oggetto di “misure di concessione” - da ciò inferendosi l'avvio di un percorso di risanamento negoziato con la banca - viene stabilito che il beneficio della garanzia sia comunque ammesso a favore dell'impresa richiedente; e ciò “anche prima che sia trascorso un anno dalla data in cui sono state accordate le misure di concessione o, se posteriore, dalla data in cui le suddette esposizioni sono state classificate come esposizioni deteriorate [...]” se, alla data di entrata in vigore del Decreto Liquidità, esse non siano più classificabili come tali e non presentino nuovi importi arretrati. In ogni caso, ai fini della garanzia pubblica è necessario che “il soggetto finanziatore, sulla base dell'analisi della situazione finanziaria del debitore, possa ragionevolmente presumere il rimborso integrale dell'esposizione alla scadenza” (art. 13, comma 1°, lett. g-ter del Decreto Liquidità). Tale disposizione è replicata in presenza dei medesimi presupposti - esposizioni non più classificabili come deteriorate, assenza di arretrati successivi alle misure di concessione e giudizio prognostico della banca riguardo all'adempimento degli obblighi di rimborso integrale - in favore delle imprese che in data successiva al 31 dicembre 2019:
La norma appena riprodotta (art. 13, comma 1°, lett. g-quater del Decreto Liquidità) appare scritta con una tecnica redazionale piuttosto approssimativa. Nello specifico:
Ciò detto, al netto delle (molte) approssimazioni che possono scorgersi nel testo e della (scarsa) qualità dell'impianto normativo nel suo complesso, appare condivisibile l'idea di promuovere l'afflusso di nuova finanza, attraverso l'incentivo della garanzia pubblica, ad imprese che abbiano attivato efficaci strumenti di reazione a situazioni di crisi reversibili. Ciò che appare meno condivisibile è invece il fatto di aver congegnato una disposizione che, consapevolmente o meno, finisce per svilire tale idea, rendendola di fatto inattuabile nella vigente cornice normativa. Nei paragrafi che seguono cercherò di spiegare, nella duplice prospettiva di imprese e operatori del credito, perché in forza della norma in commento la concessione di finanziamenti assistiti da garanzia pubblica in presenza di situazioni di crisi sia destinata probabilmente a restare un semplice manifesto di buone intenzioni.
La prospettiva delle imprese
Per le imprese colpite da una crisi regolata dal diritto concorsuale la norma dettata all'art. 13, comma 1°, lett. g-quater del Decreto Liquidità delinea i seguenti presupposti per la concessione della garanzia pubblica:
Se tali sono i presupposti per la concessione della garanzia pubblica, vedo non pochi problemi dal lato delle imprese. Tali problemi si pongono segnatamente in relazione alla necessità che le esposizioni non presentino importi in arretrato successivi all'applicazione delle misure di concessione. Pensando all'ipotesi della domanda di concordato preventivo ed assumendo (come prescritto) che l'impresa sia stata ammessa alla relativa procedura dopo il 31 dicembre 2019, dovremmo ritenere che l'impresa non abbia “sgarrato” dai rientri concertati con la banca neanche nell'imminenza del deposito della relativa domanda (determinata evidentemente da uno stato di crisi conclamata, e quindi in un quadro connotato evidentemente da grande difficoltà nel rispettare le scadenze). Non solo. Stando al tenore della norma, evidentemente poco ponderata, dovremmo altresì ritenere che l'impresa non possa sgarrare neanche dopo il deposito della domanda, nonostante sia pacifica l'impossibilità di pagare debiti anteriori (in particolare, quello che ha beneficiato delle misure di concessione) all'avvio della procedura, quanto meno in carenza dell'autorizzazione del tribunale ex art. 182-quinques, comma 5, l. fall. (autorizzazione che potrebbe però arrivare dopo che si siano già prodotti arretrati, con ogni relativo effetto sulla ammissibilità della nuova finanza agevolata). Sempre in tema di nuovi finanziamenti per imprese ammesse alla procedura di concordato con continuità aziendale manca, in aggiunta, qualsiasi forma di coordinamento con la disciplina concorsuale che ne postula l'ammissibilità solo in esito ad una specifica autorizzazione del tribunale (art. 182-quinques, comma 5, l. fall.).
Le cose non vanno certo meglio nella prospettiva dei soggetti finanziatori. Un primo problema sul lato dei finanziatori si lega alla formula un po' criptica per cui le esposizioni, già classificate come deteriorate, non dovrebbero più essere “classificabili” come tali. La previsione appare poco comprensibile tanto sotto il profilo formale quanto sotto quello sostanziale. Sotto il profilo formale, perché - se prendiamo anche qui come esempio il concordato con continuità aziendale - è la stessa Banca d'Italia (Circolare n. 272 del 30 luglio 2008) a prescrivere che l'esposizione debba essere segnalata tra le “inadempienze probabili” (e quindi tra i crediti deteriorati) “sino a quando non siano noti gli esiti della domanda”, e cioè sino al giudizio di omologazione; con la conseguenza che non sembra residuare spazio alcuno per un diverso giudizio in termini di classificazione. Sotto il profilo sostanziale, in quanto non è per nulla chiaro da quali elementi la banca dovrebbe trarre il convincimento in base al quale l'esposizione, ancorché classificata come deteriorata (secondo quanto richiesto dalla Circolare di Banca d'Italia), sia però classificabile come non deteriorata. Su tale ultimo punto, basti osservare che la banca dovrebbe fondare tale convincimento discrezionale sui contenuti di una proposta concordataria che - posta la necessità di ammissione alla procedura in data successiva al 31 dicembre 2019 - non sarebbe ancora stata verosimilmente oggetto del giudizio di omologazione del tribunale.
Per accordare il prestito con garanzia pubblica i soggetti finanziatori dovrebbero inoltre, “sulla base dell'analisi della situazione finanziaria del debitore, […] ragionevolmente presumere il rimborso integrale dell'esposizione alla scadenza […]”. Il senso di tale disposizione è evidentemente quello di scaricare su banche e intermediari, costituenti la cinghia di trasmissione della finanza alle imprese (grazie al fiume di liquidità erogato da BCE attraverso i rifinanziamenti agevolati - c.d. TILTRO), l'onere di subordinare l'accesso ai prestiti con garanzia pubblica ad una “presunzione” di rientro da parte dell'impresa colpita dalla crisi.
Il problema è che tale presunzione potrebbe richiedere, in alcuni casi, vere e proprie doti di preveggenza. Basti dire che, secondo una stima non recentissima ma comunque ampiamente descrittiva di Banca d'Italia (Danovi-Giacomelli-Riva-Rodano, Strumenti negoziali per la soluzione delle crisi d'impresa: il concordato preventivo - Questioni di Economia e Finanza, marzo 2018) oltre il 30% dei concordati preventivi ammessi non approda al provvedimento di omologazione. Ciò significa che quasi 1/3 delle imprese ammesse alla relativa procedura si trova, anche solo per non aver conseguito le maggioranze richieste, ad essere destinato al fallimento. Il funzionario di banca che si trovi a dover “ragionevolmente presumere” la capacità dell'impresa in concordato di provvedere al “rimborso integrale dell'esposizione alla scadenza” dovrebbe pertanto possedere capacità quasi divinatorie, stabilendo ex ante le probabilità per tale impresa di conseguire il provvedimento di omologazione e di dare corretta e puntuale esecuzione al piano concordatario. E' appena il caso di ricordare che ad una previsione “irragionevole” (con tutta l'incertezza che può accompagnarsi ad un criterio così soggettivo) da parte di tale funzionario potrebbero accompagnarsi conseguenze assai pesanti per la banca in questione. L'erogazione di credito all'impresa “immeritevole” potrebbe determinare infatti significative responsabilità a vario titolo a carico del finanziatore, che qui si possono solo accennare:
Conclusioni
Da qualunque parte la si guardi, la norma dettata dall'art. 13, comma 1°, lett. g-quater del Decreto Liquidità appare tutto tranne che un efficace incentivo all'accesso al credito per le imprese, ed anzi sembra congegnata da una mano sapiente per scoraggiare qualunque tentativo diretto a tale scopo. Ed è un peccato, perché le soluzioni sperimentate dal legislatore dell'emergenza - in primis quella legata alla concessione di una garanzia pubblica in favore di imprese meritevoli - avrebbero potuto aprire nuove prospettive per affrontare in modo adeguato, e con una visione di lungo periodo, il grande e in buona parte irrisolto problema del credito bancario nell'ambito degli strumenti di regolazione della crisi. Non resta che sperare, in futuro, in un legislatore più ispirato. |